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"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

giovedì 23 aprile 2020

Terza età e ipermedicalizzazione degli anziani - di Luigi Turinese

Note sull’ipermedicalizzazione degli anziani

“La medicina ha fatto così tanti progressi che oramai più nessuno è sano” 
(Aldous Huxley)

Il padre Anchise - foto Gianna Tarantino



In ambito geriatrico, il 30% dei ricoveri ospedalieri e il 20% delle spese sanitarie superflue sono riconducibili a prescrizioni inappropriate. Senza arrivare a questi estremi, osserviamo che non pochi anziani sono trattati con una politerapia che può superare la quantità di dieci farmaci diversi da distribuire - con fatica - all’interno della giornata. Anche soltanto considerando il rischio di interazioni tra farmaci e la difficile compliance che deriva da una così complessa gestione, si tratta di dati allarmanti.
A questi si aggiunga un fenomeno che rientra a pieno titolo tra gli effetti indesiderati generali: l’aumentato rischio di caduta prodotto da alcuni medicinali di uso comune presso gli anziani (benzodiazepine, antidepressivi, antipertensivi, ecc.), che ha condotto a compilare vere e proprie liste di Fall Risk Increasing Drugs.

Viva i pazienti spaventati
Il fatto è che i medici sono formati per prescrivere; e specularmente i pazienti sono inclini a pretendere una prescrizione, trasformandosi così da (presunti) malati a consumatori.
Il fenomeno della medicalizzazione della società non è limitato agli anziani. Basti pensare alla patologizzazione di ogni esperienza che si situi al di fuori dell’ideale di una vita senza scosse: i bambini vivaci diventano iperattivi, le delusioni sentimentali garantiscono l’ingresso nella categoria “depressione”; e così via. Per ognuno di questi inconvenienti c’è un farmaco. È come se ciascuno di noi fosse dichiarato incapace di affrontare i saliscendi della vita senza tutela medica. Questo scenario si aggroviglia in modo particolare nella cosiddetta “terza età”, anche mercé l’enfasi posta sui “fattori di rischio”.
Non si può infatti trattare il tema dell’ipermedicalizzazione separandolo dalla questione della sovradiagnosi.
A tale riguardo nel settembre 2013 si è tenuta negli USA la prima conferenza internazionale Preventing Overdiagnosis. Ben prima (2002) il British Medical Journal aveva inaugurato la rubrica “Too much medicine” e a partire dal 2010 la rivista Archives of Internal Medicine ospita la rubrica “Less is more” (d’altronde, già Ippocrate ammoniva: “Per il malato, il meno è il meglio”). Segno che anche la medicina accademica si sta accorgendo del problema.

Il target governativo o la professione medica?
L’imperfezione dei test - unita al continuo abbassamento dei valori-soglia, che trasforma ogni disturbo o anomalia statistica in una malattia in agguato –, il trattamento farmacologico di deviazioni dalla norma (già; ma qual è la norma?) che ancora non si sono palesate in quadri clinici (con gli effetti collaterali del caso), l’aspettativa indotta negli utenti di soluzioni definitive sono altrettanti limiti alla forsennata corsa allo screening.
Nel 2009 Michael Oliver, professore emerito di cardiologia presso l’Università di Edimburgo, pubblica sul British Medical Journal un articolo in cui descrive, con humour britannico, l’odissea di un gruppo di pensionati in buona salute convocati dal proprio medico di base per un check-up annuale e trasformati ipso facto in malati spaventati e bisognosi di esami diagnostici, terapie farmacologiche e drastiche proibizioni delle loro abitudini voluttuarie.
“Che razza di medicina è questa, dove la politica prevale sulla professionalità, l'ossessione per i target governativi si sostituisce al buon senso e il paternalismo rimpiazza la responsabilità personale? Sembra che la maggior parte dei Governi occidentali consideri tutte le persone al di sopra dei 75 anni come pazienti.” Una malintesa interpretazione dell’idea di medicina preventiva concorre dunque a trasformare i sani in malati.



Bibliografia:
Su disease mongering vedi Marco Bobbio, dal significativo titolo “Il malato immaginato” (Einaudi, Torino 2010).
Sull’invito a passare dalla patologia alla clinica cfr. Turinese, L.: “Modelli psicosomatici. Un approccio categoriale alla clinica”, Elsevier-Masson, Milano 2009.
Su Colesterolo vedi Marco Bobbio “Leggenda e realtà del colesterolo. Le labili certezze della medicina” (Bollati Boringhieri, Torino 1993).
Vedi anche:
Illich, I. (1976): “Nemesi medica”, Mondadori, Milano 1977.
Richard J. Ablin (2014): “Il grande inganno sulla prostata”, Raffaello Cortina, Milano 20

Luigi Turinese

Articolo apparso su Generiamo salute  - Gennaio 2020

  

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