Piazza N. Longobardi 3, 00145 Roma tel 06 51607592
"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

domenica 20 maggio 2012

4a Giornata Romana di Aggiornamento in Medicina Integrata “LA INTEGRAZIONE IN MEDICINA: UTOPIA O REALTÀ

4a Giornata Romana di Aggiornamento in Medicina Integrata
“LA INTEGRAZIONE IN MEDICINA:
UTOPIA O REALTÀ”


Aula Dip.to Pediatria-NPI
Policlinico Umberto I
Roma
9 giugno 2012

Segreteria organizzativa:
HOST srl - Roma
info:
integrazioneinmedicina@gmail.com


tel.: 3342178129
Segreteria Scientifica:
A. Galassi - F. Macrì


Ingresso libero: comunicare la partecipazione alla segreteria organizzativa

PROGRAMMA
Ore 9.00-9.30
Apertura dei lavori
F.Macrì, A. Galassi
Ore 9.30-11.00
Sessione:
L’individualità nella clinica.
MODERA L.Turinese
• Le nuove frontiere terapeutiche in onco-ematologia - T. Caravita di Toritto
• Il volto dismorfico: natura o ambiente - L. Tarani
• Costituzione e ambiente nella predisposizione
alle malattie croniche - G.Santini
• Discussione

Ore 11.00-11.30
COFFEE BREAK
Ore 11.30-13.00
Tavola rotonda:
Il modello PNEI: un nuovo paradigma?
A.Galassi, F. Macrì, L.Turinese, G.Santini
Ore 13.00 -14.30 PAUSA PRANZO

Ore 14.30-16.00
Sessione:
La ricerca
MODERA F. Macrì
• Ricerca di base in planta ed in vitro sull’efficacia e sulle proprietà dei preparati omeopatici
L.Betti
• Basi biofisiche dell’azione epigenetica dei preparati omeopatici - F.Borghini
• Discussione

Ore 16.00-18.00
Sessione:
L’integrazione nella pratica clinica: dalle infezioni respiratorie all’asma bronchiale.
MODERA G.Balzano
INTERVENGONO
Il convenzionale (G. Farinelli)
L’omeopata (A.Galassi)
L’agopunturista (F. Menichelli)
Il fitoterapeuta (V.Murgia)
• Discussione
Ore 18.00-18.30 CHIUSURA DEL CONVEGNO





RELATORI/MODERATORI
L.Betti – Ricercatore Dip.to Scienze e Tecnologie Agroambientali, Università di Bologna
F.Borghini – Docente P.N.E.I.G. Facoltà Medicina Chirurgia, Università di Chieti
T.Caravita di Toritto – Ematologo, Dirigente Medico U.O. Ematologia Ospedale S.Eugenio, Roma
G.Farinelli - Dirigente Medico Az. Ospedaliera "San Camillo - Forlanini", Roma
A.Galassi – Dirigente Medico 1° livello Ospedale S.Eugenio, medico esperto in Omeopatia, Roma
F.Macrì – Ricercatore Dip.to di Pediatria e NPI, “Sapienza” Università di Roma, Vice Presidente SIOMI, Roma
F.Menichelli –Presidente Associazione Italiana di Agopuntura, Roma
V.Murgia – Pediatra, Fitoterapeuta, Padova
G.Balzano – Medico esperto in Omeopatia, Roma
G.Santini – Medico esperto in Omeopatia, Segretario Nazionale SIOMI, Roma
L.Tarani – Genetista clinico, Funzione Alta Specializzazione “Dismorfologia e difetti
congeniti”, Dip.to di Pediatria e NPI “Sapienza” Università di Roma.
L.Turinese – Medico esperto in Omeopatia, psicoterapeuta, Roma

Nota a "Gli alberi di Gornalunga", di R.M. Massaro

Rita Marta Massaro, "Gli alberi di Gornalunga", Mondanguria, Catania 2011.



Libro d’arte, libro illustrato, opera visiva, “Gli alberi di Gornalunga” è molte cose e molte ne contiene. Livre de chevet da centellinare sera dopo sera, oracolo da consultare come un testo di bibliomanzia, esso ci consegna al mondo dei sogni perché da quel mondo proviene.

