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"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

venerdì 12 ottobre 2018

Biotypology 2018 "Menopausa e ipertrofia prostatica', Roma 13 Ottobre




BIOTYPOLOGY
Sabato 13 Ottobre 2018
Roma,
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venerdì 5 ottobre 2018

"Hahnemann e la Psichiatria" , di Luigi Turinese


Hahnemann e la Psichiatria
di
Luigi Turinese


Opus contra naturam  (Foto Gianna Tarantino)

“Dopo aver condotto per molti anni uno studio particolareggiato di disturbi della specie più persistente e generalmente incurabili, e di malattie veneree, cachessia, ipocondria e follia, progettai, con l’assistenza dell’onesto Duca (1) , una casa di cura per questo tipo di malattie a Georgenthal, nei pressi di Gotha; fu allora che Klockenbring mi fu condotto da Hannover” (2)

Nell’anamnesi omeopatica, come sappiamo, una parte di rilievo è occupata dall’indagine sul carattere del paziente e sugli eventuali sintomi psichici concomitanti. Il tenore stesso delle domande, volte a far luce su di un’area comunemente ignorata dal medico pratico che non sia specialista in psichiatria, contribuisce a creare una salda relazione medico-paziente e qualcosa che somiglia ad un clima psicoterapeutico.
Qui, dopo tutto, risiede l’origine di quell’effetto placebo che il trattamento omeopatico sembra in effetti possedere in misura maggiore rispetto alle terapie convenzionali e che, se diventa lo strale preferito dai detrattori, dovrebbe invece costituire motivo di vanto per gli omeopati: perché possedere una tecnica anamnestica dotata per così dire di azione terapeutica non è cosa di poco conto.

Il fatto che l’anamnesi omeopatica lasci emergere contenuti psichici ha una duplice conseguenza: da un lato contribuisce a rinsaldare il rapporto tra medico e paziente, con ovvie implicazioni positive, anche sotto il profilo terapeutico e della compliance da parte del malato; dall’altro immette nel campo terapeutico materiali e questioni che, nel caso di pazienti nevrotici, abbisognerebbero di un intervento psicoterapeutico: in questi casi occorre molto buon senso, perché omeopatia e psicoterapia sono interfacciate ma non sono la stessa cosa.
Indubbiamente, all’origine dell’importanza che l’Omeopatia conferisce alla valutazione dell’area psicologica concorre più di un motivo. Certamente vi è un motivo tecnico, ovvero la necessità di porre il maggior numero di elementi gerarchicamente significativi – l’area psicologica certamente lo è – al vaglio della similitudine. Scrive Hahnemann nella “Materia Medica Pura” (1811-1821): “L’impiego omeopatico dei medicinali è più indicato quando non solo i sintomi somatici del rimedio sono simili a quelli della malattia, ma anche quando le alterazioni mentali ed emozionali provocate dalla droga incontrano stati simili nel quadro morboso da curare”. Alcune scuole posthahnemanniane, in verità, hanno in un certo senso ipertrofizzato, isolandole o quanto meno eleggendole a elemento trainante nella ricerca della similitudine, le alterazioni mentali ed emozionali. Oltre al motivo tecnico testé richiamato, però, vi è un motivo storico poco noto, che rivela una disposizione naturale del padre fondatore all’ascolto e alla comprensione del paziente.

Come si ricorderà, Hahnemann si astenne dall’attività clinica a partire dal 1789 per dedicarsi, a partire dall’anno seguente, alla ricerca di un nuovo principio sulla scorta del quale riedificare la clinica. Questo principio, noto come principio di similitudine, troverà una prima enunciazione nel 1796, con la pubblicazione del “Saggio su un nuovo principio per scoprire le virtù curative delle sostanze medicinali, seguito da qualche considerazione sui principî accettati fino ai nostri giorni”, nel quale Hahnemann trae le prime conclusioni di sei anni di sperimentazioni di sostanze medicinali sull’uomo sano.
Il Saggio costituisce in un certo senso l’atto di nascita dell’Omeopatia (anche se il termine Omeopatia apparirà solo nel 1808, nella “Lettera a un medico di alto rango sull’urgenza di una riforma in medicina”); e insieme il colpo d’ala con il quale Hahnemann si solleva da una posizione di mera contestazione della medicina del suo tempo a un livello propositivo e originale. Ad ospitarlo è il secondo numero del Journal der Pratictischen Arzneykunde und Wundarzneykunst, fondato l’anno prima da Cristoph Wilhelm Hufeland (1762-1836), vessillifero della medicina modernista e professore di clinica medica a Jena.
Dunque gli anni dal 1790 al 1796 furono anni di studio e di ricerca, con l’obiettivo di trovare una solida base teorico-pratica sulla quale rifondare l’attività clinica, temporaneamente sospesa.

