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"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

mercoledì 7 aprile 2010

Il setting omeopatico come strumento di recupero della relazione terapeutica

Per rimanere al tema di questo intervento, non è il caso di addentrarsi nelle questioni concernenti l’efficacia terapeutica del farmaco omeopatico, argomento per il quale rimandiamo all’analisi delle sperimentazioni cliniche e delle casistiche cliniche controllate. Qui mi interessa piuttosto soffermarmi sulle ricadute epistemologiche della semeiotica omeopatica, ovvero di quella particolare lettura dei segni e dei sintomi del paziente proposta nell’anamnesi omeopatica.
In medicina, la raccolta del caso rappresenta l’ineludibile punto di partenza per la diagnosi, la cui formulazione è necessaria ai fini di una corretta scelta terapeutica.

In omeopatia, alla diagnosi nosologica classica è necessario affiancare una diagnosi di rimedio: una definizione, cioè, di quel medicinale, non intercambiabile con altri, in grado di curare quella particolare variante della patologia che il paziente ci presenta. Si tratta né più né meno di pervenire a una sorta di individualizzazione della terapia, per giungere alla quale è necessario porre tutta una serie di domande che hanno lo scopo di qualificare i sintomi, rendendoli per così dire più personali: si studiano in altri termini le circostanze di aggravamento o miglioramento in rapporto con fattori ambientali (meteorologici, orari, cinetici) o fisiologici (sonno, mestruazioni, funzioni emuntoriali). La loro determinazione è cruciale in quanto la scelta terapeutica è funzione del principio di similitudine, fondamento sperimentale della medicina omeopatica, secondo il quale vi è un parallelismo d’azione tra potere sperimentale e potere terapeutico di una sostanza: similia similibus curentur. La prescrizione di un farmaco omeopatico si basa dunque sull’esistenza di una similitudine tra il quadro sintomatico espresso dal malato (malattia o sindrome) e il quadro sintomatico che, in condizioni sperimentali, il farmaco si è dimostrato in grado di creare (malattia o sindrome sperimentale, frutto della cosiddetta sperimentazione patogenetica).

Ora, affinché il grado di similitudine sia elevato, occorre prendere in esame la totalità dei sintomi del paziente. Per fare un esempio, anche nel corso di una semplice malattia febbrile stagionale è interessante sapere ciò che sta “intorno” alla febbre: mialgie, cefalea, faringodinia, nausea, vomito, diarrea; o anche modificazioni dell’umore o dello stato emotivo del paziente: tutte condizioni che impongono scelte terapeutiche peculiari a quella determinata costellazione patologica. Allo stesso titolo, la terapia omeopatica di uno stato d’ansia o di un sintomo depressivo viene scelta anche a partire dai sintomi somatici di accompagnamento. Hahnemann approdò ad una concezione che oggi si direbbe olistica semplicemente osservando come ogni sperimentazione patogenetica coinvolgesse tutti gli aspetti dell’economia dell’organismo; gli sembrò ovvio, e gli era tecnicamente necessario, nella redazione di un’anamnesi, cogliere simultaneamente le modificazioni del sentire e dell’agire e i sintomi somatici presentati dal malato.

“Non si guarirà mai, dunque, in modo conforme alla natura e cioè in modo omeopatico, se per ogni caso individuale di malattia, anche acuta, non si presterà simultaneamente la dovuta attenzione anche alle modificazioni dello stato psichico e mentale del malato” (Organon , § 213).

Per quanto concerne l’espressione “setting omeopatico”, la utilizzo prendendola a prestito dalla psicoanalisi, dove sta ad indicare un’area spazio-temporale soggetta a regole precise che hanno lo scopo di delimitare un contesto relazionale. In un certo senso, si potrebbe dire che qualsiasi rapporto terapeutico, e vorrei dire qualsiasi rapporto umano, si svolga all’interno di un setting, le cui regole sono però solitamente inconsce o comunque non esplicitate. Così il rapporto medico-paziente come si configura in un’ottica puramente organicista obbedisce a un suo proprio setting, che esprime una forte asimmetria e la scotomizzazione delle componenti psichiche di entrambi i soggetti.

Forse questo spiega, almeno in parte, i dati del CENSIS secondo i quali la prescrizione viene disattesa nel 50% dei casi di malattie lievi e nel 20% di quelle più gravi; mentre l’11% delle prescrizioni di psicofarmaci non arriva neppure in farmacia. Pertanto il farmaco prescritto al termine di una visita medica veicola sempre, oltre ad una oggettiva realtà farmacologica, un contesto simbolico – di aspettative, speranze, desideri, paure – appartenente sia al medico sia al malato; poiché, per dirla con Balint,quando il medico prescrive un farmaco, prescrive se stesso”.
La responsabilità del medico, da questo punto di vista, è quella di creare un contesto di relazione. La medicina omeopatica, avendo una struttura anamnestica e semeiologica in cui l’ascolto fa da sfondo alla prescrizione, crea le condizioni per una compliance ottimale da parte del paziente.
Da questo punto di vista, è molto interessante cercare di interpretare l’aumento di richieste di intervento omeopatico: a un livello superficiale, si tratta di un rifiuto della chimica a favore di un intervento “naturale”; se ci spingiamo più in profondità, tuttavia, ci rendiamo conto che l’obiettivo è quello di ritrovare un contesto alla terapia. E’ da rimarcare a questo proposito come sia potenzialmente maggiore l’accettazione di un protocollo terapeutico che si presenta come individuale: la soluzione è per sé soltanto e non il frutto di un modello collettivo. Per sua natura, inoltre, il “setting omeopatico”, come abbiamo sottolineato sopra, lascia emergere contenuti psichici, rinforzando un modello psicosomatico e contribuendo a creare una salda relazione medico-paziente e qualcosa che somiglia ad un clima psicoterapeutico.

Qui, nel caso di pazienti nevrotici, dobbiamo fare molta attenzione, pena il rischio di scivolare inconsapevolmente nelle sabbie mobili di una psicoterapia selvaggia, sostenuta da un furor curandi di cui, a diverso titolo, fanno le spese sia il medico sia il paziente. Ma questo è un altro discorso.

Luigi Turinese


In foto: "Rimpiattino"

Riferimenti bibliografici:
BALINT, M.: Medico, paziente e malattia, (1957), Feltrinelli, Milano 1961.
BIGNAMINI, M. – FELISI, E.: Metodologia omeopatica, Casa Editrice Ambrosiana, Milano 1999.
DEMARQUE, D.: Sémiologie homéopathique, Librairie Le François, Paris 1977.
GALIMBERTI, U.: Dizionario di psicologia, Utet, Torino 1992.
HAHNEMANN, S. F. C.: Organon dell’arte del guarire, (1810), EDIUM, Milano 1975.
INSTITUT BOIRON: Glossaire de l’Homéopathie, Boiron, Lyon 1992.
PANCHERI, P.: Stress, emozioni, malattia, Mondadori, Milano 1980.
TURINESE, L.: Biotipologia, Tecniche Nuove, Milano 1997.

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