Piazza N. Longobardi 3, 00145 Roma tel 06 51607592
"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

giovedì 28 aprile 2011

Cute e PNEI - 30 Aprile 2011 a Roma


CUTE E PNEI:
la vita sul confine
Sabato 30 Aprile 2011
Centro Congressi Cavour
Via Cavour 50, Roma

Una giornata di Dermatologia integrata rivolta ai soci della sezione
Lazio della
S.I.P.N.E.I. e non solo

PROGRAMMA

Il modello scientifico PNEI applicato alla Dermatologia

h 9.30 – 10.15:
Il sistema dello stress cutaneo
F.Bottaccioli
h 10.15 – 11.15:
Un volo panoramico sulla dermatologia
L. D’Auria
h 11.15 – 11.30:
Pausa
h 11.30 – 12.00:
Cute, yin e yang:
dalla Medicina Tradizionale Cinese al genere
M. Risi
h 12.00 – 12.30:
Dermatologia psicosomatica:
l’Anima vista da fuori
L. Turinese
h 12.30 – 13.00:
Discussione
h 13.00 – 14.30:
Pausa pranzo


Evidenze – Esperienze

h 14.30 – 16.30:
Laboratorio di dermatologia integrata

Luciano D’Auria proporrà e mostrerà immagini di casi clinici di pazienti portatori di alcune patologie dermatologiche: in particolare psoriasi, acne, orticaria. Su questi esempi apriremo un workshop di medicina integrata con il coinvolgimento dei partecipanti all’incontro che verranno sollecitati a portare proprie esperienze cliniche e/o riflessioni.
Al workshop daranno il loro contributo nel campo delle loro rispettive competenze:
D’Auria per l’ omeopatia e per la dermatologia
Bottaccioli e Carosella per la Meditazione a indirizzo Pnei (PNEIMED)
Risi per l’agopuntura e l’endocrinologia ginecologica
Turinese per la psicologia
Vittorini per la nutrizione

h 16.30 – 17.30:
Assemblea dei soci SIPNEI del Lazio

RELATORI
Francesco Bottaccioli, presidente onorario SIPNEI, docente di PNEI nella Formazione post-laurea della Facoltà di Medicina di Siena
Antonia Carosella, docente di tecniche antistress e meditative, SIMAISS, socia SIPNEI
Luciano D’Auria, dermatologo, esperto in omeopatia, socio SIPNEI
Marina Risi, ginecologa, vicepresidente SIPNEI,
Luigi Turinese, medico psicoterapeuta, esperto in omeopatia, socio SIPNEI
Cristina Vittorini, medico, esperta in nutrizione, socia SIPNEI
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mercoledì 27 aprile 2011

Le Recensioni di L.T. - "La nonviolenza nella cultura indiana", di M.L. Tornotti

Maria L. Tornotti, "La nonviolenza nella cultura indiana", Cittadella Editrice, Assisi (PG) 1984, pp. 268

Allieva del prof. Della Casa, noto anche come traduttore delle maggiori Upanishad, Maria Luisa Tornotti presenta un esauriente studio sull'evoluzione della nonviolenza nelle diverse fasi della cultura indiana. L'India vedica viene rievocata attraverso una disamina del significato del sacrificio rituale: sacrificio animale, ché la questione del sacrificio umano, per quanto grandemente controversa, viene risolta dall'autrice in termini negativi.

Il passaggio dal sacrificio letteralizzato alla sublimazione del sacrificio coincide con la rinuncia e l'ascesi, più esplicite nelle Upanishad. Ma è con il giainismo che l'analisi della violenza si fa più radicale, arrivando a forme estreme di evitazione delle uccisioni: ne consegue un vegetarianesimo 'spinto'.
L'esistenza materiale, per i Giaina, è inevitabilmente connessa con un qualche grado di violenza: l'ascesi, pertanto, consiste nella ricerca di una nonviolenza assoluta e, quando la morte sta arrivando, di non opporle alcuna resistenza, anzi di lasciarsi morire(sallekhana).

In ambito buddhista non c'è tale minuziosa prescrizione di ciò che va evitato; la speculazione sistematica, infatti, è quanto di più alieno si possa immaginare dell'universo buddhista. Si potrebbe dire che, mentre il giainismo è portato a letteralizzarla, il buddhismo metaforizzi la nonviolenza, che " ... viene presentata soprattutto come fattore mentale, come disposizione interiore o come equivalente di una forza positiva, qual è la compassione" (pag. 153). Per questo nel buddhismo il veterianesimo, pure molto apprezzato, soprattutto in ambito Mahayana, non è tassativo.
Dopo un importante capitolo dedicato alla Bhagavad Gita, il libro perviene ad esaminare la figura del Mahatma Gandhi, identificato come l'esponente moderno per antonomasia della millenaria cultura della ahimsa, la nonviolenza.

Luigi Turinese


In foto: "La piccola vedette lombarda"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XIV, n.56, Ottobre-Dicembre 1995

Le Recensioni di L.T. - "La psicologia di Jung e il buddhismo tibetano", di R. Moacanin

Radmilla Moacanin, "La psicologia di Jung e il buddhismo tibetano", Chiara Luyce Edizioni, Pomaia (PI) 1995, pp.142

L'autrice, nata a Belgrado, ha compiuto in Occidente studi eterogenei, conseguendo anche la laurea in psicologia. Da oltre vent'anni studia e pratica il buddhismo, essendosi accosta prima allo zen e quindi al vajrayana. Attualmente vive e lavora negli U.S.A.

Lo spunto per questo libro le venne dato alcuni anni fa da Lama Yeshe, che la spinse a cercare le connessioni tra buddhismo tibetano e pensiero junghiano. Ne nacque una sfida ad approfondire un tema che si affacciava ancora in maniera oscura nell'anima della Moacanin, ma che Lama Yeshe aveva intuito, con attitudine maieutica, come uno dei destini di quella giovane praticante.
Nel libro, di nitida intelaiatura, l'autrice è in grado di far 'parlare' il buddhismo e la psicologia di Jung; e lo fa con ammirevole modestia e con il minimo di interferenze interpretative. Si può dire che sia riuscita, senza sovrapposizioni egoiche, a creare connessioni - compito ermetico per eccellenza - tra i due sistemi che presentano analogie, ma anche significative differenze.
E' ben nota la prudenza che lo stesso Jung raccomandava circa facili sincretismi tra Oriente e Occidente. D'altra parte, come scrive la dottoressa Moacanin, "il principio degli opposti e la sua applicazione sono fondamentali sia nel modello di Jung cheche nel buddhismo, in particolare nelle pratiche del Tantra" (pag.110).

Luigi Turinese


In foto: "Natura o artificio?"


Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XIV, n.56, Ottobre-Dicembre 1995

Le Recensioni di L.T. - "Nel Giardino del Cuore", di G.Gorlani

Giuseppe Gorlani, "Nel Giardino del Cuore", Il Cerchio Iniziative Editoriali, Rimini (FO) 1994, pp. 205


Fedele alla tradizione orientale, Giuseppe Gorlani fa sua la metafora del Giardino come spazio interiore e ci regala una silloge di oltre cinquanta poesie intercalate da alcune significanti prose poetiche.

