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giovedì 3 novembre 2011

Le Recensioni di L.T. - “Così parlò Shehrazade", di F. O. Dubosc

Fabrice Olivier Dubosc: “Così parlò Shehrazade. Trasgressione e conoscenza nelle Mille e una notte” – Vivarium, Milano 2003, pp. 267

L’Autore, psicologo svizzero formatosi a Milano, ha vissuto in Turchia abbastanza anni da assimilare i temi della cultura islamica. La sua formazione si è affinata con gli strumenti della psicologia analitica, come testimonia anche il volume curato successivamente a quello che qui presentiamo (“Dialogare nel mito” – Vivarium 2004) e in cui viene indagata la dimensione simbolica nel confronto interculturale.

Tale confronto costituisce il punto di partenza anche del lavoro che prende spunto dalle Mille e una notte, la raccolta di racconti elaborati tra il IX e il XV secolo tra India, Iran e Iraq e che presero forma definitiva in Egitto.
Come insegna Ibn Arabi, la rivelazione sapienziale libera le forme immaginali prigioniere: come dire che gli archetipi sottendono la narrazione. Si può applicare questo principio alle Notti, i cui racconti – secondo la von Franz – “ […] hanno lo scopo di correggere, in modo quasi terapeutico, le idee sbagliate e l’atteggiamento errato del Sultano nei confronti del principio femminile”.

La vicenda è nota: un Sultano ferito in amore decide di giacere con le sue concubine per una notte; dopodiché, all’alba, le fa giustiziare. Quando è il turno di Shehrazade, questa intrattiene il Sultano raccontando storie: mille e una, appunto. Si tratta – per parafrasare Hillman – di storie che curano: oltre a salvare la sua vita, la bella e sapiente donna riesce così a curare la follia del sovrano, che alla fine la sposa. La terapia consiste in definitiva nel recupero della dimensione immaginale.

Le Mille e una Notte descrivono le vicissitudini del principio femminile; e, sul piano socio-culturale, conferiscono al potere erotico delle donne il ruolo di contrappeso fantastico – o per meglio dire immaginale – rispetto alla segregazione loro imposta dal diritto positivo islamico.
Basti pensare che, in tempi recenti, i fondamentalisti egiziani hanno bruciato pubblicamente il libro; d’altro canto, fioriscono riletture arabe contemporanee dell’opera.

Il lavoro di Dubosc è diviso nettamente in due parti di lunghezza simile, ciascuna col suo apparato di note. Una avvertenza suggerisce opportunamente di leggere la seconda parte, forse impropriamente chiamata appendice, prima del testo di Dubosc, che ne costituisce il commento. La citata appendice non è altro che il racconto delle notti tra la quattrocentottantaduesima e la cinquecentotrentaseiesima, comprendenti il cosiddetto ciclo di Hasîb, il cui andamento “ipertestuale” si estende fino a comprendere le avventure di Bulûqiyyâ e la storia di Janshah.
I temi archetipici sono innumerevoli: dall’anello del potere (di re Salomone) – che dunque non appartiene solo alla mitologia nordica – alla ricerca amorosa come passo iniziatico; fino ai simboli del mondo ctonio, come il miele e soprattutto la Regina dei serpenti, figura di iniziazione al mondo infero che ha più di un contatto con la pitonessa di biblica memoria e in qualche modo anche con la pizia, sacerdotessa dell’oracolo di Delfi.

Il commento di Dubosc percorre con perizia tutti i passaggi del racconto, avvalendosi di strumenti interdisciplinari ma soprattutto – com’è ovvio – analitici. Molto interessante, in particolare, il capitolo intitolato “Sociobiologia della trasmissione”, in cui si traccia un profilo evoluzionistico delle differenze di genere. Viene anche spiegato che la sopravvivenza del principio femminile nel mondo islamico giunge da lontano, addirittura dalle divinità preislamiche: difatti il politeismo che il Profeta si trovò a riformare comprendeva, oltre a circa trecentosessanta divinità “minori”, Allah e le sue tre figlie (la dea, la vergine, la potente); lo stesso Maometto entrò in conflitto coi notabili della Mecca sull’abolizione del culto alle dee.
Si potrebbe dire che la sopravvivenza carsica del principio femminile sia responsabile della “[…] controcultura dell’immaginario (e dell’immaginale) […] tramandata e rappresentata con passione nei ginecei delle case musulmane” (p. 56).

Preziosa, per suffragare questa tesi, è la prefazione, che consiste in un’intervista dell’autore a Fatema Mernissi, sociologa e scrittrice marocchina (ricordiamo “L’Harem e l’Occidente”, edito in Italia da Giunti) attenta alla questione dei rapporti tra i sessi nel mondo islamico. Commovente il suo ricordo della nonna Jasmina, analfabeta ma combattiva nel difendere la tradizione orale, immortalata ne “La terrazza proibita: vita nell’harem”, anch’esso edito in italiano da Giunti.

Perché, come viene sovente ripetuto nei racconti delle Notti, davvero “una storia può valere una vita”.

Luigi Turinese

In foto: "Arazzo"

Recensione apparsa su "Dialogare con l'Islam", "Rivista di Psicologia Analitica", "Nuova serie n.18, La biblioteca di Vivarium, 70/2004, pp. 145-146

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