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"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

giovedì 20 maggio 2010

Attualità della medicina omeopatica

Poiché ogni sistema medico è la cartina al tornasole del modello culturale che lo esprime, il progressivo affermarsi della medicina omeopatica si iscrive nella crescente considerazione che riscuote il modello culturale sistemico che privilegia lo studio dell'interrelazione tra i fenomeni piuttosto che l'analisi separata di ciascuno di essi. Testimonianza di tale considerazione sono per esempio, in medicina, lo studio dei rapporti tra i grandi sistemi di integrazione dell'organismo, che costituisce l'oggetto della psiconeuroendocrinoimmunologia(PNEI); la serietà di alcuni studi sulle componenti psicosomatiche delle malattie; l'attenzione, in dermatologia come in fisiatria, ai rapporti tra il dentro e il fuori dell'organismo. In questo senso, l'omeopatia si pone come una disciplina di punta, dal momento che, come vedremo, l'interpretazione della totalità dei sintomi del paziente, cui si accede mediante una raffinata semeiotica, ne costituisce il cardine. Condizione della sua integrazione è che i medici che la praticano siano prima di tutto dei buoni diagnosti e non la interpretino come una medicina alternativa bensì come un metodo clinico-terapeutico che ne arricchisca il bagaglio medico-scientifico.

(Assisi)


Un po' di storia
La medicina omeopatica nasce alla fine del XVIII secolo ad opera di Samuel Friedrich Christian Hahnemann (1755 - 1843), medico sassone colto e innovativo il quale, sulla spinta della ricerca di un metodo razionale di terapia, riscoprì, mettendolo al vaglio del metodo sperimentale, il principio di similitudine di ippocratica memoria. Questo consiste nell'affermazione del parallelismo di azione tra il potere terapeutico e il potere sperimentale di una sostanza (similia similibus curentur: se ad esempio, nella farmacopea omeopatica PHOSPHORUS è il miglior rimedio di alcune epatopatie, lo si deve alla constatazione del suo potere epatotossico; l'uso di APIS MELLIFICA in dermopatie aventi il pomfo come lesione elementare, allo stesso modo, risponde al parallelo potere del veleno d'ape di creare lesioni simili.

Il principio di similitudine, si badi bene, fu enunciato da Hahnemann dopo sei anni di sperimentazioni. Egli , laureatosi nel 1779 ed esercitata la medicina pratica per un decennio, se ne distaccò per dedicarsi alla ricerca. La definizione del contesto in cui Hahnemann si trovò ad operare non è priva di importanza: il XVIII secolo, infatti, se da una parte è l'epoca di Morgagni e dunque dello sviluppo dell'anatomia patologica, dal punto di vista della terapia è teatro del più spericolato empirismo; non diomentichiamo che la farmacologia propriamente detta nascerà soltanto nel 1806, con l'isolamento della morfina dall'oppio da parte del farmacista tedesco Sertüner. L'assenza di un principio che regoli la razionalità del curare è dunque il rovello principale di Hahnemann.

La scintilla che ispira al medico tedesco la formulazione dell'ipotesi della similitudine è la traduzione, nel 1790, della Materia Medica dello scozzese Cullen, in cui venivano descritti i sintomi di intossicazione accidentale con la corteccia di china: Hahnemann viene folgorato dall'analogia tra tali sintomi e l'impiego terapeutico della china. Sperimenta allora su di sé gli effetti della china e, negli anni successivi, di un'altra ventina di sostanze, seguendo l'idea, già propugnata prima di lui da altri medici tedeschi come Haller, di sperimentare i farmaci sull'uomo. Scrive Hahnemann: "Per approfondire gli effetti dei medicamenti [...] ci si dovrebbe affidare il meno possibile al caso, ma, al contrario, procedere sempre razionalmente[..] Non ci resta dunque che sperimentare sull'organismo umano i medicamenti di cui si vuole conoscere la potenza medicinale [..]
Per scoprire le vere proprietà medicinali di una sostanza nelle affezioni croniche, si deve portare l'attenzione sulla malattia artificiale particolare che essa provoca nell'organismo, allo scopo di adatarla ad uno stato patologico analogo [...]. Per guarire radicalmente da certe affezioni croniche, si devono cercare dei rimedi che provochino sull'organismo umano una malattia analoga e la più analoga che sia possibile".


(Assisi)


Nel 1796 Hanhnemann espose questi principi, argomentandoli adeguatamente, nel "Saggio su un nuovo principio per scoprire le virtù curative delle sostanze medicinali". Per quelle coincidenze significative che attraversano la storia dll'uomo, il 1796 rappresenta una data cruciale per la medicina moderna: Jenner effettua infatti la prima vaccinazione, immunizzando un ragazzo dal vaiolo umano mediante l'inoculazione del contenuto di pustole del vaiolo vaccino. Si tratta, a ben vedere, di una particolare applicazione del principio di similitudine; non a caso, in fatti, Hahnemann scrive, tra i primi, un articolo elogiativo della scoperta di Jenner. Il 1796 pertando può essere considerato l'anno di nascita dell'omeopatia, sebbene il termine sia stato introdotto da Hahnemann molto più tardi, nel 1808. Il ritorno sulla scena clinica segna per Hahnemann l'urgenza di altre problematiche, prima di ogni altra quella relativa, per esprimerci col linguaggio nostro, all'indice terapeutico. Egli perviene così all'idea, e alla pratica, della diluizione dinamizzata: ovvero alla progressiva attenuazione della quantità di sostanza per cui, all'atto pratico, ogni farmaco omeopatico si presenta in piccole dosi, sufficienti a innescare la reazione riparativa ma non più tossiche.