Nella breve e elogiativa Prefazione, Emilo Servadio ricorda la parentela stretta tra rishi e poeta.
Non di poesia profana si tratta, dunque, bensì di un'esposizione in versi dei territori del Sacro, compiuta attraverso un linguaggio che contrae un debito costante con la soteriologia vedantica. La terza raccolta poetica di Gorlani è un omaggio costante alla Shakti; e come tale trae la sua energia dal Regno della Madre.
"Bevo l'azzurro, / disciolto nell'azzurro;/ sono gioia senza confini, / sono pura consapevolezza".

Luigi Turinese


In foto: "Policromia discreta"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XIV, n.56, Ottobre-Dicembre 1995

Le Recensioni di L.T. - "Julius Evola e il buddhismo", di S. Consolato

Sandro Consolato, "Julius Evola e il buddhismo", ReaR Edizioni, Borzano (RE)1995, pp.222

Il libro che qui presentiamo nasce dalla correzione e aggiornamento della tesi di laurea in filosofia di Sandro Consolato. L'occasione è stata il ventennale della scomparsa di Julius Evola (1974). Il testo risente della sua origine universitaria, e lo diciamo nella accezione più favorevole. Rigoroso, provvisto di note puntuali, soprattutto teso a dimostrare delle argomemtazioni e a confutare altre, con una logica stringente e intellettualmente onesta.
Detto questo, dobbiamo anche aggiungere che non ci sentiamo sempre vicini al mondo dell'autore. Soprattutto, non ci sentiamo sempre vicini all'argomentare di Evola. Il testo evoliano cui si fa riferimento è "La Dottrina del Risveglio", originariamente edito da Laterza (1943)e poi ripubblicato da Scheiwiller nel '65 e nel '73.

Il dissenso di Consolato rispetto ai detrattori dell'interpretazione evoliana del buddhismo si sostanzia soprattutto su due fronti: uno costituito dalla "Rivista di Studi Tradizionali" di Torino, di impostazione guénoniana; l'altro, che ci riguarda da vicino, relativo ad un dibattito apparso sui numeri 17 e 18 di PARAMITA nel 1986.
Più stemperata la polemica nei confronti di un articolo apparso nel 1984su "Solstitium" a firma del nostro direttore (Vincenzo Piga, 'La Dottrina del Risveglio' recensita da un buddhista contemporaneo).
Le bacchettate più severe toccano a Mauro Bergonzi, " ... che nel farsi buddhista non si è emancipato da certi pregiudizi 'di sinistra'" ((pag. 126).La polemica con Bergonzi riguarda il problema della 'arianità' del buddhismo, cui l'autore dedica ben ventiquattro pagine. "Solitamemnte, il temine arya, riferito alla sfera del buddhismo, in Occidente viene tradotto con 'santo', 'nobile' o 'sublime', ma Evola ritiene che tali traduzioni siano non tanto errate, ma incapaci di rendere il significato originario del termine, cioè quello ...'ad un tempo spirituale, aristocratico e razziale'" (pagg. 110-111).
Non c'è niente da fare: con argomenti certamente non rozzi viene comunque ribadita la preoccupazione razziale, se non francamente razzzista, dell'universo spirituale evoliano, teso a difendere l'integrità dell' 'homo europaeus'. E infatti: "L'islamismo ... si espande in modo preoccupante, e con le migrazioni delle sue genti penetra sempre di più nella stessa Europa, facendo nuovi proseliti ... solo il buddhismo può farsi strada in modo indolore entro la nostra realtà culturale ed etnica, rinnovandola in modo fecondo e offrendole un valido scudo spirituale contro l'islam" (pagg. 213-214).

Ci rendiamo conto che si tratta di questioni delicate, che non si esauriscono nel breve stpazio di una recensione. Ci sembra tuttavia più stimolante correre il rischio di un "meticciato culturale" (non è ogni cosa, anche le culture, sottoposto all'implacabile azione di anicca?) che spendere le nostre energie spirituali nell'elevare scudi.


Luigi Turinese


In foto: "Non temo confronti"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XIV, n.56, Ottobre-Dicembre 1995

Le Recensioni di L.T. - "Buddhisti d'Italia", di G. Comolli

Gianpiero Comolli, "Buddhisti d'Italia", Edizioni Theoria, Roma-Napoli 1995, pp.154

Il titolo non tragga in inganno. In realtà, come si arguisce dal sottotitolo (Viaggio tra i nuovi movimenti spirituali), l'autore ha realizzato una ricerca sui movimenti di ispirazione orientale e sulle motivazioni che in Italia spingono dalle 50.000 alle 100.000 persone ad aderirvi.

L'indagine è condotta con rigore, con un distacco attenuato da una certa simpatia, che a tratti coincide con l'adesione. "Questo libro ... è il racconto del viaggio nel mondo dell'Oriente italiano" (pag. 9). La simpatia di Comolli per l'oggetto della sua ricerca traspare anche dalla spottolineatura del tono supponente usato dai 'nemici del Dharma' per sostenere le loro argomentazioni.
In ventisei brevi capitoli il libro passa in rassegna, con assoluta 'par condicio', i più disparati movimenti di ricerca spirituale di derivazione orientale: dai seguaci di Sai Baba agli adepti dello yoga, dai sannysin di Osho Rajneesh alle varie espressioni del buddhismo.
Non mancano interviste con esponenti del mondo cristiano, nell'ottica di una ricerca di dialogo che sembra uno degli obiettivi che stanno più a cuore all'autore. Comolli identifica il denominatore comune delle scuole dell'Oriente italiano in " ... un bisogno di abbandono, una propensione a spostare il centro di Sé dal proprio Ego a un Assoluto cui offrirsi"(pag. 122).
Come l'autore suggerisce nel capitolo conclusivo ('Conclusioni: per una cultura della condivisione'), " ... il fenomeno dell'Oriente italiano sembra nascere come risposta ad un insieme di bisogni: a) Rifondare il senso della vita ... b) Raggiungere una nuova socialità ... c) Raggiungere una nuova pacificazione ... d) Sacralizzare la corporeità ... e)Prendere le distanze dalla Storia ..." (pag. 146).

Luigi Turinese


In foto: "L’esempio è tutto"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XIV, n.56, Ottobre-Dicembre 1995

Le Recensioni di L.T. - "La naturale libertà della mente", di P. F. Barth

Peter F. Barth, "La naturale libertà della mente", Ubaldini Editore, Roma 1995, pp. 109

Peter Barth, praticante della Mahamudra e guida spirituale del Mahamudra Meditation Centre, in California, attribuisce valore centrale alla pratica meditativa. Ogni capitolo del suo libro, pertanto, presuppone la lettura da parte di un praticante, cui è esplicitamente rivolto. In appendice, d'altra parte, vengono descritte non a caso pratiche meditative.