Invano si potrebbe azzardare un approccio critico, in quanto l’unico accostamento possibile richiede lo sguardo del cuore. Non un cuore qualunque ma un cuore puro, ovvero svuotato il più possibile di contenuti pregiudiziali. Pura forma priva di contenuti.
Allora si comprende la ben concreta metafora – mi si passi l’ossimoro – costituita dalle cinque pagine bianche poste in fondo al volume. Soltanto nella fase alchemica dell’albedo – rappresentata non a caso da Venere nella sua forma di stella mattutina – si può incontrare l’Amore.
Albedo, termine latino che con facile gioco enigmistico basato su di una trasformazione consonantica diviene l’italiano albero.

Il libro di Rita Marta Massaro sembra nato da una sorta di stato meditativo. Esso ci conduce in un regno di immagini primordiali, del tutto metastorico. Non aver numerato le pagine è ulteriore, geniale espediente per eludere la dimensione diacronica. Il riferimento che più mi sento di chiamare in causa è quello del vuoto taoista: un Vuoto da cui provengono “le diecimila cose”. Ho evocato il Tao, variamente tradotto come la Via, il Principio, la Norma: niente di più vicino all’esperienza di Rita Marta Massaro, che mettendo il lettore al cospetto dei due alberi lo avverte: “scoprirai di avere davanti ai tuoi occhi la regola della vita”. La regola: la Norma, appunto.

Altra presenza implicita ma a tratti esplicitata è quella del Paradiso terrestre, luogo del non ancora distinto e separato. L’esperienza edenica può venire fruita tuttavia a patto che un io ben assestato ne possa fornire il resoconto: resoconto che, puntualmente, ci viene fornito con questo libro bello e originale.

Luigi Turinese


In foto: "Fanée"

venerdì 4 maggio 2012

Le Recensioni di L.T. - "Oltre il corpo, oltre la mente", di M. Karawatt

M. Karawatt: "Oltre il corpo, oltre la mente. Strutture e dinamiche della costituzione umana nella visone Yoga", La Parola, Roma 2007

Primo di tra volumi dedicati all'incontro tra Psicologia e pratica yoga - nei due che seguiranno si tratterà rispettivamente della meditazione e della psicologia yoga applicata - il libro che presentiamo svolge il tema della struttura e delle funzioni dell'essere umano così come lo descrive la complessa filosofia yoga; complessa in quanto ben lontana dalle semplificazioni cui ci hanno abituato le versioni ginniche e/o zuccherose che l'Occidente ha preferito per coltivare il proprio "materialismo spirituale".

"Praticare lo Yoga non comprendendo la psicologia e la filosofia fondante di tale disciplina, significa degradare una scienza olistica di conoscenza, di guarigione e di crescita realizzativi dell'intero essere umano a mera ginnastica fisica e/o mentale" (pag. 23). Giusta precisazione, anche se affiorano alla mente le ingiunzioni ala cautela poste da Jung nei confronti dell'importazione delle pratiche orientali: argomenti che l'Autore - indiano di nascita e analista junghiano di formazione (collega del CIPA) - sicuramente ben conosce.

Tuttavia, bisogna osservare che, rispetto all'epoca in cui Jung formulava le sue osservazioni, molta acqua è passata sotto i ponti del comparativismo religioso; ragion per cui la filosofia indiana è meno "esotica" e più integrata nel tessuto culturale occidentale, che forse dovremmo iniziare a definire globale.

Il libro di Karawatt è percorso da un dichiarato intento pedagogico; né potrebbe essere diversamente, dato che la principale motivazione a scriverlo è venuta all'Autore dal suo incarico didattico presso la scuola di formazione per insegnanti organizzata dalla Federazione Mediterranea Yoga.

Coerentemente con tale obiettivo, alle due parti costitutive del testo viene fatta seguire un'Appendice comprendente un questionario ad uso dei lettori/allievi. Utile è anche il capitolo che elenca le fonti: una bibliografia tutto sommato scarna ma molto specifica.
Viene giustamente messo in chiaro che il solo approccio intellettuale non può essere sufficiente, dato che la conoscenza è sempre, per i filosofi indiani, un fatto empirico. "In Oriente la dimensione spirituale viene studiata come una astra (scienza), attraverso l'esame accurato delle stratificazioni e delle differenziazioni degli stati di coscienza" (pag. 105).
Pertanto, di un libro del genere si può fruire come di un abbecedario per il praticante, piuttosto che come un saggio tradizionale.

