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"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

sabato 5 novembre 2011

Le Recensioni di L.T. - "Psicologia analitica, percorsi italiani", di M. Pignatelli

Marcello Pignatelli, Psicologia analitica, percorsi italiani. Il racconto di un testimone, Edizioni Magi. Roma 2007, pp. 147

Una disciplina che non studia la propria storia tradisce se stessa; e finisce per patire le storture di un aspetto puer privo della dialettica con la serietà e il senso storico appannaggio di ciò che chiamiamo senex. Ne consegue una sorta di mancanza di prospettiva e alla fine, inevitabilmente, il ricorso a coperture teoretiche più solide e strutturate.
La deriva neofreudiana di tanto junghismo nostrano si spiega anche così: come ricerca di una “base sicura” che compensi e completi una prassi volonterosa ma fragile e “disincarnata”.

A testimonianza di ciò che vado scrivendo, si deve registrare una quasi totale assenza di senso storico nella comunità junghiana italiana. Non solo in Italia non si è ancora palesato uno Shamdasani – massimo storico mondiale della Psicologia Analitica – ma neppure sembra esserci un genuino interesse per l’argomento.
Ben vengano, allora, aurei libretti come questo di Marcello Pignatelli che, con linguaggio leggero, individua problematiche complesse e soprattutto rende sempre visibile la natura ambivalente di ogni umano agire; a partire, appunto, dall’agire storico.
Insomma, se non fosse stato prima un ottimo medico, poi un importante analista, Pignatelli avrebbe saputo svolgere un ruolo egregio nel giornalismo di divulgazione. Il suo intento dichiarato è “[…] da una parte raccontare i fatti […], dall’altra collocarli nel contesto emotivo” (p. 11).

Bisogna dire che le premesse vengono rispettate. Narrare le origini della Psicologia Analitica italiana nell’opera di Ernst Bernhard significa anche comprendere da quale codice genetico accidentato abbia origine la nostra prassi; codice genetico che spiega in parte “ le formazioni reattive dei figli” (p. 31).
Si comprende meglio – alla luce dei ricordi dell’Autore – come riescano a convivere nella nostra società analitica aspetti sciamanici accanto a improvvise rigidità che, a ben vedere, ne costituiscono il tentativo, non sempre integrato, di rappresentarne una correzione. Il paragrafo sulla malattia e la morte di Bernhard è uno dei punti più toccanti del libro. “Ho compreso a fondo Bernhard solo di fronte alla morte” (p. 37), scrive l’allievo che aveva visto mettere a dura prova la sua educazione scientifica e cartesiana.

Morto il Maestro, la giovane AIPA subisce vari scossoni, da uno dei quali si sviluppa la costola del CIPA. Per i più giovani di noi, conoscere questi passaggi è salutare. Vengono narrati gli inizi delle riviste di area junghiana (a p. 135 verrà anche ricordata la più recente fondazione di Studi junghiani), nei quali si distingue la formidabile capacità organizzativa di Aldo Carotenuto, uno dei clerici vagantes – gli altri erano Antonino Lo Cascio, Paolo Aite e lo stesso Pignatelli – che giravano l’Italia in lungo e in largo proponendo il verbo junghiano a folle di ascoltatori curiosi. Non dimentichiamo che ciò avveniva in quegli anni ’70 nel corso dei quali ogni novità riceveva ascolto ben più volentieri di oggi.
Qui l’aneddotica di cui è provvista la memoria di Pignatelli si fa preziosa. A un certo punto fa capolino una critica, moderata ma ferma, alla legge che regolamenterà la psicoterapia: la fase aurorale, romantica, lascia ormai il campo all’istituzionalizzazione.

Qua e là vengono raccontati frammenti di casi clinici, che mostrano come l’Autore abbia sempre cercato di coniugare “prassi medica e approccio umanistico” (p. 85). Sono anche accennate varie questioni tecniche, come quella relativa alla formazione dei nuovi analisti. Si è colpiti dal fatto che Pignatelli non abbandona mai il buon senso, a costo di “tradire” le regole analitiche, quando queste mostrano tratti disumani. In questo, potremmo dire che egli non cessa mai di essere medico. Tuttavia, non vi è mai la sensazione di una perdita di rigore.

Tutto il libro è percorso da una grande saggezza e tolleranza, con aperture sorprendenti. Per esempio si citano gli sviluppi gruppali, l’apporto delle neuroscienze e finanche la neonata consulenza filosofica, con la variante costituita dall’analisi biografica a orientamento filosofico. Tutto ciò denota una grande capacità di comprensione dell’evoluzione storica, tanto più – diciamolo – a un’età in cui ci si potrebbe facilmente e legittimamente accontentare di trascorsi gloriosi.

Luigi Turinese

In foto: "L’attesa"

Recensione apparsa su "Psiche e Psichiatria", "Rivista di Psicologia Analitica", Nuova serie n.12, La biblioteca di Vivarium, 64/2001, pp. 250-253

e su:


"Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura" n. 6 "Dalla maieutica al transfert. Psicoterapia e consulenza filosofica a confronto", Aprile 2008, pp. 315-317

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