Come rivela l'autore nell'Introduzione (pag. 11), " ... la quattro parti del libro seguono le quattro verità di Gampopa". Gampopa (1077-1152), lo ricordiamo, è considerato uno dei fondatori della scuola Kagyupa.
Le quattro parti del libro sono intitolate rispettivamente: 1. La mente rivolta verso la verità; 2. La verità diventa sentiero; 3. Togliere la confusione dal sentiero; 4. La confusione sorge come consapevolezza ordinaria.
Nella quarta parte sono contenute considerazioni a proposito della morte; considerazioni particolarmente intaressanti proprio perché lungi dall'essere intellettualistiche, sono esposte tenendo costantemente sullo sfondo la pratica meditativa. Leggere per credere.

Luigi Turinese


In foto: "Guarnigione a riposo"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XIV, n.56, Ottobre-Dicembre 1995

Le Recensioni di L.T. - "Donne e cultura" e "Monachesimo tibetano in dialogo", AA.VV.

AA.VV. "Donne e cultura", Editrice AVE/ISA, Roma 1995, pp.130
e

AA.VV. "Monachesimo tibetano in dialogo", Editrice AVE/ISA, Roma 1995, pp. 228



In PARAMITA n.48
avevamo tempestivamente e positivamente recensito i primi due volumi della nuova collana 'Asia: la nuova frontiera' della casa editrice AVE/ISA. Padre Nicola Manca, che ne è direttore, partecipa con un intervento in ciascuno dei libri che qui presentiamo.

Nel primo, "Donne e cultura" non mancano per la verità coloriture retoriche, soprattutto laddove raffiora il "vecchio vizio" dell'antropologia di stampo naturalistico: estrapolare dati tratti dagli studi etologici per adattarli al gruppo umano. Ne deriva il messaggio che il ruolo della donna è 'naturale' e che il miglior modo di esaltarlo consiste nel rispettare tale presunta naturalità. E qual è questo ruolo naturale? E' l'essere "padrona della casa" (pag.10). Così, in un crescendo di lodi alla 'donna' si arriva a leggere che " ... se si toglie al maschio la coscienza di sapere che col suo lavoro mantiene la sua compagna e i suoi figli e alla femmina quella di essere grata al suo compagno per i sacrifici che fa per lei e per i suoi bambini, equivale privare l'uno e l'altra di gran parte di ciò che dà senso alla vita" (Mario Marchiori , La donna: natura o cultura?, pag. 216).
A parte ogni riserva (che pure abbiamo) sulla sintassi di frasi come quella citata, è il contenuto che ci fa tremare: 'siamo ad un passo dall'esaltazione dell'angelo del focolare', cioè indietro di quarant'anni. Non è alludendo ad un improbabile matriarcato di epoche passate che si prospetta una valorizzazione del femminile.
Risultano molto stimolanti gli interventi storico-antropologici puri, che non hanno la pretesa di giudicare e di decidere che cosa sarebbe meglio per le donne, rivelando in realtà i propri desideri profondi. In particolare segnaliamo "Il 'matriarcato' tibetano", di Claudio Nappo; e "La donna della Sardegna vista dallo studio di un avvocato", di Gavino Piredda.

Non diremo molto dell'altro libro, "Monachesimo tibetano in dialogo", se non che si tratta di una articolata esposizione, da parte di studiosi e religiosi di alto profilo, di alcuni importanti aspetti del budddhismo - non solo tibetano - in rapporto ad altre forme di spiritualità. Ci limitiamo a segnalare una chicca che può sfuggire a una lettura affrettata: "Esiste un oggetto comune a tutte le fedi?", di Stefano Piano. Due pagine dense e foriere di riflessioni.

Luigi Turinese


In foto: "I tre moschettieri"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XIV, n.56, Ottobre-Dicembre 1995

martedì 26 aprile 2011

Le Recensioni diL.T. - "Ars Vivendi", di G. Sarà

Gioacchino Sarà, "Ars Vivendi", Liguori Editore, Napoli 1993, pp. 55

Solipsistico e formidabilmente ego-centrato (traduzione inglese a fronte, uso di un "filosofese" fatto di parole composte e di giochi linguistici), questo poco comprensibile libretto consiste di di venticinque capitoli che costituiscono il Commentario di una Meditazione iniziale.

Una citazione vale più di mille commenti.
"Concludendo: lasciar'mi' qui-ora manifestare-e-trasformare così nel grembo e in virtù dell'onnitrascendente VEGLIARE - al di là del quale, pertanto,
ni-ente esiste - è ARS VIVENDI, che può quindi sintetizzarsi nella seguente formula meditativo-operativa: lasciar'mi' VEGLIARE
" (cap. 25).


Luigi Turinese


In foto: "Macchie di colore rosso"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XIV, n.54, Aprile-Giugno 1995

Le Recensioni di L.T. - "Il Vangelo di Buddha", di P. Carus

Paul Carus, "Il Vangelo di Buddha", Edizioni Sarva, Imola (BO) 1992, pp. 190

Summa divulgativa di una qualche utilità, questo libro consiste nella narrazione, in un piano ordine cronologico, della vita del Beato, dalla condizione di Siddharta al parinirvana.

Dei cento brevi capitoli di cui è composto il libro, soltanto i primi tre e gli ultimi tre, costituenti l'introduzione e la conclusione, sono dovuti interamente alla penna di Paul Carus (a proposito del quale non viene dato nessun elemento, tanto da fare pensare ad uno pseudonimo); questi si configura quindi esplicitamente come un compilatore, come il creatore di un mosaico le cui tessere sono tratte dal Canone pali.

Luigi Turinese


In foto: "Tecnica mista"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XIV, n.54, Aprile-Giugno 1995

Le Recensioni di L. T. - "Il ritorno di Ahmès-Nefertari", di Liena

Liena, "Il ritorno di Ahmès-Nefertari", Edizioni Mediterranee, Roma 1988, pp.127

Liena è uno pseudonimo di un'automatista milanese che fino alla morte, avvenuta nel 1986, mise la sua sensitività al servizio di messaggi provenienti da un altro spazio e da un altro tempo.

Il curatore del libro, Solas Boncompagni, fu a lungo interlocutore epistolare dell'autrice, e ci svela il suo mondo occulto popolato di precognizioni e di retrocognizioni sin dalla giovinezza.

Non voglismo psicologizzare queste esperienze, circa le quali è difficile fare il punto; leggendo il libro, tuttavia, sembra ravvisare un dialogo continuo tra l'Io dell'autrice e altre sue persone interne, un po' come in quel processo psichico da Jung definito 'immaginazione attiva'.
Come che sia, nel libro si succedono poesie, psicopitture e disegni puntinistici, eseguiti con la mano sinistra.
A proposito di questi ultimi l'autrice scriveva: "Sembra che queste nuove espressioni siano per me un corso di apprendimento per soddisfare tanti spiriti vaganti e non so dove esso mi condurrà. Ciò che posso dire è che lavorare mi dà molta serenità e una grande distensione" (pag. 121).

