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"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

giovedì 1 luglio 2010

La profondità del presente Saggio su Krishnamurti

di Luigi Turinese
Articolo pubblicato sulla Gazzetta di Parma del 16 ottobre 1986, in occasione della morte di Krishnamurti




Scrivere su Krishnamurti è compito arduo per più ragioni. Si tratta di un personaggio che sfugge alle classificazioni e che per la sua "asciuttezza" dottrinale si presta ad operazioni intepretative sovente illeggittime, favorite da quell'ipertrofia del penserio classificatorio e separativo che egli, per più di mezzo secolo, ha additato come responsabile maggiore della nostra conflittualità.
Inoltre Krishnamurti ci ha lasciato pochi mesi fa, e la scomparsa di una figura del suo rilievo può dar luogo ad intenti celebrativi che, anche se autentici e sentiti, non rendono un buon servizio all'appassionata esortazione krishnamurtiana a non essere autorità spirituale.
La sua vita, nello spazio di novanta anni, ha conosciuto una grande quantità di eventi straordinari e al tempo stesso un accanito approfondimento della stessa tematica: quella della libertà dell'uomo, della sua liberazione dal dolore. L'approccio krishnamurtiano si distingue dal suo radicalismo: colpiscono l'invito a non dipendere da alcuna autorità e il rifiuto di ogni pratica religiosa formale.
Conoscendo la biografia dei primi trentacinque anni della vita di Krishnamurti, si può comprendere meglio la sua insistenza sul problema dell'autorità psicologica: egli lo esplorò, vivendolo in prima persona: designato dalla Società Teosofica ad "ospitare" l'incarnazione del Signore Maitreya, venne adorato come una divinità da migliaia di persone pronte ad affidarsi all'autorità di un Maestro.
Il resto della storia è noto: con forza morale e spirito critico straordinari Krishnamurti abbandona il ruolo di Messia, tra lo sconcerto dei teosofi: il tono si fa più personale e diretto. "Non parlate più di me come di un'autorità. Mi rifiuto di farvi da puntello. Non ho alcuna voglia di entrare in una gabbia perché possiate onorarmi. Qunado portate l'aria fresca di montagna in una cameretta, la freschezza di quell'aria scompare e c'è ristagno. Io proclamo che la Verità è una terra senza vie e non ci si può avvicinare con una via qualsiasi, con una religione, con una setta... La Verità, essendo senza limiti, incondizionata ... non si può organizzare ... Non voglio seguaci ... dal momento in cui seguite qualcuno smettete di seguire la Verità ... A me interessa solo una cosa veramente essenziale: liberare l'uomo. Desidero liberarlo da tutte le gabbie, da tutte le paure, e non voglio fondare religioni ... o stabilire nuove teorie e nuove filosofie." Affidando le proprie speranze a una credenza, a un maestro, a una istituzione rinunciamo alla liberta. Noi compiamo questo passo per sentirci più sicuri, ma così facendo ci isoliamo dal nostro vero essere: ci identifichiamo con questo e con quello, costruiamo aspettative in questa o in un'altra vita, creiamo immagini e simboli che rispecchiano le nostre paure e i nostri desideri. La polemica di Krishnamurti sul Dio costruito a nostra immagine e somiglianza non conduce a un ateismo di stampo feuerbachiano, ma libera la ricerca della verità da ogni preconcetto basato sul desiderio di sicurezza. Solo così ci si può accostare alla realtà in povertà di spirito, con quella semplicità che sola garantisce la possibilità di incontrare ciò che è.

I dogmi, le autorità, le pratiche istituzionalizzate sono visti da Krishnamurti come altrettante distrazioni da ciò che solamente esiste: il presente, il senza tempo. L'invadenza del passato, le aspettative circa il futuro costituiscono gli impedimenti ad essere nel presente, gli ostacoli alla vita vera, alla comprensione della verità. Lo vediamo ogni giorno, nelle nostre relazioni malate, nelle nostre vite in cui la sofferenza viene invitata in mille forme: il nostro incontro con le cose e con gli altri subisce il diaframma della memoria psicologica, creata dall'accumulo delle precedenti esperienze e fonte perciò di desiderio o avversione, mai di relazione autentica, innocente, diretta.
Per Krishnamurti essere in relazione è "comunicare accuratamente". Questa accuratezza, questa attenzione amorevole è il fulcro della "filosofia" krishnamurtiana. Applicare coscientemente l'attenzione ai nostri moti interiori ce li fa comprendere. "Potete osservare voi stessi proprio come se foste dvanti a uno specchio? Nello specchio appare quello che siete realmente. Osservate semplicemente senza reazioni emotive: guardate il fatto così com'è; se non pretenderete di essere voi a parlare del fatto, allora sarà il fatto ... a raccontarvi la sua storia."