Luigi Turinese

In foto: "Turibolo indiano"

Recensione apparsa nella rubrica "Recensioni" della Rivista di Psicologia Analitica, Nuova serie, n.24, Volume 76/2007,"Il senso di Psiche. Una filosofia per l'anima", pagg. 263-64

Le Recensioni di L.T. - "Lettere", di C.G. Jung

Carl Gustav Jung, "Lettere" (tre vol,), , Edizioni Scientifiche MaGi, Roma, 2006, pp. 1338


Continuare a considerare Jung un allievo, o peggio, ancora un epigono, di Freud costituisce una rimarchevole ingenuità. Il percorso culturale - non solo psicoanalitico - del saggio di Küsnacht si snoda attraverso gran parte del XX secolo, affondando all'indietro negli anni di formazione, avvenuti esattamente nell'ultimo quarto del secolo XIX, essendo Jung nato nel 1875.

La sua produzione "canonica" consta dei diciotto volumi - oltre a un diciannovesimo volume di bibliografia generale e indici analitici - dei Collected Works.
Se si pensa tuttavia che la Philemon Foundation, sotto la direzione di Sonu Shamdasani, ha varato un piano di pubblicazione di trenta volumi di inediti, si ha una misura dell'immensa attività di questo gigante della cultura contemporanea.

L'opera che l'editore Ma.Gi. propone, con la consueta benemerita incoscienza, comprende un migliaio di lettere curate da Aniela Jaffé e da Gerhard Adler.
Si immagini che esistono, ancora inedite, oltre trentamila lettere ... Si può dire che Jung abbia scritto, durante la sua vita attiva, circa un paio di lettere al giorno. Non mere lettere formali, si badi bene: ma talora veri e propri piccoli saggi, che illuminano su un ventaglio di interessi veramente enciclopedico.

Per compiere una recensione ai tre volumi che presentiamo basterebbe un elenco dei più noti destinatari.
Si spazia da esponenti della psicoanalisi e della psicologia analitica (ovviamente Freud, ma anche Karl Abraham, Michael Fordham, Esther Harding, Erich Neumann, l'americano Whitmont, anche medico omeopata, Sandor Ferenczi, Ernest Jones, Jolanda Jacobi, oltre alla stessa Aniela Jaffé, preziosa segretaria dell'ultimo periodo) a cercatori spirituali (tra tutti Padre White, il frate domenicano lo scambio epistolare col quale costituirà il primo volume di inediti; e poi Evans-Wentz e D.T. Suzuki, studiosi di buddhismo, l'indologo Heinrich Zimmer e il sinologo Richard Wilheim, Henry Corbin, appassionato esploratore della mistica islamica, il conte Keyserling, Mircea Eliade e il mitologo Karl Kerenyi); da fisici come Oppenheimer e Pauli ad artisti del calibro di Hermann Hesse e James Joyce; e ancora astrologi (tra tutti Andrè Barbault) e promotori culturali come Olga Fröbe-Kapteyn, animatrice e mecenate degli incontri di Eranos.

Non vanno sottovalutate neppure le lettere a interlocutori anonimi, con cui Jung si intrattiene senza alterigia e con passione non inferiore a quella che profonde nel dialogo coi "grandi".

Quello che traspare da questo epistolario è una costante tensione etica, che lascia intravedere come Jung non considerasse il lavoro analitico concluso nelle quattro mura dello studio professionale.
Vi sono, in questo senso, i germi del futuro continuatore James Hillman e della sua preoccupazione per la terapia dell'anima mundi.

Si nota inoltre una dimensione autenticamente interdisciplinare di Jung: la stessa che lo conduceva in spericolate ma preziose amplificazioni nell'interpretare il materiale analitico. Da questo punto di vista, vediamo all'opera un costante spirito di ricerca, sempre guidato da un'istanza empirica e mai dogmatica.
Come si legge in una lettera destinata nell'autunno 1944 al teologo cattolico H. Irminger: "Mio egregio Signore! Io pratico la scienza, non l'apologetica o la filosofia, e non ho né la capacità né la voglia di fondare una religione. Il mio interesse è scientifico e il suo confessionale [...] Come scienziato devo guardarmi dal credere di essere in possesso di una verità definitiva [...] Non ho alcuna ambizione di professare o di sostenere qualsivoglia fede. A me interessano esclusivamente i fatti".

Luigi Turinese

In foto: "Gli strumenti dell’amanuense"

Recensione apparsa nella rubrica "Recensioni" della Rivista di Psicologia Analitica, Nuova serie, n.23, Volume 75/2007,"Tracce di Jung", pagg. 157-58

giovedì 3 maggio 2012

"Un ricordo di James Hillman" - su Studi Junghiani

La scomparsa di James Hillman (Atlantic City, 12 aprile 1926 – Thompson, 27 ottobre 2011), al di là del dispiacere da parte di chi lo ha conosciuto, segna un vallo tra due epoche. Hillman, difatti, a dispetto della chiamata in causa di categorie come quelle di postmoderno o addirittura di new age, rimane un intellettuale finissimo, molto novecentesco. Soprattutto, molto europeo.

