Piazza N. Longobardi 3, 00145 Roma tel 06 51607592
"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

martedì 19 febbraio 2013

Luigi Turinese ospite allo Yoga Festival Catania 2013



venerdi 22  sabato 23 domenica 24 marzo 2013
PALAZZO DELLA CULTURA - VIA VITTORIO EMANUELE II, 121

YOGA , LA RICERCA DELLA SALUTE


Con Monica Bertauld - Philippe Djoharikian - Ilaria Evola - Stewart Gilchrist - Anna Inferrera - JayadevJaerschky - Maya Devi - Antonio Nuzzo - Myra Panascia - The Savita - Tite Togni - Luigi Turinese *- Piero Vivarelli - Paola Lucchesi 

Ospite d'onore nel pomeriggio di sabato 23 marzo, per la prima a YogaFestival Catania,
Swami Kriyananda
ultimo discepolo diretto di Paramhansa Yogananda
 con il Coro della Fratellanza Mondiale di Ananda, Assisi.
SIETE TUTTI INVITATI!

Per informazioni e richieste cataniayogafestival@gmail.comUfficio YogaFestival Catania  tel.  340 8326605 /
  095 7462365  dal lunedì al Venerdì dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 19.00.


* La relazione di Luigi Turinese:
"Elementi spirituali della cura" sarà sabato 23 alle 16.30.

domenica 17 febbraio 2013

L'ipnosi regressiva al cenacolo PerìArXòn del 25 febbraio 2013


PerìArχôn – Cenacolo di Cultura Archetipica
Conversazioni con Luigi Turinese

ogni 2° e 4° Lunedì del mese ore 19.45
A via Clementina, 7 – Roma

Programma del prossimo incontro
Lunedì 25 Febbraio 2013, ore 19.45

Gli angoli
video di Gianna Tarantino

Appunti-segnalazioni 
di Luigi Turinese

Ipnosi regressiva, una cura per l'anima 
di Giusi Polizzi 
Discussione


Info e prenotazioni:
luigiturinese.blogspot.it
periarxon@gmail.com


venerdì 8 febbraio 2013

Presentazione del libro "Buoni si nasce" - Cassino 22 febbraio 2013


Presentazione del libro di
MARIA FELICE PACITTO

Buoni si nasce, soggetti etici si diventa
La costruzione della mente etica
tra neuroscienze, filosofia, psicologia



Venerdì, 22 febbraio, ore 17
Biblioteca Comunale di Cassino ‘’P.Malatesta‘’

INCONTRANO I LETTORI
Carlo di Cicco
Vicedirettore de “l' Osservatore romano”

Giuseppe Grilli
Direttore del Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture straniere
Università Roma TRE

Luigi Turinese
Medico esperto in Omeopatia,
Psicoanalista junghiano (AIPA)

MODERA
Maria Cristina Tubaro
Giornalista

Sarà presente l'Autrice

La Prefazione di Luigi Turinese:


Maria Felice Pacitto ha scritto un libro coraggioso. Non perché occuparsi di etica significhi di per sé situarsi, come usa dirsi, “fuori dal coro”: libri sull’argomento vengono pubblicati con una certa regolarità, anche in Italia. Tuttavia, come cercherò di spiegare, il presente lavoro ha la peculiarità di tenere sempre insieme – operazione non semplice – le due qualifiche e dunque le due anime dell’Autrice: quella di matrice filosofica e quella squisitamente psicoterapeutica. Pacitto approda qui a una felice sintesi di elementi che erano già presenti in alcuni suoi lavori, segnatamente nel libro precedente (Gli antemorti, Alpes, Roma 2009), nel quale i temi del male, della colpa, della responsabilità affioravano in tutta la loro drammatica urgenza. L’Autrice percorre sino al suo logico estuario la linea tracciata da Kant il quale, nel tentare una risposta alla sempiterna domanda del biblista (“Unde Malum?”), ci ricorda che il male è elemento necessario alla scelta morale. Con un pizzico di ottimismo della volontà, ci dice che “buoni si nasce, soggetti etici si diventa”. Vorrei affettuosamente correggere con una venatura saturnina tale ottimismo, affermando che si nasce esseri umani – con tutto il corredo di Ombra, dunque di propensione al male che, riconosciuta e integrata, si può sperare al massimo di rendere inoffensiva – e si cerca faticosamente di approdare a una dimensione etica, che è la dimensione della scelta. In realtà, la dialettica tra ottimismo e pessimismo è una semplificazione nella quale Pacitto non cade, se leggiamo nella giusta luce quando scrive che “ci piace pensare l’etica come ciò che frena gli stati emotivi e pulsionali”. Appare ben chiaro che il crinale da percorrere è sottilissimo. Il bisogno di regole può dar luogo a moralismi che di etico hanno ben poco; così come un eccesso di relativismo può sfociare in un pluralismo etico che, a sua volta, dell’etica è una pallida parodia. Decisamente in controtendenza è la presa di distanza, da parte della Nostra Autrice, dalla retorica delle neuroscienze, che è giunta sino a creare innumerevoli pseudo-branche del sapere, contentandosi di apporre il prefisso neuro a svariate discipline. Così la neuroetica dovrebbe spiegare le determinanti del comportamento umano; laddove, al massimo, possiamo chiederle di spiegare che cosa avviene nel cervello umano mentre si realizza un comportamento etico. Altro considerevole atto di coraggio – ma vorrei considerarlo “semplicemente” un atto di intelligenza – è rappresentato dal superamento della supposta neutralità della psicoterapia: dogma che, con la pretesa di non immettere elementi pedagogici nel setting, finisce molte volte per precludere l’accesso a quell’orizzonte di senso che è la richiesta inconscia di tanti pazienti. Penso in particolare a due categorie: le persone che, affrontando la seconda metà della vita, si trovano a fare i conti con problematiche esistenziali più che cliniche; e gli adolescenti che, in difficoltà con il tema dell’identità – base inalienabile del senso etico – rischiano gli abissi della psicopatia e della sociopatia. Per questo motivo sottoscrivo senza riserve l’affermazione che “la psicoterapia e l’etica perseguono gli stessi obiettivi”. Ciò significa che la dimensione etica è necessaria al professionista dell’anima almeno quanto quella tecnica. Nell’antichità classica, le due qualità del buon medico – che oggi potremmo estendere anche al buono psicoterapeuta: nella medicina antica le due figure coincidevano – erano considerate la phylanthropìa (amore per l’uomo in quanto tale) e la philotekhnìa (amore per l’arte, in questo caso per l’arte del curare). “Dove c’è phylanthropìa, c’è anche phylotekhnìa” (Ippocrate, Praecepta). Pacitto sembra avere ben presenti questi concetti. E la cosa mi conforta e ci conforta molto…


giovedì 7 febbraio 2013

L’evoluzione dell’idea di tipo in Omeopatia - di Luigi Turinese


L’evoluzione dell’idea di tipo in Omeopatia
di
Luigi Turinese



Benché qualcuno creda ancora il contrario, in tutta la sua attività teorica e clinica Hahnemann non parve mai interessato a percorrere una via costituzionalistica o tipologica. Certo, la necessità di studiare la totalità dei sintomi dei pazienti per meglio stabilire i criteri di similitudine lo spingeva verso la nozione di globalità, ma egli non andò mai oltre la segnalazione che presso certe fisiologie e certi temperamenti fosse più probabile ritrovare i segni di richiamo di un certo rimedio piuttosto che di un altro. 