Il "metodo" di Krishnamurti, nella sua semplicità, non offre scappatoie, siano pure colorite di spiritualità: esso è implacabile aderenza al presente, consapevolezza senza scelta di ciò che il momento semina sul campo dell'attenzione."Senza dubbio l'unica cosa che può determinare il mutamento fondamentale, e uno scatenamente creativo, psicologico, è la vigilanza quotidiana, l'essere consapevoli momento per momento dei nostri motivi, sia di quelli consci che di quelli inconsci."
L'alternativa è la mente confusa, irretita nel gioco proiettivo del ciò che fu, che sarà, che potrebbe essere. Laddove "tutta la sofferenza psicologica - come fa rilevare acutamente Corrado Pensa - nasce dall'impartire realtà a ciò che fu, a ciò che sarà, a ciò che potrebbe essere e dal togliere realtà a ciò che è ora." (C. Pensa "Krishnamurti o la profondità del presente", Paramita n 20, ottobre - dicembre 1986)

Questo atteggiamento separativo del pensiero permea ogni nostro comportamento, incluso ciò che siamo soliti chiamare meditazione. Ci troviamo qui al cospetto di uno dei luoghi krishnamurtiani più delicati e soggetti ad equivoci. Il radicalismo di Krishamurti abbatte impietosamente l'ultima illusione. Non è tuttavia la meditazione il suo bersaglio, bensì ciò che sotto questa ennesima etichetta ripropone la fuga da ciò che è.
Praticare la concentrazione non significa meditare, ma soltanto limitare a un oggetto l'area della coscienza, eludendo tutto il resto; farsi adepti di rituali esoterici, recitare mantra o seguire un qualunque sistema conduce a un rafforzamento dell'ego, e dunque a una più sottile separazione; recarsi in India per conseguire la realizzazione spirituale distoglie dalla comprensione di ciò che siamo. "La verità non è in India o in qualche altro paese ... La verità è qui dove siete voi, dove sono le vostre pene, i vostri tormenti, il vostro sconforto, la vostra infelicità."

Caduti uno ad uno gli appigli dell'ego, che cosa rimane? Rimane l'osservazione pura, la consapevolezza che non sceglie, l'attenzione che non giudica. Questo processo investe ogni cosa che sorge nell'orizzonte della coscienza, di momento in momento, e pertanto non può essere confinato in pratiche abitudinarie. "Chi è pienamente consapevole sta meditando."
Questa essenzialità taglia le gambe alla nostra pigrizia, a ogni tentazione di accontentarci di "fare meditazione" venti minuti al giorno: essa chiede una dedizione completa alla Vita. "Meditare non è tanto facile come mettersi a sedere a gambe incrociate e perdersi in assurdità sensa senso. Meditare richiede tremenda attenzione e una straordinaria capacità di penetrazione in voi stessi."
Non si oppone dunque alla meditazione Krishnamurti, ma ne auspica con forza l'onnipervadenza nelle nostre esistenze, troppo presto paghe o addirittura spiritualmente orgogliose di un suo uso hobbistico e dopolavoristico. Come non ricordare a questo proposito l'esortazione di S. Paolo "Pregate incessantemente" (I Tessalonocesi - 5,17)? Questo richiede una continua vigilanza, un mutamento del nostro atteggiamento mentale.

Ma l'importanza della posta in gioco è notevole, vorrei dire assoluta. C'è la possibilità di vivere come quei discepoli del Buddha di cui l'Illuminato - alieno quanto Krishnamurti da rituali e dogmatismi, solo più tardi introdotti in certe forme di Buddhismo - diceva: "Non si pentono del passato, non si preoccupano del futuro, ma vivono nel presente. Ecco perché sono radiosi. Preoccupandosi per il futuro e rammaricandosi per il passato, gli sciocchi inaridiscono, come canne verdi tagliate esposte al sole".


Luigi Turinese


 Foto (di Gianna Tarantino):
1. "Japamala"; 2. "Pink Loto (and several little Buddhas on the background) "; 3. "Vas alchemicum"

Articolo pubblicato su "Il Nuovo Raccoglitore" - Quindicinale di cultura n.86, anno IV della Gazzetta di Parma, Giovedì 16 ottobre 1986

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