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"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

domenica 3 marzo 2019

Zoomorfismo, fisiognomica e fitognomica. Della Porta antesignano della biotipologia in medicina


“Zoomorfismo, fisiognomica e fitognomica. 
Della Porta antesignano della biotipologia in medicina”
 di Luigi Turinese

"Cold fire" foto di Gianna Tarantino

“Coloro che vogliono far profitto in questa scienza bisogna che studino
 con grandissima  disciplina  i libri delle istorie degli animali”
(G. B. Della Porta)


Nel caos in cui si trova venendo alla luce, l'uomo cerca da sempre un ordine figurandosi il mondo come un sistema di segni da interpretare. Possedere una semiotica universale, ecco il grande, inconscio desiderio dell'umanità: ogni segno rimanda all'altro, in una ragnatela di significati  da  penetrare con chiavi sempre più  sottili.

Questo vero e proprio metodo di conoscenza, in uso sin dall'antichità, trova la sua più compiuta applicazione, nel tardo Medioevo e nel Rinascimento, con la  dottrina delle signature, secondo la quale il Creatore ha posto nel mondo, e nelle sue creature, dei segni indicatori: basta saperli leggere.

Così ogni pianta reca in sé dei  particolari che indicano la propria funzione terapeutica: il succo giallo della celidonia ci comunica la sua indicazione nelle affezioni epatiche; la preferenza di alcune piante per habitat lacustri o fluviali ci fa comprendere la loro indicazione in malattie  provocate dall'umidità, come le malattie reumatiche; e così via. Non è difficile scorgere la discendenza di tale pensiero dal Timeo platonico, in cui viene adombrata  una  corrispondenza  tra  macrocosmo (mondo) e microcosmo (uomo). Si  tratta  di  un  pensiero analogico, sicuramente prescientifico ma che getta la sua ombra lunga in piena epoca scientifica, se un astronomo del calibro di Keplero (1571-1630) poteva ancora scrivere: "Dio, troppo benevolo per restare in ozio, iniziò a  fare il  gioco  delle segnature ed iscrisse la sua simiglianza nel mondo...".

A  questa  logica  si ispira  anche  la  fisiognomica (da physis =natura e gnome = conoscenza), che nel considerare il volto come centro rivelatore della personalità postula un fondamentale rispecchiamento tra corpo (viso) e anima. Inoltre, essa  manterrà  per  tutta  la  sua  lunga  storia  un  topos immutabile: lo zoomorfismo, cioè la comparazione tra tipologie facciali e tipologie animali allo scopo di trarre indicazioni sul carattere  degli  uomini  traendole  dal  carattere  degli animali a cui assomigliano.

Le prime tracce di un sapere fisiognomico sono riscontrabili in epoca paleo-babilonese (XVII secolo a. C.). 
Passando al mondo greco è d’obbligo citare Pitagora (VI secolo a. C.), che sottoponeva i discepoli a esame fisiognomico. Egli ne avrebbe appreso l’arte presso Arabi, Ebrei, Caldei. Nel Corpus Hippocraticum la prima apparizione del termine si riscontra nel trattato delle “Epidemie” (V secolo a. C.). Platone (V-IV secolo a. C.) introduce elementi di zoomorfismo nel Fedone.
Contemporaneo di Platone, anche Antistene, fondatore della scuola cinica, si sarebbe occupato di fisiognomica. Aristotele (384-322 a.C.) si serve dello zoomorfismo nella sua Storia  degli  animali,  considerata  il  primo  compiuto trattato  di fisiognomica che si conosca.
Un epigramma dell’Antologia Palatina (III secolo a. C.) parla di un certo Eustene, “fisiognomico capace di capire dallo sguardo anche il pensiero”.
Per quel che attiene al mondo latino, Cicerone (106-43 a.C.) si fa divulgatore, nel “De fato”, delle   posizioni aristoteliche. Nel “De oratore” troviamo inoltre la celebre affermazione, pertinente al nostro tema, “Imago animi vultus est”.
Polemone di Laodicea (II secolo) riprende lo zoomorfismo nel suo trattato sulla fisiognomica, conservato in una versione in lingua araba del XIV secolo e tradotto in latino soltanto nel XIX secolo. Apuleio (II secolo), nelle “Metamorfosi”, si produce in una descrizione fisiognomicamente considerevole del protagonista Lucio. A Roma fioriva l’attività dei metoposcopi, che leggevano il futuro nelle rughe della fronte.