L’evoluzione successiva dell’Omeopatia, tuttavia, sembra andare spontaneamente verso l’elaborazione di una medicina di terreno. Questa tendenza trapela persino nel linguaggio, se ancora oggi si parla di  soggetto psorico, di paziente sicotico, e così via, quando si dovrebbe più correttamente affermare che nel tal paziente si manifestano segni del modello reattivo psorico, del modello reattivo sicotico, e così via: un modello reattivo, infatti, non è un tipo, ma uno dei modi – tipologicamente orientati, certo – di cui ciascun individuo dispone per reagire nelle fasi di rottura del suo equilibrio fisiologico. Proviamo a ricostruire le tappe salienti dell’assimilazione del linguaggio tipologico all’interno del costrutto omeopatico.
Una ventina d’anni dopo la morte di Hahnemann, Grauvogl descrive tre costituzioni, che sarebbe meglio definire stati biochimici, in rapporto ai quali classifica i rimedi omeopatici:
•          Costituzione idrogenoide, corrispondente ad uno stato di iperidratazione tissutale.
•          Costituzione ossigenoide, presso la quale le ossigenazioni sono in eccesso, per un’esagerazione del catabolismo.
•          Costituzione carbonitrogena, caratterizzata all’opposto da insufficiente di ossidazione e da ritenzione azotata.
Influenzato da Grauvogl, all’inizio del ‘900 il medico svizzero Antoine Nebel (1870-1954) descrive tre costituzioni minerali di base correlate ai sali di calcio dello scheletro:
•          Costituzione carbocalcica, normocrinica, capace di buona resistenza alla tubercolosi. Comprende soggetti brevilinei, con arcate dentarie regolari, denti quadrati, articolazioni piuttosto rigide e forti. Il carattere è calmo ed equilibrato.
•          Costituzione fosfocalcica, ipercrinica, poco resistente alla tubercolosi. Raggruppa soggetti longilinei, dal palato ogivale, con denti rettangolari presto cariati, dal torace stretto, predisposti alla cifosi, astenici e nervosi.
•          Costituzione fluorocalcica, ipocrinica, molto resistente alla tubercolosi. La morfologia è variabile ma è sempre segnata da iperlassità legamentosa: ne conseguono scoliosi, articolazioni lasse e, a carico degli organi interni, ptosi viscerali; sono frequenti le varici. I denti sono piccoli e malocclusi. Il carattere è improntato a una certa instabilità.
Le caratteristiche delle tre costituzioni minerali di base sono correlate con le patogenesi dei tre sali di calcio dello scheletro: Calcarea carbonica, Calcarea phosphorica e Calcarea fluorica.

Léon Vannier (1880-1963) riprende la classificazione di Nebel, semplificandone la terminologia (le tre costituzioni diventano la carbonica, la fosforica e la fluorica) e precisando che “il fosforico è sempre un eredo-tubercolare, il fluorico un eredo-sifilitico” (Vannier, 1928: 55-56). La classificazione di Nebel e Vannier, ancora in auge in Francia e ripresa anche in opere recenti, ha il difetto non marginale di trascurare l’antropometria. Difatti ogni classificazione costituzionale che si rispetti deve postulare un tipo che rappresenta la norma statistica, rispetto al quale gli altri soggetti rappresentano appunto deviazioni dalla norma. Non ha senso parlare di brevilineo e di longilineo se non in rapporto ad un normolineo. 
A questo difetto, tanto grave da porre, secondo me, la classificazione di Nebel e Vannier al di fuori dell’evoluzione delle classificazioni costituzionali compiute, pone rimedio Henry Bernard in lavori scritti a cavallo tra gli anni ‘40 e gli anni ‘50 (Bernard, 1951/1985). 
In questi lavori Bernard mette al centro della sua classificazione una costituzione sulfurica, facendone la costituzione più equilibrata o quanto meno quella in grado di difendersi meglio, dato che il rimedio di base che la rappresenta, Sulphur, descrive uno stato di eccellente reattività biologica. Mostrando un grande acume clinico, Bernard distingue tre sottotipi sulfurici: un tipo tanto equilibrato da poter essere considerato un tipo canonico di riferimento (sulfurico neutro), pressoché impossibile a riscontrarsi in pratica; e due tipi sulfurici per così dire “laterali”: l’uno le cui caratteristiche lo accostano alla costituzione carbonica e che Bernard denomina sulfurico grasso; l’altro che viceversa trae rapporti con la costituzione fosforica e che per questo viene denominato sulfurico magro
Si può comprendere come in questo schema non ci sia posto per una casella fluorica autonoma; difatti Bernard, pur conservando con molto buon senso un legame con la tradizione, “declassò” la costituzione fluorica, che divenne una costituzione mista, apportante una nota distrofica più o meno accentuata ai tipi costituzionali di base. 
La linearità della classificazione di Bernard ha il duplice pregio di rispettare la realtà clinica e di essere confrontabile con le classificazioni costituzionali di scuola non omeopatica.  Inoltre, cosa di non poco conto, Bernard stabilisce un rapporto stretto e logico tra la costituzione e la Materia Medica, parlando per primo di rimedi costituzionali: “Quando un individuo la cui costituzione morfologica è ben determinata vede rompersi il suo equilibrio biologico, egli aggiunge ai suoi caratteri costituzionali normali dei sintomi morbosi che formano degli insiemi patogenetici particolari e, di conseguenza, evocano dei rimedi corrispondenti a queste patogenesi [...] Non è raro vederlo passare, nel corso della sua esistenza, per una successione di stati [...] Questo malato avrà dunque bisogno successivamente di tutta una serie di rimedi che avranno dei sintomi comuni in rapporto alla costituzione. Essi si imparenteranno così gli uni agli altri per questo fondo costituzionale che non cambia mai. Allorché avremo analizzato i sintomi presentati in ciascun stato e avremo stabilito la corrispondenza farmacologica, saremo colpiti dal fatto che i rimedi così determinati sono sali differenti di uno stesso acido. Saremo dunque portati a concludere che è l’elemento acido a fornire i sintomi costituzionali comuni e che i differenti stati sono caratterizzati dagli elementi basici. Prendiamo l’esempio di un individuo che presenta la patogenesi del carbonato di calcio (Calcarea carbonica). Quando questo individuo vedrà accentuarsi i suoi disturbi, diverrà successivamente comparabile al carbonato di magnesio (Magnesia carbonica), poi al carbonato di potassio (Kali carbonicum), quindi al carbonato di sodio (Natrum carbonicum), ecc... L’elemento costante rimane l’acido carbonico (elemento costituzionale) mentre l’elemento variabile ad ogni stato è la base. E’ per questo che designeremo questa costituzione con il termine di Carbonica. Sarà lo stesso per le altre costituzioni, e potremo distinguere le costituzioni Sulfurica (grassa e magra) e Fosforica. [...] In ogni costituzione esistono degli stadi (calcico, magnesiaco, potassico, sodico, ecc...), che presentano, oltre ai tratti essenziali della costituzione, dei caratteri peculiari a ciascuna delle basi combinate con l’acido costituzionale. Lo stadio calcico è quello che più si avvicina all’equilibrio biologico [...] Di conseguenza, i rimedi calcici sono indicati più spesso nel bambino, che sta edificando la sua struttura” (Bernard, 1985: 139-141; tr. nostra). Non ci potrebbe essere critica più radicale alle posizioni di Nebel. Secondo l’ipotesi di Bernard degli stadi costituzionali, difatti, esiste – ed è basilare – uno stadio calcico in ogni costituzione; ma non si può parlare di costituzioni calciche, come invece proponeva Nebel. “Non è la base che fa la costituzione, ma l’acido” (Bernard, 1985: 136; tr. nostra).