Luigi Turinese


In foto: "Piombo rappreso"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XIV, n.54, Aprile-Giugno 1995

INVITO alla presentazione: "La Rivista dei Dioscuri" - Trimestrale policulturale e politeista


INVITO








Alla presentazione della
Rivista dei Dioscuri
Mercoledì 27 Aprile 2011 - ore 18
Teatro dei Servi
Via del Mortaro, 22 angolo Via del Tritone - Roma

Francesco Franci
Tel+fax: 06.77076008
Cell: 3334925779
e-mail: rivistadioscuri@tiscali.it
RSVP



La Rivista dei Dioscuri
trimestrale policulturale e politeista
N°1 Gennaio-Marzo 2011


Sommario
Introduzione
- Note sulla psicologia archetipica di Luigi Turinese
- Per un teatro Ermetico di VrttiOpera
- Il dionisiaco oggi di Mirko Marchesi
- Nonno di Panopoli, tra Dioniso e il verbo più antico del mondo di Matteo Veronese
- Ermetismo quantistico di Fabio Scanzani
- Entanglement quantistico
- Mitopsicologia del management di Francesco Franci
- Un matematico eterodosso:Arturo Reghini di Sandro Salerno
- Incertezza e rischio sanitario di Maurizio Musolino
- Intelligenza strategica di Paolo Manzelli
- Attualità e contemporaneità del pensiero di Giorgio Gemisto Pletone di Moreno Neri
- Alcune riflessioni sul rapporto tra rischio clinico e l’incertezza intrinseca alla complessità dei processi sanitaridi Maurizio Musolino
- Turismo culturale: Italia magica ed esoterica, 1: il Tempio Malatestiano di Rimini


Recensioni
:
1 “Caro Hillman ...”
2 “La Cultura dell’Incertezza"
3 "Considerazioni sulla via iniziatica"

Segnalazioni editoriali

Nasce con questo primo Numero la Rivista dei Dioscuri, continuazione ideale dei Fascicoli dei Dioscuri editi nei primi anni '70. Con l’intento di essere una rivista policulturale, se
vogliamo, politeista, a scadenza trimestrale.
I temi:
Dall'ermetismo confrontato con la Contemporaneità, alla scienza. Dalla psicologia mitoarchetipale alle arti, alla cultura dell'innovazione, alle applicazioni sociali della FuzzyLogic.

Gli autori,coordinati da un Comitato Editoriale, sono esperti dei vari temi a livello nazionale ed internazionale.
Comitato Editoriale:
Francesco Franci - coordinatore
Luigi Turinese
Moreno Neri
Fabio Scanzani

Abbonamenti annuali alla Rivista dei Dioscuri
L’abbonamento annuale, quattro numeri trimestrali, costa 30€, ed è comprensivo delle
spese di spedizione all’indirizzo dell’abbonato
Per il pagamento degli abbonamenti è attiva una carta postepay.
Il pagamento può essere effettuato
- presso qualsiasi Ufficio Postale
- presso tutti gli sportelli SISAL (tabaccai, etc)
fornendo il nome dell’intestatario: Franci Francesco,
e il numero della carta: 4023600598207290
Oppure via Internet per chi ha un conto Poste,
o l’accesso alla propria banca fornendo i dati di cui sopra
Quindi mandare una email alla rivista: rivistadioscuri@tiscali.it precisando di aver effettuato il pagamento e precisando la corrispettiva data; e indicando il nominativo e l’indirizzo completo di CAP cui inviare la rivista. Per Pacchetti di abbonamenti, moltiplicare 30€ per il numero di abbonamenti, ed inviare tutti i nominativi con indirizzo di tutti i benificiari.
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lunedì 25 aprile 2011

Le Recensioni di L.T. - "La scienza della mente", AA.VV.

AA.VV., "La scienza della mente", Chiara Luce Edizioni, Pomaia 1993, pp. 173

Il libro che presentiamo è il resoconto di un simposio intitolato 'La Scienza della Mente: un dialogo tra Oriente e Occidente', svoltosi nel marzo del 1991 nell'ambito di un programma del Dipartimento di Educazione Medica dell' Harvard Medical School.

Ospite d'onore il Dalai Lama, cui si deve il primo capitolo del libro ("Il concetto buddhista di mente") e il dialogo con alcuni neurologi che costituisce il secondo capitolo. I successivi quattro capitoli sono dedicati al confronto tra vari aspetti della scienza occidentale e scienza della mente buddhista, con particolare riferimento al vairyana.
Il settimo capitolo, infine, testimonia della discussione di gruppo che, alla fine del convegno, ha posto sul tavolo le possibilità di reciproca fecondazione del pensiero psicologico occidentale e di quello buddhista.

In ultima analisi, il libro tenta il confronto tra l'Abidharma e la psicologia occidentale; per questo, una volta tanto, anche noi ringraziamo gli sponsor: il Mind/Body Medical Institut e la Tibet House di New York.

Luigi Turinese


In foto: "Tache jaune"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XIV, n.54, Aprile-Giugno 1995

Le Recensioni di L.T. - "Lo zen e l'arte dell'illuminazione", di Keizan

Keizan, "Lo zen e l'arte dell'illuminazione", Ubaldini Editore, Roma 1994, pp. 214

La trasmissione della luce, noto anche come La trasmissione della lampada, è uno dei maggiori classici dello zen di tradizione Soto. Apparentemente si tratta di cinquantatrè storielle, ognuna delle quali costituisce un capitolo in cui si narrano le gesta spirituali di un maestro, a cominciare naturalmente dal Buddha Sakyamuni.

Più in profondità, ogni capitolo contiene un koan che svolge la funzione di addestramento per il satori.
La raccolta risale al 1200, ed è opera del quarto discendente di Dogen. E a Dogen è dedicato il penultimo capitolo della raccolta, tradotta come sempre ottimamente da Giampaolo Fiorentini e curata da Thomas Cleary, noto come traduttore di classici cinesi come La raccolta della roccia blu, Il segreto del fiore d'oro e L'arte della guerra, recensito quest'ultimo su PARAMITA n.38.

Luigi Turinese


In foto: "La prima comunione"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XIV, n.54, Aprile-Giugno 1995

Le Recensioni di L.T.- "La saggezza dei maestri zen", a cura di P.Lagazzi

Paolo Lagazzi, "La saggezza dei maestri zen", Guanda Editore, Parma 1994, pp. 96

In una deliziosa collana che l'editore Guanda manda in libreria con il nome di "Le piccole fenici", appare questo libretto ottimamente curato da Paolo Lagazzi, critico letterario e studioso di arte e cultura dell'Estremo Oriente.

Sengai (1750-1837),
abate del tempio zen di Shofukuji, fu un maestro della pittura ad inchiostro (sumie), che combina pittura e poesia, quest'ultima espressa in arte calligrafica (shodo) e in forme metriche stabilite. I versi solo raramente assumono la funzione di commentare; più spesso si librano in piena autonomia, sempre evocanti mu, il vuoto, che rappresenta l'essenza ultima dello spirito zen.

Si è scritto sull'influsso che Sengai pittore ebbe sull'immaginazione di Toulouse-Lautrec. Ognuno può formarsene un'idea ammirando le trentotto calligrafie, essenziali e pervase dal tradizionale umorismo zen, ben riprodotte e ottimamente commentate dal curatore.