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Dopo alcuni secoli di relativo letargo, nel corso del Medioevo la fisiognomica  riprende vigore e viene diffusa in Europa grazie alla mediazione della cultura araba.
Il Rinascimento vede il fiorire di posizioni nuove accanto a riflessioni sulle cosmogonie antiche, per lo più mutuate dal Timeo.
La  figura  di  Leonardo  da  Vinci  (1452-1519)  è  centrale nell'evoluzione della fisiognomica. Non solo per quel tanto di genio che  Leonardo mise in ogni campo  dello scibile cui  si interessò; non solo per la possibile esistenza, di cui gli studiosi discutono da tempo, di uno studio leonardesco sulla fisiognomica, che sarebbe perduto; ma soprattutto per la connessione, che con Leonardo si fa esplicita, tra fisiognomica e arte figurativa. "Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell'animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile". Come  afferma  lo  storico  dell'arte  Flavio  Caroli (1995: 12):  "[...] il cammino della pittura strettamente intersecata con la psicologia, cioè con la fisiognomica, è l'asse portante della cultura figurativa occidentale". Tale asse affonda le sue radici nel genio di Leonardo.
Dopo  di  lui,  innumerevoli  uomini  d'arte  e  di  scienza rinascimentali hanno affrontato le tematiche fisiognomiche. Nel “De sculptura” di Pomponio Gaurico (1481-1530) un capitolo viene dedicato alla fisiognomica, con particolare riguardo ai temi degli occhi e dello zoomorfismo.
Un gigante della pittura come Tiziano Vecellio (1490-1576), nella “Allegoria della prudenza”, del 1565, utilizza temi zoomorfici, giustapponendo a tre teste di uomini di diversa età rispettivamente il cane, il leone (considerato dai fisiognomici l’animale in cui si celebra al massimo grado la combinazione di forza e saggezza) e il lupo. Michelangelo Biondo (1497-1656), filosofo e medico veneziano di formazione napoletana, nel “De cognitione hominis per aspectum” (1544) seppe conciliare conoscenze artistiche, fisiognomiche e mediche.
Ma è soprattutto Gerolamo Cardano (1501-1576) ad imprimere un segno originale allo studio dei rapporti tra anima e corpo. Nel primo libro del trattato “Metoposcopia”, pubblicato postumo, possiamo  leggere: "Questa  arte,  che  è  la  parte principale della fisiognomica, si sforza di predire il futuro attraverso l'ispezione sia della faccia frontale che della sua lunghezza, larghezza e delle sue diverse linee, ed anche dai marchi naturali che vi si trovano". Cardano, pur essendo medico, si muove ancora in un universo culturale in cui la pratica divinatoria ha la meglio su quella più propriamente clinica, e in cui i segni del volto sono signature a tutti gli effetti.
Montaigne (1533-1592) dedica alla fisiognomica un intero capitolo degli “Essais” (1588).