Nella sua monumentale Matière Médicale Homéopathique Constitutionelle, Roland Zissu assume la classificazione e la concezione evolutiva di Henry Bernard, aggiungendo la distinzione, all’interno di ogni biotipo costituzionale, di uno stadio stenico, di difesa, e di uno stadio astenico, di invasione e cedimento. Per Zissu la costituzione fluorica non è una costituzione di base bensì una costituzione secondaria. Inoltre egli dedica la terza parte (circa centocinquanta pagine)  del quarto volume della sua opera alla sicosi, unico modello reattivo a cui è destinata una sezione autonoma. “La sicosi non è una costituzione. [...] Se le conferiamo un’importanza tale da darle un intero spazio del presente volume, è da una parte in ragione di un’autonomia nosologica originale di cui tenteremo di dimostrare l’esistenza, dall’altra a causa dell’allargamento considerevole che l’attuale nozione di sicosi ha subito dai tempi della concezione miasmatica di Hahnemann (Zissu, 1960: IV, 313; tr. nostra).

La sistematica di Bernard e quella, ancora più articolata, di Zissu costituiscono uno dei tentativi concettualmente più originali e clinicamente più fecondi di dare un assetto razionale alla Materia Medica, che viene così sottratta all’arido ordine alfabetico per divenire la trama di un’intelaiatura clinico-terapeutica. Nelle opere di questi autori, la costituzionalistica omeopatica consente di gettare un ponte tra semeiotica e terapia. Come ogni sistematica, essa è utile se non diventa scopo a se stessa. In altri termini, non si può contestare il fatto che certi rimedi trovano indicazione con un massimo di frequenza presso certi tipi costituzionali; ma negare la prescrizione di un rimedio della serie costituzionale carbonica soltanto perché il paziente è longilineo, nonostante egli sia portatore dei sintomi caratteristici della patogenesi del rimedio, significa avere abdicato al principio di similitudine, che costituisce un fatto empirico e sperimentale, a favore di un dogma, che costituisce invece una camicia di forza ideologica. 
La definizione del tipo costituzionale ha un’importanza difficilmente trascurabile: innanzitutto nell’atto di comprensione generale del paziente; poi nell’affinare la diagnosi, nel precisare la prognosi e nell’orientare la terapia. Dunque il primato, nella scelta del rimedio omeopatico, deve restare alla similitudine, che sarà stabilita tramite l’esercizio di un’attenta semeiotica.