All’incirca a metà di tale percorso, tuttavia, ci fu un episodio clinico, isolato ma saliente e carico di implicazioni epistemologiche. Siamo nel 1792. La morte del Principe Leopoldo, figlio dell’Imperatrice Maria Teresa, spinge Hahnemann a lanciarsi in una pubblica accusa nei confronti del medico di corte, Lagusius, che ha salassato il paziente per ben quattro volte in ventiquattro ore. La polemica assume toni durissimi; e consente ad Hahnemann di utilizzare quel singolo caso per scagliarsi con una violenza senza mediazioni contro le pratiche – allora molto in uso – dei salassi, degli emetici, dei purganti. L’editore dell’articolo, Becker, forse anche per allontanare il suo confratello massone (Hahnemann aveva aderito alla Massoneria nel 1777) da ulteriori polemiche che non gli avrebbero giovato, gli procura l’incarico di direttore del manicomio di Georgenthal, in Turingia.
Si tratta di uno spazio ricavato dal riadattamento del castello di caccia di Ernst, duca di Gotha, e ospiterà un solo paziente: Friedrich Klockenbring, alto funzionario della cancelleria di Hannover e ministro di polizia, curato senza risultati, tra gli altri, dal dottor Wichmann, medico di corte di Hannover. La moglie, avendo letto su una rivista di divulgazione medica la notizia della prossima apertura dell’ospedale psichiatrico di Georgenthal, decide di tentare quest’ultima carta.
È l’inizio dell’estate del 1792 e un uomo malinconico, sporco, col viso pieno di macchie e l’espressione idiota viene condotto dalla moglie nel castello adibito ad ospedale. L’attuale linguaggio psichiatrico lo diagnosticherebbe probabilmente come uno psicotico maniaco-depressivo con elementi deliranti. È altresì probabile, da notizie in nostro possesso, che il grave quadro clinico sia espressione di una sifilide secondaria. Lunghi periodi di taciturna malinconia si intercalano con fasi eccitatorie in cui egli, guidato da un’energia allucinata e febbrile, declama brani dell’Iliade in greco e testi in ebraico, canta arie dallo Stabat Mater di Pergolesi, recita a memoria passaggi dell’Inferno di Dante o del Paradiso perduto  di Milton, elenca lunghe formule algebriche. Una volta – spinto dall’ansia di conoscere i misteri dell’armonia – fa a pezzi un pianoforte.

Hahnemann trasferisce l’intera famiglia a Georgenthal; per nove mesi osserva il malato, rimane lunghe ore con lui, lo ascolta. Soprattutto, non usa i mezzi di coercizione in uso all’epoca.

Nel febbraio 1796, pubblicando sul Deutsch Monatschrift il caso clinico in questione (“Ritratto di Klockenbring durante la sua follia”), scriverà: “Non faccio mai punire gli alienati con percosse o con altre pene corporali, perché ritengo che non si possa punire la ‘follia’ involontaria; sono convinto che questi malati abbiano diritto alla nostra pietà e che la loro condizione si aggravi quanto più essi vengono maltrattati, senza poter riporre alcuna speranza in un miglioramento: lui mi mostrava spesso i segni delle percosse che i guardiani precedenti gli avevano inflitto durante il ricovero. Il medico di questi infelici deve potersi far rispettare da loro, ma deve anche ispirare loro fiducia; non si ritiene mai offeso da quanto essi possano dire o fare, perché agli alienati è impossibile offendere qualcuno. I loro irragionevoli accessi di collera suscitano la sua comprensione per uno stato tanto meritevole di pietà e suscitano in lui quell’amore per il prossimo che lo induce ad aiutarli” .
Hahnemann si trova immerso nello spirito del suo tempo. Egli, in realtà, non inventa nulla ma applica il buon senso e probabilmente ha ricevuto un’eco della riforma che ha luogo a Parigi in quegli stessi anni ad opera di Philippe Pinel (1745-1826); questi, proprio nei mesi in cui Hahnemann e Klockenbring si fronteggiano nel manicomio di Georgenthal, libera dalle catene i pazzi dell’ospedale Bicêtre, una struttura trasformata via via in ospedale militare, orfanotrofio, prigione e il cui ospite più illustre era stato Donatien Alphonse François de Sade (1740-1814).