Il punto di cerniera, e al tempo stesso di svolta, tra cultura cinquecentesca impregnata di magismo e pensiero razionalistico secentesco si ha con l'opera di Giovan Battista Della Porta (1535-1615). La sua “Fisionomia dell'huomo” (Napoli, 1598) è l'edizione in lingua volgare dei  precedenti studi in latino dell'autore, arricchita di  un centinaio  di  tavole  esemplificative  che mettono  aristotelicamente  a  confronto  animali  e  uomini.  Di nuovo lo zoomorfismo, dunque, che Della Porta utilizza, nel trattato “Phytognomonica octo libris contenta” (1588), anche per  uno spericolato  studio  comparativo  tra  mondo  animale  e  mondo vegetale, in cui indaga le proprietà delle piante a partire  da  somiglianze  morfologiche  con  parti  di  organismi animali.
Lo studio delle signature delle piante è volto alla ricerca di una unità estetica dell’Universo. Lo zoomorfismo di Della Porta si situa tra lo schematismo grafico di Gerolamo Cardano e il razionalismo di Charles Le Brun, che vedremo tra breve.
L’animale simboleggia l’essenza, la qualità fondamentale di un essere umano. “Mai la natura fece un animal che avesse il corpo d’uno o l’animo di un altro animale: cioè un lupo, over agnello, che avesse anima di cane o di leone […] Se l’anima umana venisse in un corpo di cane, restandogli però l’intelletto, non avrebbe costumi se non di cane”.
L’Universo appare così come un grande teatro di frattali: ogni cosa riflette e significa tutte le altre: tout se tient, in una dimensione protostrutturalista.

Il  Seicento  è  il  secolo  in  cui  si  cerca  di  indagare  le passioni con l'ausilio della ragione. René Descartes (1596-1650) indirizza parte della sua attività filosofica ad investigare il rapporto tra anima e corpo. Di  questa  sezione  della  produzione  di  Cartesio  bisogna ricordare “Les Passions de l'Ȃme” (1649), di cui trascriviamo un  brano  in  cui  vengono  elencati  i  segni  esteriori  delle passioni: "I più importanti tra questi segni sono i moti degli occhi  e  del  volto,  i  mutamenti  di  colore,  i  tremiti,  il languore,  gli  svenimenti,  il riso,  le lacrime,  i  gemiti,  i sospiri".
Pressoché contemporaneo di Cartesio è Charles Le Brun (1619-1690), primo pittore di Luigi XIV, cui si devono importanti riflessioni teoriche su tematiche fisiognomiche. Si ricordano il “Traité des Passions” (1649) e soprattutto la serie di conferenze tenute  presso  l'Accademia  Reale  di  Pittura  e  Scultura, dedicate all’espressione generale e particolare.
A partire dal Settecento, la fisiognomica tende per così dire a specializzarsi, spostandosi progressivamente in ambito medico e lasciando alla pittura un ruolo più illustrativo.
Mantiene una certa autonomia artistica e una certa unitarietà l'opera del pittore inglese William Hogarth (1697-1764), che nel 1743 realizza, nella stampa “Caratteri e  caricature”, una vera e propria  summa  di  fisiognomica  applicata al disegno.  Dieci  anni  più tardi,  l'artista  sente  il  bisogno  di  dare  una  copertura teoretica  alla  sua  perizia  grafica,  pubblicando il  trattato di estetica “The analysis of beauty” (1753), di cui riportiamo un passo dalla prima traduzione in lingua italiana, del 1761: "[...] il volto è l'indice dell'animo; e questa massima è tanto radicata in noi, che non  possiamo  fare a  meno[...]  di  formare qualche particolar concetto della persona, di cui si osserva il volto, anche  prima  di  ricevere  informazione  per  altri  versi[...]  E' ragionevole il credere che l'aspetto sia una vera e leggibile immagine dell'animo, che dà a ognuno a prima vista l'istessa idea;  e  vien  poi  confermata  in  fatti:  per  esempio,  tutti concorrono  nell'istessa  opinione  a  prima  vista  di  un  vero idiota".
Lo  svizzero  Johann  Caspar  Lavater  (1741-1801)  può  essere considerato l'ultimo fisiognomico puro, che indaga le forme fisse per carpirne significati oggettivi. Dopo di lui saranno maggiormente indagate le forme mobili dell'espressione: la mimica, la gestualità, il comportamento. Si parlerà allora più   propriamente   di   patognomica   (da pathos = passione e gnome = conoscenza); mentre  la fisiognomica rifluirà in ambito medico e avrà come erede la frenologia. L'opera di Lavater è probabilmente sopravvalutata, forse perché a suo tempo ebbe l'iniziale  adesione  di  due  personaggi  del calibro di Goethe e di Füssli. Lavater è ricordato soprattutto per le sue silhouettes, tratte dal “Physiognomische Fragmente” (1775-1778).