Luigi Turinese


In foto: "Amabile ametista"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XIV, n.54, Aprile-Giugno 1995

Le Recensioni di L.T. - "L'abbandono della sofferenza", di A. Bonecchi

Adalbertop Bonecchi, "L'abbandono della sofferenza", Tranchida Editori, Milano 1994, pp. 90

A distanza di due anni da Psicologia e Buddhismo (Milano 1992), lo psicanalista Adalberto Bonecchi torna sul suo tema favorito con questo libro diviso in cinque capitoli, nei quali si svolgono alcune considerazioni sulla psicoterapia, sulla spiritualità e infine su di un progetto pedagogico che possieda una valenza preventiva nei confronti della sofferenza psicologica e spirituale.

La struttura del libro è aforismatica, leggera, senza apparato di note nè bibliografia; questo anche nella convinzione, espressa dall'autore nell'Introduzione, che " ... il libro debba offrire spunti di meditazione anche e soprattutto quando aperto su un capoverso a caso." (pag. 14). Ne risultano brevi appunti, note sulla pratica psicoterapeutica e sull'insegnamento spirituale. "Sebbene la psicanalisi abbia effetti terapeutici, sarebbe estremamente fuorviante considerarla esclusivamente una forma di terapia ..." (pag. 23).

Riflessioini programmaticamente "in pillole", però, per non fermarsi in superficie devo possedere una acutezza folgorante, una "densità" e un "peso" che suppliscano alla mancanza di apprendimento analitico. Questo è il punto: Bonecchi non è Krishnamurti, e certamente non vuole neppure esserlo. "Le terapie solitamente portano all'aumento del narcisismo o della consapevolezza. Meglio, in linea di massima, privilegiare la seconda ..."(pag. 78). Il tono vagamente sapienziale, unito ad una assoluta mancanza di ironia, non giova a fugare il sospetto di coloritura inflazionistica.
Ci permettiamo queste considerazioni certi che l'autore, che seguiamo sin dalle origini del suo lavoro divulgativo (La saggezza freudiana, Milano 1988), la prenda come elemento di dibattito per così dire "interno". Concludiamo quindi con un'ultima citazione: "Quando - impegnati in un'attività pubblica quale ad esempio una conferenza - non si ha lo scopo di vincere, si diviene inattaccabili, perché non vi può essere attacco esterno verso chi non ha paure interne" (pag. 47).

Luigi Turinese


In foto: "Aurum vegetabile"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XIV, n.54, Aprile-Giugno 1995

Le Recensioni di L.T. - "Il Nyaya Sutra di Gautama", di L. V. Arena

Leonardo V. Arena, "Il Nyaya Sutra di Gautama", Edizioni Asram Vidya, pp. 421

Fughiamo subito un possibile equivoco per i nostri lettori, per la maggior parte, immaginiamo, buddhisti. Il Gautama di cui il professor Arena ci presenta il pensiero non ha nulla a che vedere con il principe Siddharta. Si tratta di un autore indiano, forse addirittura un prestanome, la cui cronologia è imprecisata, oscillando tra il III secolo a.C. e il II secolo d.C. I suoi Nyaya Sutra sono suddivisi in cinque libri, l'ultimo dei quali sicuramente soggetto ad interpolazioni; ciascun libro consta di due capitoli, per un totale di 528 sutra.

Potremmo definire il Nyaya come la via logica alla liberazione. Il sillogismo, il dubbio vi hanno un ruolo primario; mai però la discussione resta fine a se stessa, mantenendo un fine soteriologico, come peraltro tutti i sei darshana tradizionali dell'induismo. I darshana fanno riferimento ai Veda e vengono altrimenti detti scuole astika, per distinguerle dalle scuole nastika (o del 'non-è-così') come il biddhismo e il giainismo. Come è noto, i sei darshana vengono usualmente descritti in tre coppie, essendosi di fatto fusi due a due secondo una certa quale complementarietà filosofica: abbiamo così il Samkya Yoga, il Purva e Uttara-Mimansa e, appunto, il Nyaya-Vaisheshika.
Di grande interesse storico-filosofico è lo studio della relazione tra il sistema Nyaya-Vaisheshika e la scuola buddhista dei Sarvastivadin, ad impronta realista.
Come sempre accade per testi come quello che presentiamo, il contenuto non è di facile accesso, ma il lavoro del professor Arena è puntiglioso e appassionato, sin dall'ottima Introduzione di settanta pagine; così come è meritoria l'attività editoriale delle edizioni Asram Vidya, che pervengono anche, con questo volume, ad una veste grafica accattivante.

Luigi Turinese


In foto: "Onde antiche"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XIV, n.54, Aprile-Giugno 1995

Le Recensioni di L.T. - "Naropa: Iniziazione" (a cura di) R. Gnoli e G. Orofino

R. Gnoli e G. Orofino (a cura di), "Naropa: Iniziazione", Adelphi Edizioni, Milano 1994, pp. 418

E' finito il turismo spirituale ad Oriente? Pare di sì, o per lo meno il fenomeno si è molto attenuato, rendendosi più interiore e meno bisognoso, quindi, di dimostrarsi attraverso voli charter. E' tramontato il turismo ad Oriente? Si sarebbe tentati di rispondere affermativamente, quando una casa editrice di alto profilo, ma pur sempre non specialistica come Adelphi decide di inaugurare una collana come la Biblioteca Orientale. Adelphi, a dire il vero, ha sempre avuto un occhio di riguardo per la letteratura religiosa d'Oriente. Lo testimoniano opere fondamentali come la Bhagavad Gita e il Tao-Te-Ching, o anche, in ambito buddhistico, Le Gesta del Buddha di Asvaghosa.
Inaugurare una collana a sé stante, e inaugurarla con un testo fondamentale e ottimamente curato come il Kalacakra di Naropa, però, è un'altra cosa, e testimonia un impegno di cui non possiamo non rallegrarci. Il programma editoriale della Biblioteca Orientale prevede la pubblicazione di uno o due testi all'anno, e chissà che, come nei voti di Roberto Calasso, la sua casa editrice non riesca ad emulare la collana "Sacred Books of the East", diretta nel secolo scorso da Max Muller, che arrivò a pubblicare, in trentacinque anni, quarantanove testi fondamentali della soteriologia orientale! Ce lo auguriamo di tutto cuore.

Il Kalacakra dunque, rappresenta l'ultima grande opera del buddhismo tantrico indiano. Elaborata attorno all'anno mille dell'era cristiana, è avvolta da un alone leggendario. Attribuita ad una dinastia di Re sacerdoti del paese fantastico di Sambhala, fu verosimilmente opera di un'accolita di yogin dell'India nord-occidentale. Il grande santo indiano Naropa, noto per essere stato il maestro spirituale di Marpa (e quindi, in un certo senso, il "nonno spirituale" di Milarepa...), realizzò un commento del Kalacakra, che prese poi la via del Tibet. Di tale commento è sopravvissuto soltanto un capitolo, di cui qui si riporta la traduzione accompagnata da un sapiente apparato critico.