Tra i grandi postjunghiani (Erich Neumann, Michael Fordham, Marie-Louise von Franz), Hillman è stato quello che più di tutti è uscito dal recinto degli addetti ai lavori, influenzando almeno due generazioni di persone di cultura che ne hanno fatto sovente un Maestro di vita.

Pur non essendo facile sintetizzarne il percorso, non v’è dubbio che Hillman sia stato uno junghiano, sebbene per più versi uno junghiano eretico, sin dal suo aver ipertrofizzato una parte del pensiero Jung – quella legata agli archetipi – lasciando in ombra o mostrando scarso entusiasmo per altri topoi dell’opera junghiana, come la tipologia, il procedimento dialettico per opposti e il concetto di Sé.

La sua produzione letteraria è vastissima, difficilmente riassumibile in poche righe. A voler essere schematici, si possono individuare due categorie: i testi più tecnici (sebbene nessun lavoro di Hillman sia aridamente tecnico, pieno com’è di amplificazioni culturali) e quelli prevalentemente filosofici, con proporzione crescente a favore di questi ultimi dopo il 1989, anno in cui Hillman abbandona l’attività clinica.
Il lavoro di Hillman ha avuto particolare risonanza nel nostro paese, dove è stato invitato più volte, dando luogo a “cenacoli” interdisciplinari, come quello incarnato dalla rivista Anima a Firenze o come l’IMPA (Istituto Mediterraneo di Psicologia Archetipica), fondato da me e da Riccardo Mondo a Catania in occasione dell’80° compleanno del Maestro e che lo ha avuto come Presidente Onorario fino alla sua morte.

Dick Russell, che ha scritto una biografia di Hillman in due volumi (uscirà l’anno prossimo negli Stati Uniti), ha dedicato ampio spazio ai rapporti del Maestro con la cultura italiana: rapporti di reciproca fascinazione e fecondazione, come attesta l’affermazione dello stesso Hillman che “la Psicologia Archetipica ha le sue origini nel Sud”.

Luigi Turinese
Articolo pubblicato su Studi Junghiani n.34 (luglio-dicembre 2011), pp. 81-82

"Luigi Turinese e James Hillman a Taormina il 3.10.2008" (Foto di Gianna Tarantino)

Convegno: Medicina Fisiologica di Regolazione: nuove possibilità in Immuno-Allergologia, Roma 5 maggio 2012



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Medicina Fisiologica di Regolazione:
nuove possibilità in
Immuno-Allergologia


Ospedale San Pietro - Fatebenefratelli
Via Cassia, 600

Roma, sabato 5 maggio 2012

Elenco dei Relatori e Moderatori
Giuseppe Baviera (Roma) • Roberto Bernardini (Empoli) • Mauro Calvani (Roma) • Emilio DelGiudice (Milano) • Elena Galli (Roma) • Paolo Gianni Giampietro (Roma) • Carla Lubrano(Roma) • Sabina Luciani (Roma) • Francesco Macrì (Roma) • Nunzia Maiello (Napoli) • GiorgioMancino (Roma) • Carlo Massullo (Viterbo) • Alberto Migliore (Roma) • Stefano Miceli Sopo(Roma) • Pietro Panei (Roma) • Elisabetta Radice (Torino) • Lucilla Ricottini (Roma) • PaoloRossi (Roma) • Cristiano Rumio(Milano) • Aldo Ruocco (Napoli) •
Luigi Turinese (Roma) • Anna Volterrani (Roma)

Il programma dettagliato dell'evento

mercoledì 2 maggio 2012

Le Recensioni di L.T. - "Il sogno. Una ferita per il logos", di A. Iapoce

Angiola Iapoce, "Il sogno. Una ferita per il logos", La biblioteca di Vivarium Editore, 1997, pp 142

Un altro libro sul sogno. Cui prodest? Eppure, la letteratura sul fenomeno onirico testimonia di una proliferazione mai superflua, perché il sogno resiste ad ogni tentativo di sistematizzazione: è davvero il bambino difficile di cui parla Jung; detto in altri termini, riprendendo il titolo del denso saggio di Angiola Iapoce, è una ferita per il logos.