Dicevamo prima della frenologia. Il suo fondatore, Franz Joseph Gall  (1758-1828),  nei  lavori “Recherches  sur le système nerveux” (1808) e “Anatomie et physiologie du système nerveux” (1819) afferma che la forma che definisce le funzioni non è quella  facciale ma  quella cerebrale e che quest'ultima può essere  dedotta  dalla  forma del  cranio.
Inizia  così  una minuziosa analisi delle bozze e degli avvallamenti del cranio, ingenua anticipazione dello studio delle aree cerebrali. La  frenologia  conosce  in  breve  tempo  un  largo  successo  di pubblico. Gli imprenditori    cominciano a richiedere certificazioni  craniologiche  prima  di  assumere  impiegati, proprio  come  si  fa  oggi  inserendo  uno  psicologo  nelle commissioni che  selezionano il personale. A un livello più popolare, ci si fa fare il profilo frenologico come ai giorni nostri si chiederebbe  il  tema  natale astrologico. A questo scopo, nel 1835 i fratelli Povel aprono a Philadelphia  il  primo locale dove, a pagamento,  viene effettuata  la  lettura  del cranio; il successo sarà di  tale portata  da  indurli  ad  aprire  a  New York un Phrenological Cabinet;  non avendo  tempo  e  modo  di  recarvisi,  i  clienti potevano inviare un buon dagherrotipo del proprio cranio. Non mancano i veri e propri ciarlatani. Il filosofo Friedrich Engels ricorda  lo  spettacolo  di  un frenologo che girava per le campagne con una ragazza che faceva sprofondare in estasi mistica premendole sul cranio il “centro della preghiera”. Il tutto davanti a un folto pubblico,  dapprima  incredulo  e  poi  convertito  alla nuova “scienza”.

Sempre  nell'Ottocento,  è  d'obbligo  menzionare  un  precursore dell'etologia: niente meno che il grande Charles Darwin (1809-1882), conosciuto per “L'origine delle specie” (1859) ma anche autore di un libro meno noto, “The expression of emotions in man and animals” (1872),  in  cui  sostiene  che  le  espressioni  delle emozioni sono al servizio della selezione naturale, fisiologici segnali di difesa o di attacco.
Passato  alla  storia  per  il  celebre  ritratto  che  gli  fece Vincent Van Gogh nel 1890, pochi mesi prima del suicidio, il dottor  Paul  Ferdinand  Gachet  (1829-1903)  fu  psichiatra, elettroterapeuta,  omeopata.  Da  pittore  dilettante  qual  era, effettuò  ritratti  delle  internate  all'ospedale  psichiatrico della Salpetrière, allo scopo di studiare i segni somatici ed espressivi della follia. Gachet si era laureato con una tesi sulla  Malinconia,  di  cui riportiamo  un passo  che  assume  un valore  ancora  maggiore  se  lo  leggiamo  avendo  presente  il ritratto  che   gli   fece   Van   Gogh e    che  sembra un'iconografia  esplicativa dei suoi argomenti. Gachet  descrive la patognomica  del malinconico:  "Sembra  che  la  creatura  si rattrappisca, si ripieghi su se stessa, si comprima, come se dovesse  occupare  il  minor  posto  possibile  nello  spazio.  La postura  del  malato  è  tutt'affatto  particolare.[...]  Il  tronco semiflesso sul bacino, le braccia trattenute verso il torace.[...] La testa quasi piegata sul petto leggermente inclinata.[...] Tutti i  muscoli  del  corpo  sono  in  uno  stato  di  semicontrazione permanente[...]  i  muscoli  facciali  sono  come  contratti[...]  e conferiscono alla fisionomia un aspetto di particolare durezza; i  muscoli  sopraccigliari,  aggrottati  in  maniera  permanente, sembrano nascondere l'occhio e aumentare la sua profondità.[...] La bocca è serrata in una linea diritta, sembra che le labbra siano  scomparse.[...]  Il colorito  è  giallastro e  terroso.[...]  Lo sguardo è fisso, inquieto, obliquo, diretto verso terra o di lato."
Di  lì  a  pochi  anni  l'ospedale  psichiatrico  parigino  della Salpetrière diventerà teatro delle gesta del maggiore studioso ottocentesco dell'isteria: il neurologo  Jean-Marie Charcot, ai cui celebri e frequentati corsi assistette, dall'ottobre 1885 al  febbraio  1886,  un  giovane  neurologo  austriaco  di  belle speranze: Sigmund Freud.