"Nella tradizione del Kalacakra il processo di adempimento ... viene compiuto attraverso un sistema di yoga detto a sei membri ..., in cui l'energia sessuale ha una parte assai rilevante ...lo yoga dei Tantra buddhisti non si basa su una repressione, difficile e innaturale, dei nostri istinti fondamentali, ma su di una loro trasformazione e sublimazione" (dalla splendida introduzione di Raniero Gnoli, pag. 68).
Si è molto favoleggiato, nell'Occidente sessuofobo/sessuomane, su questo aspetto del tantrismo. Non ci sembra il caso di entrare in questo ginepraio. Ci limitiamo ad osservare che nel tantrismo si usa descrivere la versione "della mano sinistra", in cui prevale la versione letteralistica degli elementi sessuali; e la versione detta "della mano destra", in cui si fa valere l'interpretazione metafisica.

Il nostro libo, per la verità, non contiene solo il Kalacakra, ma presenta anche dei testi brevi e rari, provenienti dall'Asian Society di Calcutta e dai National Arcives di Kathmandu.

Al professor Raniero Gnoli, tra i più brillanti orientalisti usciti dalla scuola di Giuseppe Tucci, si devono le novanta pagine introduttive e la traduzione dell'originale sanscrito; il testo sanscrito è fatto oggetto di confronto con la traduzione tibetana grazie alla cura di Giacomella Orofino, studiosa attenta della letteratura religiosa in lingua tibetana.
La collaborazione tra i due studiosi è stata felice come in rari casi accade. Ci piace trasmetterne la qualità riportando le parole dello stesso Gnoli (Prefazione, pag. 9): "Nell'antico Tibet alla traduzione di testi sanscriti cooperavano solitamente due studiosi, un pandit indiano e un dotto tibetano, chiamato lotsava. Il metodo da noi tenuto è stato lo stesso, io il pandit e lei il lotsava".

Luigi Turinese


In foto: "Scultura"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XIV, n.54, Aprile-Giugno 1995

domenica 24 aprile 2011

I ragazzi possono fare l’amore in casa? - di P.Tavella, su Corriere della Sera

Corriere della Sera
SU «IO DONNA» IN EDICOLA

21 Aprile 2011

I ragazzi possono fare l’amore in casa?


C’è chi accetta. E chi finge di non sapere che cosa succede nelle camerette.



di Paola Tavella

Ci sono madri che ne fanno una questione di sicurezza, e padri sull’orlo di una crisi di gelosia se il fidanzatino della figlia si ferma a dormire. In (quasi) tutte le famiglie convivono l’imbarazzo e il desiderio di lasciare che facciano le proprie esperienze. E, a sorpresa, dagli esperti arriva l’invito a recuperare regole e tabù. Perché la vita sessuale esibita sotto gli occhi dei genitori non è un segno di autonomia. Ma al contrario l’eccessiva libertà impedisce di crescere

Robert, il padre di Vivian, 16 anni, è inglese. Vive a Roma con la figlia e la moglie italiana. Una mattina, tornando da un viaggio all’estero, ha trovato seduto al tavolo della colazione un sedicenne sconosciuto. Ha chiesto a sua moglie chi fosse. «Oh, è Riccardo» ha detto lei. «Stanotte ha dormito con Vivian, sono tanto innamorati». Vivian è uscita dalla doccia, ha baciato papà e poi è filata a scuola con Riccardo. Robert e sua moglie hanno litigato. Lei sostiene che, se Vivian vuole dormire con il fidanzatino, è meglio nella sua stanza, al sicuro. Robert preferirebbe che almeno tutto si svolgesse a sua insaputa: «È normale che mia figlia abbia esperienze sessuali, ma ne sono geloso». Robert coglie nel segno quando dice che la figlia non è troppo giovane per fare l’amore, infatti l’Aied conferma che l’età media del primo rapporto in Italia è intorno ai 16 anni. Ma le reazioni dei genitori a proposito della sessualità dei loro giovani figli sono molteplici, e a volte divergenti.

C’è chi fa finta di non sapere, chi vuole essere informato di tutto, chi lascia che facciano l’amore in casa e chi sa perfettamente che cosa succede, e chiude un occhio. Secondo un’indagine della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), il 31 per cento delle ragazze ha il primo rapporto a casa del partner, il 26 per cento in casa sua, il 19 per cento in automobile, l’11 per cento all’aperto e il 10 per cento a scuola.
Alberto, siciliano, ha tre figlie femmine fra i 15 e i 20 anni e teme che corrano rischi inutili se hanno rapporti sessuali fuori dalle mura domestiche. Lui e sua moglie sono medici e sono a casa solo di sera. «Le ragazze invitano i loro innamorati, ma quando siamo in ospedale o in studio. Di notte non è mai successo, confido che non accada mai. Sarebbe imbarazzante. Però è meglio se non vanno a far l’amore sulla spiaggia o in macchina, abbiamo paura ». Grazia, divorziata, vive nella campagna emiliana con un figlio maschio di 23 anni. «Da quando ne ha 18 porta le ragazze qui. Non ho mai fatto obiezioni. Se qualcuna dura a lungo, finisco per volerle bene, e poi soffro quando si lasciano». Donatella, genovese, un figlio maschio e una femmina all’inizio dell’Università, ha chiarito senza parlare ma «in maniera definitiva» che, quando lei e suo marito sono in casa, i ragazzi non possono chiudersi in camera con nessuno. «Poi, se siamo a cena fuori o in gita, è ovvio che i figli si muovono come vogliono, eppure stanno bene attenti a nascondere le tracce. Del resto alla loro età ci siamo arrangiati tutti, che lo facciano anche loro». Lorella, un’artigiana romana, ha un figlio di 16 anni e una figlia di 10. Il maschio si è innamorato e ha preso ad asserragliarsi nella sua stanza con la morosa. «Li sentivamo ridere, sospirare, gemere, litigare. La piccola bussava alla porta e diceva: “Che cosa fate? Posso entrare anch’io?”. Alla fine abbiamo dovuto reprimerli e fare un esame di coscienza, qualcosa nella comunicazione con nostro figlio era sbagliata».

Luigi Turinese, medico e psicoanalista junghiano a Roma, spiega che è meglio se fra i genitori e i figli restano alcune barriere: «Se non ci sono ostacoli loro non faranno mai lo sforzo di saltare. Allora può essere utile recuperare qualche tabù, magari un po’ recitato, per permettere ai figli di infrangere le regole, soprattutto durante l’adolescenza. Per consentire loro la trasgressione, anche con un sorriso sotto i baffi». Secondo Turinese, molto dipende sia dai ragazzi, sia dalle famiglie: «Per i genitori soli è difficile far sopravvvivere un po’ di tabù: facilmente sono loro i primi a infrangerlo, dormendo in casa con qualcuno. Vietare a un figlio che cresce di far lo stesso può essere davvero poco credibile ». È giusto avere confidenza con i figli, spiega, ma anche mantenere forme di distanza. «Le regole possono essere scritte o non scritte, ma ci vogliono. La trasgressione è sacrosanta, e quando non esiste significa che la relazione parentale non ha funzionato del tutto. Intendo dire che un figlio può anche portarsi qualcuno a casa nel cuore della notte, ma poi lo deve far uscire di soppiatto alle sei del mattino, prima che i suoi si alzino». E sottolinea come ragazzi troppo disinvolti nell’esibire i loro amori e consumarli quasi sotto gli occhi di mamma e papà possano apparire autonomi, mentre è il contrario: «L’eccessiva libertà e l’equiparazione dei ruoli sono una pericolosa confusione. Così i giovani non crescono mai e non se ne vanno mai di casa».