"L'importanza del fenomeno 'sogno' nel pensiero di Jung è data proprio dal costituire esso uno 'strappo' nella continuità della coscienza [...]" (pag. 21). A partire da questa dichiarazione di intenti, nel primo capitolo del suo libro ("Gli anni sperimentali") Iapoce ripercorre il percorso di Jung a partire dagli esperimenti di associazione, che avevano tra l'altro l'ambizione di conferire una copertura sperimentale alla teoresi freudiana. In questo periodo, coincidente più o meno con il primo decennio del '900, Jung concepisce i germi delle sue idee più originali.
La scoperta dei complessi, ad esempio, ha una ricaduta determinante sula concezione junghiana della psiche, che si mostra assai lontana dalla topica freudiana: i complessi si configurano, all'interno della psiche totale, come le molecole in un corpo. Una delle conseguenze più rilevanti è la relativizzazione dell'Io, che viene ridotto al rango di complesso tra i complessi. Ne "I tempi di reazione all'esperimento associativo", opera del 1905, si può leggere " ... la coscienza dell'Io non è che la marionetta che balla sul palcoscenico, ma è mossa da un ingranaggio nascosto e automatico".
Anche il sogno, che Jung non cesserà mai di leggere come un fenomeno naturale, viene letto alla luce della teoria dei complessi, tanto che il libro di cui ci stiamo occupando si apre opportunamente con la seguente citazione: "La natura dispone di un apparato che rielabora i complessi fino a ottenerne un estratto, che si presenta alla coscienza in una forma irriconoscibile e quindi non pericolosa: il sogno". Il sogno avrebbe dunque, tra le altre, una funzione di presentare alla coscienza contenuti complessuali potenzialmente pericolosi in una forma per così dire metabolizzabile. Il lavoro sul sogno è dunque un processo di assimiliazione di contenuti psichici non ancora assimilati.

Il primo lavoro junghiano in cui appare la parola sogno è "Associazione, sogno e sintomo isterico", del 1906. Seguono, tra il 1909 e il 1911, tre saggi specifici sul sogno: "L'analisi dei sogni"; "Contributo alla conoscenza del sogno di numeri"; "Recensione critica a Morton Prince"; "Il meccanismo e l'interpretazione dei sogni".
Il criterio storico scelto dall'Autore consente di seguire il percorso di Jung e il suo progressivo allontanamento da Freud, i cui primi segni si palesano nel famoso viaggio in nave che i due, insieme a Ferenczi, compirono nel 1909 alla volta dell'America, dove li aspettava un ciclo di conferenze alla Clark University.
Per Freud, come è noto, l'eziologia della nevrosi risiede nel desiderio sessuale rimosso, mentre per Jung "Il complesso scoperto mediante le associazioni è la radice dei sogni e dei sintomi isterici" Inoltre, l'approccio junghiano rinuncia a una formulazione univoca del significato del sogno, percorrendo un "continuum" che va dall'attenzione al dettaglio della storia personale, cui fa riferimento il procedimento del rilevamento del contesto, all'oggettività impersonale dei grandi sogni archetipici, in cui si riverberano temi dell'inconscio collettivo.
Ma soprattutto - e con ciò si produce il distanziamento maggiore col maestro - Jung abbandona ogni illusione semeiologica: l'innegabile bizzarria del sogno, che per Freud è funzionale al nascondimento, è attribuita da Jung alla nostra incapacità di analizzare le metafore: " ... è più esatto parlare del sogno come di un testo inintelligibile non perché ha una facciata, ma semplicemente perché non riusciamo a leggerlo". Con questa affermazione, Jung abolisce la distanza tra sogno manifesto e contenuto latente. La differenziazione da Freud, sancita a partire dal testo La libido. Simboli e trasformazione (1912/1952)comporta altresì una rinuncia al concetto di rimozione.
Si delinea inoltre la considerazione finalistica del sogno, che si affianca a quella causalistica tipicamente freudiana: rimozione e censura vengono abbandonate, per approdare all'originale concetto di compensazione.