Tutt'oggi il farmaco omeopatico viene indicato conuna nomenclatura internazionale per cui al nome latino vengono fatti seguire un numero, che indica il numero di diluizioni subite; la lettera C (più raramente la D), che indica il fatto che le diluizioni sono state effettuate 1 a 100 (più raramente 1 a 10), ovvero con il metodo centesimale (più rararmente decimale); la lettera H, che sta per hahnemanniano.

Per fare un esempio, NUX VOMICA 9CH indica la nona diluizione centesimale hahnemanniana di noce vomica, una pianta della famiglia delle loganiaceee che, essendo sperimentalmente in grado di produrre un quadro dispeptico su base neurodistonica, è omeopaticamente indicata qualora il paziente manifesti un disturbo simile. Esistono altri medoti di preparazione, meno diffusi e meno importanti, la cui descrizione esula i limiti del presente articolo. (Per un approfondimento, vedi anche: Il farmaco omeopatico: le diluizioni )

(Assisi)


Per riassumere i principali assunti che regolano il metodo omeopatico, possiamo enunciare quanto segue:
1) Ogni sostanza farmacologicamente attiva è in grado di produrre un quadro clinico caratteristico della sostanza impiegata (sperimetazione patogenetica).
2) Ogni malato presenta un quadro clinico caratteristco della sua reattività nei confronti di una noxa morbosa.
3) La guarigione si ottiene con la somministrazione, a dosi deboli o infinitesimali, della sostanza che si sia mostrata sperimentalmente in grado di produrre un quadro clinico simile a quello che si vuole curare.

A volerlo approfondire, il metodo clinico-terapeutico omeopatico presenta numerose altre implicazioni, non ultima il recupero di una dimensione tipologica che, soprattutto nell'approccio al malato cronico, rappresenta un ampliamento semeiologico di grandde rilevanza. Soprattutto la semeiotica, d'altra parte, riceve un impulso dalla necessità di esplorare il paziente nei minuti dettagli, al fine di prescrivere il farmaco che gli è più simile. Si potrebbe dire che, se per divenire un buon omeopata occorre essere un buon medico, conoscendo l'omeopatia un buon medico può trasformarsi in un medico migliore, anche nei casi in cui la terapia omeopatica non sia elettiva e dunque la scelta terapeutica rientri nell'ambito della farmacopea convenzionale.

Difatti il primo obbligo di un buon medico deve rimanere la capacità di effettuare una diagnosi, ed è il caso di spazzare via una volta per tutte il pregiudizio che prescrive un'incompatibilità tra intervento omeopatico e intervento convenzionale: il medico deve decidere, di volta in volta, quale sia il metodo terapeutico migliore per quel determinato paziente, e talvolta il metodo migliore consiste in una ragionevole alternanza o convivenza di omeopatia e allopatia. Gli atteggiamenti integralisti non sono mai equilibrati e la buona medicina è una sola. Non è un caso che proprio dalla medicina interna, cioè da quella specializzazione che nella sua essenza non è specializzazione ma semmai perfezionamento, viene oggi un forte richiamo all'interpretazione d'insieme del paziente, mancando la quale si rischia di mancare la diagnosi.

Pur rimanendo nello spirito di un articolo introduttivo, ci preme non eludere il punto su cui convergono le maggiori polemiche tra sostenitori e detrattori dell'omeopatia, ossia il problema delle diluizioni, che sono così spinte da farci chiedere che cosa agisca in un farmaco omeopatico. In attesa di una risposta certa che, diciamolo subito, ancora non c'è, non ci si può accontentare di un atto di fede, né portare al rango di prova le testimonianze delle guarigioni avvenute: l'effetto placebo esiste, e la complessa articolazione del rapporto medico-paziente che avviene nel corso di un'approfondita visita omeopatica non può che amplificarlo. In questo caso non c'è nulla di male ma siamo al di fuori di una dimostrazione di efficacia oggettiva, per raggiungere la quale non c'è altra possibilità che percorrere la via della ricerca: ricerca di base e sperimentazione clinica, effettuate in doppio cieco contro placebo su popolazione randomizzata. Ricerche di questo tipo sono state e sono effettuate in tutto il mondo, con mezzi e qualità maggiori, ovviamente, in Paesi dove la regolamentazione legislativa è un fatto acquisito, come la Francia. Le ricerche più significative sono quelle pubblicate su riviste esterne al mondo omeopatico e ad esse rimandiamo per la conoscenza dello stato dell'arte.

(Lecce)

Non si dica più, però, che l'omeopatia non ha basi scientifiche. Essa si configura sin dalle origini come una disciplina che ossequia il metodo sperimentale, se è vero che Hahnemann percorse con estremo rigore le quattro tappe del metodo galileiano: 1) osservazione di un fenomeno; 2) formulazione di un'ipotesi; 3) verifica sperimentale;
4) enunciazione di una legge.
La valenza umanistica, certamente peculiare alla prassi omeopatica, costituisce un arricchimento clinico, che però non può mai rappresentare una deroga all'appartenenza a uno statuto scientifico. La forza dell'omeopatia è pertanto di essere al tempo stesso una disciplina scientifica e una raffinata terapia della persona.

Luigi Turinese

Articolo pubblicato su "Farmacia Anno Duemila" - Formazione ed Aggiornamento professionale del Farmacista - pagg.108/111 - Nobile Collegio Clinico Farmaceutico Universitas Aromatariorum Urbis - Accademia Romana di Storia della Farmacia e di Scienze Farmaceutiche

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