Capire tutto, far finta di non avere capito niente, «ridere sotto i baffi» è quel che ha fatto Nicoletta, madre single di una ragazza di 20 anni. «Mi ha prestato la sua macchina, e sul sedile del passeggero ho trovato una confezione di preservativi. Non li ho toccati e non ne ho parlato. Forse devo lasciare la casa vuota più spesso. Non mi va che lo faccia in macchina, è pericoloso, e anche molto scomodo. Ma quei preservativi mi hanno tranquillizzata sul fatto che mia figlia non ha rapporti sessuali senza precauzioni». Quasi un’eccezione, perché secondo la Sigo la prima volta è senza protezione per quattro giovani su 10 (il 37 per cento), il 20 per cento pratica il coito interrotto e ben il 17 per cento non si pone affatto il problema delle gravidanze indesiderate, né delle malattie che si trasmettono attraverso i rapporti sessuali. E la situazione migliora assai poco con la crescita, visto che le italiane non solo usano poco la contraccezione, ma passano da un metodo all’altro con grande disinvoltura, soprattutto in giovane età.

di Paola Tavella

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venerdì 22 aprile 2011

Le Recensioni di L.T. - "Lavoro e culture", AA.VV.

AA.VV., "Lavoro e culture", Editrice AVE/ISA, Roma 1993, pp.198

Da oltre un ventennio l'Istituto di Studi Asiatici si propone come punto di forza del dialogo interrreligioso all'interno della Chiesa Cattolica. Il direttore Nicola Manca, insieme a un nucleo di collaboratori con esperienza nelle missioni asiatiche, organizza seminari esperenziali e di studio e promuove pubblicazioni di testi su aspetti particolari delle culture orientali. Il presente volume contiene riflessioni sul tema del lavoro; riflessioni tutt'altro che oziose, se ricordiamo come il retaggio greco e latino, privilegiando le attività dello spirito, finisse per considerare il lavoro come occupazione non degna dell'uomo libero.

"In un periodo in cui gli scambi e le relazioni tra le nazioni sono aumentate a dismisura... conoscere ciò che gli altri popoli pensano sul lavoro è diventata una necessità di cui non possiamo fare a meno, se vogliamo che tra i popoli vi sia una migliore comprensione e la pace" (pag. 5).

Il cristianesimo rivaluta il lavoro rispetto al mondo greco-latino, ma soltanto nella misura in cui concorre all'instaurarsi del "Regno di Dio". La società moderna contemporanea, infine, considera il lavoro semplice merce di scambio. e ricacciandolo nella categoria della materia, lo separa drasticamente dalle attività dello spirito, come l'arte o il pensiero filosofico.
Gli interventi del libro, di pregevole livello, ci illuminano sulla posizione delle tradizioni asiatiche circa il lavoro e sulla problematica del lavoro nella nostra società. Senza sottovalutare gli altri contributi, ci piace segnalare, più che altro per la maggiore attinenza con i temi trattati nella nostra rivista, quelli del Prof. Bertuccioli e del Prof. Bottazzi.

Luigi Turinese


In foto: "Equilibristi sul filo"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo", Anno XI, n. 48, Ottobre-Dicembre 1993

Le Recensioni di L.T. - "La religione nel pensiero di Freud", di R.Tulumello

Rmj Tulumello, "La religione nel pensiero di Freud", Edizioni Sarva, pp. 91

L'autrice, laureata in giurisprudenza, ha dato voce ad un'esigenza interiore conseguendo un baccalaureato in filosofia al Pontificio Ateneo.
Il suo interesse per la psicoanalisi e per la spiritualità l'ha condotta a tentare una disamina delle opinioni di Freud sulla religione. Il libretto che presentiamo prende le mosse dai tre testi più importanti che Freud dedica all'argomento: "Azioni ossessive e pratiche religiose" (1907);, "Totem e tabu" (1913),"L'avvenire di un'illusione" (1927).

Come è naturale, da un pensiero che si definisce ateo si può ricavare ben poco che interessi il lavoro spirituale, fatta eccezione per un quanto mai opportuno richiamo alla definizione delle forme patologiche di religiosità. Desta semmai stupore il fatto che l'autrice non si sia rivolta , per trovare fertili connessioni tra psicoanalisi e spiritrualità, al lavoro di C.G. Jung.

Luigi Turinese


In foto: " A little crowd"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo", Anno XI, n. 48, Ottobre-Dicembre 1993

Le Recensioni di L.T.- "Ai piedi del Maestro", di Alcione-Krishnamurti e "Il dominio completo di se stessi" di E. Coué

Alcione-Krishnamurti, "Ai piedi del maestro - Parte seconda", Blu Interational Studio Editore, Borgofranco d'Ivrea (TO) 1991, pp.109
e

Emile Coué, "Il dominio completo di se stessi", Blu International Studio Editore, Borgofranco d'Ivrea (TO) 1991, pp. 136


La piccola casa editrice piemontese propone, in una veste grafica non priva di una certa eleganza, libretti di argomento più o meno esoterico. Il Krishnamurti qui proposto, infatti, non è il libero pensatore che per oltre mezzo secolo ha illuminato e scandalizzato con la sua ingiunzione a non creare maestri al di fuori della propria incessante attenzione, ma il ragazzo designato dalla Società Teosofica ad incarnare il Buddha Maitreya. Come è noto, Krishnamurti deluderà queste metafisiche aspettative nel 1929, iniziando il percorso incredibile che tutti conosciamo. E' interessate constatare che un tenue filo rosso lega il primo e il secondo Krishnamurti, per esempio per quanto attiene all'interesse pedagogico, che affiora già in questo libretto e che ritroveremo nella successiva fondazione delle scuole, soprattutto in Inghilterra e in India.


Il libretto del Dott. Coué è la singolare testimonianza di un modo psicoterapeutico che si richiama all'attivazione della suggestione e dell'autosuggestione come forze scaturite dall'immaginazione e non dala volontà. Coué (1875 - 1926)sembra incredibilmente immune dalla rivoluzione di Freud, suo contemporaneo, fino ad affermare "ottimismo sempre e ad ogni costo, nonostante la smentita degli avvenimenti" (pag. 103).
Davvero stupefacente questa ingenua versione dell'atteggiamento eroico, in sostanza egocentrato, che si spinge fino a suggerire l'impiego di una cordicella a venti nodi (di cui l'editore non priva il lettore italiano) per contare altrettante ripetizioni della frase "ogni giorno, da tutti i punti di vista, io vado di bene in meglio" (sic!).
I casi clinici, com'è logico attendersi, vengono riportati con l'imprecisione e l'enfasi tipiche dei guaritori. E pensare che negli stessi anni un barbuto medico viennese ci raccontava del piccolo Hans e dell'uomo dei lupi!