Con  Paolo  Mantegazza  (1831-1914), autore di  “Fisionomia e mimica” (1861),  nasce  l'antropologia  scientifica,  antenata dell'antropologia criminale di Lombroso.
Cesare Lombroso (1835-1909) è un giovane psichiatra quando, analizzando le protuberanze craniche di un ladro, Giuseppe Villella, ritiene di scorgervi le stigmate  di un'atavica predisposizione  al  crimine.  Prendono corpo cosi “L'uomo delinquente studiato in rapporto all’antropologia, alla medicina legale ed alle discipline carcerarie” (1876; poi ripubblicato nel 1897 provvisto di  un Atlante) e  “La donna delinquente, la prostituta e la donna normale” (1893). Il considerare  la tendenza al crimine alla stregua della predisposizione ad una malattia naturale spinge Lombroso a chiedere l'isolamento di queste  persone  in  luoghi di  cura piuttosto  che in  carcere.
Nasce  in  questo  modo  l'istituzione  del  manicomio  criminale (1891)  e,  nel  1905,  viene  istituita  la  prima  cattedra  di antropologia  criminale, affidata allo stesso Lombroso.
Se da una parte, con le sue teorie, Lombroso  può  essere  considerato  un  precursore  della  funesta idea  di   predestinazione  razziale,   dall'altra   cerca  una giustificazione per così dire naturalistica al crimine. La sua fortuna comincia ad incrinarsi pochi giorni dopo la sua morte allorquando, all'autopsia  effettuata da  un    avversario scientifico, il suo cranio rivela la tipica natura dell'alienato e del criminale.
Oggi rimane  un  Museo  Lombroso  a  Torino  e,  soprattutto,  un  modo popolare di parlare a prima vista di faccia da delinquente che, a ben vedere, si riverbera anche nell'uso delle fotografie segnaletiche e degli identikit.

Nel   Novecento,   lo   studio   del   volto   umano   abbandona definitivamente il territorio della fisiognomica  e prende fondamentalmente  tre  vie:  la  via  antropologica,  la  via criminologica e la via psichiatrica, con la creazione di discipline intermedie come la medicina criminologica e la psichiatria forense.
A queste andrebbe affiancata la via costituzionalistica, basata sulla dottrina delle costituzioni umane. Essa, oramai abbandonata da ogni ambito medico, sopravvive in quella speciale metodica clinico-terapeutica che è la medicina omeopatica.


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                     Tecniche Nuove, Milano 2006.


Intervento pubblicato ne “Il cenacolo alchemico. Incontri ed eventi ispirati al pensiero di Giovan Battista Della Porta”, a cura di Alfonso Paolella e Gennaro Rispoli. Atti del Convegno, Napoli, 24-26 maggio 2018 (pp. 197-205).


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