Scrive Iapoce: " ... il sogno [...]offrirebbe la funzione di evidenziare quel punto di vista che la coscienza rifiutava di prendere in considerazione, ma che non può essere trascurato in quanto acquisizione fondamentale dell'umanità. Questo è il concetto di compensazione" (pag. 77). Come si vede, considerando la funzione compensatrice dell'inconscio e dei suoi prodotti, Jung pone un forte richiamo proprio alla coscienza: per comprendere appieno in che modo il sogno compensi una coscienza unilaterale, in altri termini, occorre indagare accuratamente i contenuti coscienti del sognatore.
In questo modo si stabilisce una fertile connessione tra l'Io e l'inconscio e la questione, con stile affatto junghiano, viene vista da un duplice punto di vista. Così come duplice, in altro senso, è l'interpretazione del sogno: a livello del soggetto e a livello dell'oggetto. Lo stesso Jung suggerisce che " ... se si sogna una persona vicina è preferibile l'interpretazione a livello dell'oggetto, se si sogna una persona indifferente è più probabile l'interpretazione a livello del soggetto" (pag. 82). Dove per interpretazione a livello del soggetto si intende l'interpretazione dei personaggi del sogno alla stregua di aspetti della psiche del sognatore.

Il secondo capitolo del libro ("Empiria del fenomeno onirico") si conclude con un paragrafo comparativo su Jung e il Sartre di Immagine e coscienza, dove il filosofo francese, nell'ottica della fenomenologia esistenziale, nega l'esistenza di una coscienza pura, di una coscienza cioè, che non sia coscienza di qualcosa.

I temi "forti" del libro ci sembrano enunciati nei primi due capitoli. Gli altri due ("Il sogno tra fenomenologia e terapia" e "Sogno e psiche"), brevi ma filosoficamente assai stimolanti, suscitano riflessioni che coinvolgono la prassi terapeutica.

Si può condurre un'analisi senza sogni? Forse, ma con grande difficoltà, a meno di non individuare un'altra via regia all'inconscio. Su questo, almeno, Freud e Jung si trovarono sufficientemente d'accordo. "Il sogno è la via regia che porta alla conoscenza dell'inconscio nella vita psichica" - aveva scritto Freud. E Jung, di rimando: "Il sogno è la piccola porta occulta che conduce alla parte più mistica e più intima dell'anima".
Come si vede, la concezione del sogno come grimaldello per entrare nel sancta sanctorum della vita psichica accomuna i due grandi; tuttavia, la differenza di linguaggio tra le due affermazioni fa sospettare qualcosa di più che una differenza stilistica. Ogni approccio al sogno, difatti, presuppone un modello della psiche: quello junghiano parla in favore della dissociabilità della psiche e dei suoi complessi.
Nei Dreams Seminars (1928-1930) Jung critica la pretesa freudiana di una razionalità dell'evento onirico: egli ne rivendica l'irrazionalità nei termini di un processo naturale imprevedibile: " ... un sogno entra come un animale. Io posso sedere in un bosco e compare un cervo". Il lavoro dell'interpretazione trascina con sé quell'aporia per cui la psiche è allo stesso tempo soggetto e oggetto dell'indagine. Jung si richiama a un atteggiamento empirico; purtuttavia nulla è meno puramente oggettivabile della psiche. Si potrebbe dire che la massima ambizione della funzione interpretante risieda non già nella sua capacità di svelare - il che la relegherebbe sul piano dello smascheramento, in omaggio a quell'illusione semeiologica cui abbiamo accennato in precedenza - quanto piuttosto nella possibilità di rivelare, che nel suo senso di velare due volte arricchisce di significato il proprio oggetto di indagine.
Come scrive Iapoce: "L'approccio al fenomeno onirico ricalca lo scarto tra coerenza teorica e situazione empirica, e pone l'interprete nella sua più ampia situazione-limite" (pag. 124).
Si capisce come il continuo richiamo all'esperienza costituisca per Jung una sorta di liana alla quale aggrapparsi nel tentativo di dare un logos all'esperienza psichica, che è costitutivamente, per lo meno dal punto di vista della coscienza, unheimlich, perturbante, e si può dire che il sogno possieda la natura unheimlich al massimo grado.

Concludiamo pertanto queste note al libro di Angiola Iapoce riportando le sue parole a proposito della prassi junghiana: "L'opzione per un'ottica che potremmo chiamare pragmatico-terapeutica si impone con evidenza allorché Jung afferma che la verità dell'interpetazione di un sogno dipende pressocché esclusivamente dall'effetto che essa produce sul sognatore" (pag. 124).


Luigi Turinese

In foto: "Tabula rasa"

Recensione apparsa nella rubrica "Biblioteca" della Rivista di Psicologia Analitica, Nuova serie, n.10, Volume 62/2000,"Invecchiamento fra sintomo e necessità", pagg. 170-72

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