La posizione eccentrica e allo stesso tempo virtualmente ubiquitaria della costituzione fluorica ne evidenzia la potenzialità di combinarsi con una qualsiasi delle costituzioni di base ma anche la mancanza di autonomia. D’altra parte, il modello reattivo sifilitico contrae così stretti rapporti con la costituzione fluorica, arrivando i due quadri a sovrapporsi, che mantenerli separati ingenera soltanto confusione. Infatti, presso ogni costituzione il giuoco combinatorio dei diversi modelli reattivi rende ragione della fisiopatologia del tipo; ma presso la costituzione fluorica l’unico modello reattivo ravvisabile è quello luesinico. Nel mio lavoro Biotipologia (1997/2006) ho fuso il  quadro del modello reattivo e quello della costituzione, abolendo nel contempo il termine sifilitico, quanto mai equivoco. 

Sorge a questo punto un problema: qual è il posto di questa nuova entità, nata dalla fusione di un modello reattivo e di una costituzione? Per la sua potenzialità di movente fisiopatologico, essa meriterebbe di essere inserita tra i modelli reattivi; nessun modello reattivo, però, comprende modificazioni del tessuto elastico e del tessuto osseo, e addirittura peculiari stigmate scheletriche come quelle descritte a proposito della costituzione fluorica. Tuttavia non si tratta neppure di una costituzione stricto sensu, dal momento che ogni costituzione è, per definizione,  innanzitutto descrizione di una fisiologia, che getta la sua ombra lunga su  eventuali tendenze morbose. La cosiddetta costituzione fluorica, però, è in definitiva un insieme di anomalie. Si può definire costituzione un quadro che non presenta situazioni di equilibrio ma soltanto segni di disarmonia? Propongo pertanto di considerare l’esistenza di una componente diatesico-costituzionale fluorica (fluorismo), che può dare segni di sé nell’ambito delle tre costituzioni di base. Il fluorismo non condiziona la morfologia in modo univoco, sebbene vengano descritti più spesso degli individui di piccola taglia, magri e dinoccolati, con segni di senescenza. Il viso è sempre asimmetrico e può esserci una differenza nel colore delle iridi. Le movenze sono poco eleganti e imprevedibili. Le mani sono flessuose, con unghie piccole; quella del pollice ha spesso la forma di un trapezio con base inferiore stretta e slargato in alto. L’abbassamento della volta plantare, con relativo piattismo del piede, e l’alta frequenza di distorsioni dell’articolazione tibio-tarsica sono legati all’iperlassità legamentosa. I denti sono piccoli e triangolari, con smalto di cattiva qualità e carie frequenti; la malocclusione è costante, riscontrandosi di regola, a mio avviso, una II classe di Angle nei fosfo-fluorici e una III classe nei sulfo-fluorici.  La fisiologia fluorica è in realtà una fisiopatologia, condizionata dalla neurodistonia e da una disarmonia distrofica con alterazioni del tessuto elastico, per cui si avranno malformazioni ossee  (esostosi, dismetrie, scoliosi ed altri paramorfismi) e degli organi interni (ptosi, agenesie, ipoplasie, altre anomalie genetiche), varici e talora aneurismi. E’ molto difficile valutare nel giusto senso la psiche fluorica. Possiamo dire che domina la coscienza della propria diversità, che una buona reattività trasforma in uno strumento di seduzione. Nella personalità del soggetto predomina il tratto divergente, che conduce ad un costante anticonformismo, non senza elementi di autocompiacimento. C’è un netto predominio della funzione intuizione, che si pone al servizio di un’intelligenza sintetica, versatile, rapida, che corre il rischio di essere superficiale e incapace di approfondimento. D’altra parte, uno dei tratti salienti della psicologia fluorica è una sorta di nomadismo, metaforico ma a volte anche letterale (tendenza incoercibile, quasi compulsiva, a cambiare luoghi, lavori, relazioni). Vengono in mente le parole di Bruce Chatwin, quando scrive di sé:  “Perché divento irrequieto dopo un mese nello stesso posto, insopportabile dopo due? [...] Che cos’è questa irrequietezza nevrotica, l’assillo che tormentava i greci? [...] Ho una coazione a vagare e una coazione a tornare - un istinto di rimpatrio, come gli uccelli migratori.” (Chatwin, 1996: 94). 
In un soggetto fosforico, che come vedremo nutre aspirazioni “alte”, la presenza di un elemento fluorico porta a spiritualizzare l’esperienza e costituisce la base della creatività.
In un sulfurico grasso, che di per sé ha i piedi ben piantati nella materia, può sollecitare l’ambizione e la ricerca del potere.
Nel carbonico, lento per natura,  diventa un elemento dinamizzante, che nutre di sprazzi di intuizione la sua intelligenza altrimenti pragmatica e analitica. In un certo senso, in qualunque campo di ricerca non ci sarebbe originalità senza la bruciante necessità di battere strade nuove che ascriviamo alla componente fluorica della personalità. Una personalità interamente posseduta dal fluorismo sarebbe senza dubbio psicopatica; ma una che ne fosse totalmente priva non avrebbe luce.  Si tratta di vedere quanto questo aspetto divergente sia integrato in una personalità completa, che sappia esercitare anche i valori della costanza e del pensiero razionale; e a questo proposito non vanno mai sottovalutate le opportunità familiari e ambientali che un soggetto può avere o delle quali viceversa può essere carente.
Per quanto riguarda le tendenza morbose favorite da questa componente costituzionale, oltre ai rischi di psicopatologie, dobbiamo ricordare le patologie ulcerative, la precoce sclerosi vascolare e i disturbi neurovascolari come il fenomeno di Raynaud, infine le malattie caratterizzate da cute secca e fissurata (ittiosi e soprattutto psoriasi).