Risale infatti a Pinel – e poi al suo erede Jean-Étienne-Dominique Esquirol (1772-1840) – una vera e propria riforma dell’orizzonte psichiatrico, che oltre ai metodi rivoluzionerà il punto di vista sulla follia. Come dirà Hegel, attento lettore di Pinel, nel folle rimane sempre un residuo di ragione, alla quale bisognerà guardare per comprendere e curare la malattia mentale.
"Più o meno, i folli ragionano tutti", scriverà Esquirol nella sua tesi di dottorato del 1805. Ed ancora: "Non solo le passioni sono la causa più comune dell'alienazione, ma intrattengono con questa malattia e con le sue varietà dei sorprendenti rapporti di somiglianza”.
Quest’ultima affermazione può senz’altro applicarsi al caso di Klockenbring, erudito di grande valore ma emotivamente fragile, il cui equilibrio psichico dipende in grande misura dagli umori dell’opinione pubblica. Il suo temperamento eccentrico riceve un colpo irrimediabile allorché il drammaturgo Kotzebue lo diffama in un pamphlet, accusandolo di essere socio del malfamato scrittore Karl Bahrdt, dipinto come alcoolista e sfruttatore della prostituzione.
La condizione in cui Klockenbring precipita è stata illustrata in precedenza. Il trattamento di Hahnemann – in pratica una rieducazione all’umanità attraverso l’umana partecipazione – nel febbraio del 1793 restituisce Klockenbring alla famiglia e al mondo del lavoro (sebbene declassato a un incarico di minore responsabilità). Egli, probabilmente fiaccato nel corpo sebbene curato nell’anima, morirà nel giugno del 1795.

Anche a causa della difficoltà di reperire pazienti in grado di pagare la retta e l’onorario, il caso rimane isolato e nessun altro malato di mente approda al castello di Georgenthal, che viene così dismesso. A chi gli domanda quanti folli siano in cura da Hahnemann, il magistrato distrettuale risponde sarcastico: “Soltanto uno: lui stesso”. Tale è la sorte degli innovatori.

Luigi Turinese

NOTE
[1] Hahnemann si riferisce al Duca di Gotha, suo protettore.
[2] In Haehl, R. (1922, vol. I, p. 41), traduzione mia dall’inglese. 
[3] In Tétau, M. (1997): “Hahnemann. Intuizione e genialità”, Tecniche Nuove, Milano, 2003, p. 42.

BIBLIOGRAFIA

Bradford, T.L. (1885): “La nascita dell’Omeopatia. Vita e lettere di Samuel Hahnemann”, Perla Edizioni, Milano/Grosseto, 1995.
Cook, T.: “Samuel Hahnemann”, Thorsons Publishers Limited, 1981.
Demarque, D: “L’Homéopathie médecine de l’expérience”, Maisonneuve, Muolins-lès-Metz, 1981.
•         de Torrebruna, R. – Turinese, L.: “Hahnemann. Vita del padre dell’Omeopatia. Sonata in cinque movimenti”, Edizioni e/o, Roma 2007.
Guillot, R.-P.: “Samuel Hahnemann pionnier de l’homéopathie”, Editions Sum, Genève, 1993.
Hahnemann, S. (1796): “Saggio su un nuovo principio…”, Guna Editore, Milano, 1994.
      •  Hahnemann, S. : “Striche zur Schilderung Klockenbrings während seines Trübsinns”, Deutsche Monatschrift, Leipzig, 1796.
• Haehl, R. (1922): “Samuel Hahnemann. His life and work”, B. Jain Publishers Pvt. Ltd., New Delhi, 1985.
Larnaudie, R.: “La vita sovrumana di Samuele Hahnemann, fondatore dell’omeopatia”, Fratelli Bocca Editori, Milano, 1942.
Tétau, M. (1997): “Hahnemann. Intuizione e genialità”, Tecniche Nuove, Milano, 2003.
•         Turinese, L.: “Il farmacista omeopata”, Tecniche Nuove, Milano 2002

Articolo pubblicato in HIMed – HOMEOPATHY and Integrated Medicine, Maggio 2018, Volume 9, Numero 1, pp. 18-19



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