Bibliografia
Bernard, H.: Traité de médecine homéopathique, Vanden Broele, Bruges 1951/1985.                  
Chatwin, B. (1996): Anatomia dell’irrequietezza, Adelphi, Milano 1996.
Demarque, D. (1981): L’Omeopatia, medicina dell’esperienza, Edizioni Boiron, Milano 2003.
Santini, A.: Omeopatia costituzionale, Istituto di Studi di Medicina Omeopatica, Roma 1994.
Turinese, L.: Biotipologia. L’analisi del tipo nella pratica medica, Tecniche Nuove, Milano 1997/2006.      
Turinese, L.: Modelli psicosomatici. Un approccio categoriale alla clinica, Elsevier Masson, Milano 2009.      
Vannier, L. : La typologie, Doin, Paris 1928.        
Zissu, R.: Matière médicale homéopathique constitutionelle, Boiron, Lyon   1960/1989         


Luigi Turinese



In foto: "Una pupilla nel cielo"

Articolo pubblicato su HIMED – HOMEOPATHY and Integrated Medicine, novembre 2012, Volume 3, Numero 2, pp. 8-10

mercoledì 6 febbraio 2013

Eros e Psiche - Il Cenacolo di Lunedì 11 Febbraio 2013



PerìArXòn – Cenacolo di Cultura Archetipica
Conversazioni con Luigi Turinese

ogni 2° e 4° Lunedì del mese ore 19.45
A via Clementina, 7 – Roma

Programma del prossimo incontro su
Eros e Psiche
Lunedì 11 Febbraio 2013, ore 19.45

“Eros e Psiche”- Taranto,  Museo Archeologico Nazionale (Foto di G. Tarantino)


Immagini di Afrodite 
videoclip di Gianna Tarantino
Appunti-segnalazioni 

di Luigi Turinese
La favola di Eros e Psiche: fra il tragico e l'ermetico 

di Daniele Capuano
  Rendimi l’anima. La dialettica tra Eros e Psiche
 
di Maria Rita Porfiri
Discussione

Libri di Luigi Turinese

Luigi Turinese Cantautore

Luigi Turinese Cantautore
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