Luigi Turinese



In foto: "Tutù (visto dal basso)"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo", Anno XI, n. 48, Ottobre-Dicembre 1993

Le Recensioni di L.T. - "Hagakure. Il codice segreto dei samurai", di Y. Tsunetomo

Yamamoto Tsunetomo, "Hagakure. Il codice segreto dei samurai", Editrice AVE, Roma 1993, pp.214

In questo testo scritto alla fine del XVII secolo, sono esposti i principi essenziali della via del samurai. L'autore, vassallo feudale e poi, alla morte del suo signore, divenuto monaco buddhista nella tradizione del Soto Zen, scrisse un'opera imponente, in 1343 paragrafi.

La presente riduzione contiene circa un quarto del testo originale, in una selezione ragionata che conserva i temi essenziali, ripartiti in undici capitoli. I primi due, insieme all'ultimo, sono i più accattivanti, poiché trattano argomenti di interesse universale; gli altri otto, oltre tutto assai brevi, sono maggiormente legati ad eventi particolari del paese e dell'epoca, pur mantenendo comunque un rilevante valore storico.

Di un certo interesse il problema, così poco comprensibile per l'Occidente, dell'harakiri: letteralizzarlo o seguirne il valore simbolico? La storia giapponese ci ha mostrato entrambe le possibilità, delle quali la prima ha maggiormente colpito la fantasia occidentale: si pensi al fenomeno del kamikaze e al suicidio , ancor più vicino nel tempo (1970), dello scrittore Mishima.

Luigi Turinese


In foto: "Capillarità"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo", Anno XI, n. 48, Ottobre-Dicembre 1993

lunedì 18 aprile 2011

Le Recensioni di L.T. - " Sofferenza e guarigione", di L. Boggio-Gilot

Laura Boggio-Gilot, "Sofferenza e guarigione", Cittadella Editrice, Assisi 1993, pp.299

Con ammirevole tempestività, la casa editrice Cittadella mette a disposizione dei lettori le relazioni del primo congresso dell'Associazione Italiana di Psicologia Transpersonale (A.I.P.T.), svoltosi ad Assisi nel marzo 1992.
Laura Boggio-Gilot, l'anima più autorevole dell'associazione, nota ai lettori della nostra rivista per la sua fattiva collaborazione, si è assunta l'onere dell'editing, lavoro che ha svolto con efficacia e precisione.

Il libro è stato diviso in tre sezioni, intitolate rispettivamente: "Sofferenza e guarigione: implicazioni spirituali","L'interfaccia tra conoscenza scientifica e conoscenza spirituale" e "Psicoterapia e meditazione: ricerca sulla coscienza". Bisogna dire che la qualità degli interventi è molto elevata. A titolo di esempio, con la certezza peraltro di tacere colpevolmente i nomi di altri insigniti partecipanti, citiamo i padri Antonio Gentili e Mariano Ballester, Ken Wilber e Marco Manganelli, Riccardo Venturini e Corrado Pensa, e il veterano della psicoanalisi italiana Emilio Servadio.

Vorremmo fare una modesta considerazione.
Un crescente numero di psicologi si accosta alla comprensione della via spirituale, nei casi migliori utilizzando lo strumento principe di questa comprensione, ovverosia la pratica. Si tratta di una minoranza, è vero, rispetto alla pletora degli psicoterapeuti occupati soltanto in un'opera normalizzatrice del comportamento. Né gli uni né gli altri, tuttavia, sembrano attratti dal lavoro autenticamente psicologico, dal lavoro con l'anima. Il lavoro spirituale, infatti, procede per sottrazione, un po' come la scultura michelangiolesca che toglie marmo al blocco affinché emerga la figura che ne era soffocata; mentre il lavoro psicologico, al pari della pittura, procede per apposizione di immagini allo zero cromatico costituito dalla tela: lavoro con il proliferare delle immagini, con il loro simbolismo, tutto accettando, tutto comprendendo, senza la preoccupazione di essenzializzare.

Forse, azzardiamo, un autentico lavoro psicologico in ambito spirituale passa per la via tantrica, completamente disattesa in questi interventi; al contrario presa in considerazione da Jung, che non a caso è tra gli autori meno citati, salvo nell'intervento di Matteo Karawatt, d'altra parte psicoanalista junghiano del C.I.P.A. (Centro Italiano di Psicologia Analitica).

Luigi Turinese



In foto: "Regalità II"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo", Anno XI, n. 48, Ottobre-Dicembre 1993

sabato 16 aprile 2011

Le Recensioni di L.T. - "L'essenza dell'autorealizazione", di Kriyananda

Kriyananda, "L'essenza dell'autorealizazione", Edizioni Mediterranee, Roma 1991, pp. 201

Rumeno di genitori statunitensi, J. Donald Walters assunse il nome di Kriyananda una volta intrapresa la via proposta da Paramahansa Yogananda, il maestro indiano contemporaneo con cui trascorse tre anni e mezzo, gli ultimi della vita del guru.

Il libro è composto di venti capitoli in cui è condensata, in "pillole", la dottrina del kriya-yoga. Molti ricorderanno l' "Autobiografia di uno yogi", il libro con cui Yogananda, negli anni '50, contribuì alla diffusione dello yoga in Occidente. Con il suo stile avvincente, questo "Salgari della spiritualità" costruiva davanti ai nostri occhi affamati l'India come categoria dello spirito: distese innevate, pace, figure di santi e soprattutto miracoli, tanti miracoli. Insomma, un libro che faceva bene, adatto a lenire le ferite dello spirito occidentale.

Oggi quegli stessi insegnamenti, per di più somministrati di seconda mano, ci appaiono inficiati di una certa ingenuità, portatrice di una spiritualità meno attuale di quanto non fosse trenta o quarant'anni fa. Essi, in altri termini, hanno minore capacità di fornire nutrimento alla complessa anima occidentale sospesa tra due millenni.

Luigi Turinese


In foto: "Delicate frastagliature"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo", Anno XI, n. 44, Ottobre-Dicembre 1992

Le Recensioni di L.T. - "Mappa dell'ecoturismo" , AAM Terra Nuova

"Mappa dell'ecoturismo" AAM Terra Nuova / Tra Terra e Cielo, Firenze 1992, pp.178

I Verdi esultino! Quasi duecento pagine di carta rigorosamente riciclata, notizie informative sulle regioni italiane con il calendario delle principali manifestazioni, proposte di itinerari, oltre naturalmente ad una scelta di sistemazioni alberghiere e di ristoro più coerenti con gli imperativi ecologici: questo l'appetitoso contenuto della guida.

Spiace constatare, tuttavia, i segni di un antico vizio della cultura "alternativa", l'imprecisione. Per limitarci alla sola Umbria, regione piccola ma rappresentativa, ci rallegriamo nel vedere segnalata un'autentica chicca, L'Eremo delle Carceri; subito dopo, però, dobbiamo ricrederci, giacché il suddetto Eremo è segnalato nel comune di Narni, dove nessun viaggiatore riuscirà mai a trovarlo, per il fatto elementare che si trova ad Assisi. Così come non manca di stupire la totale omissione degli itinerari scelti di una città come Todi, recentemente eletta, sia pure con una certa enfasi, a luogo più vivibile del mondo.

Luigi Turinese


In foto: "Allusione di purezza"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo", Anno XI, n. 44, Ottobre-Dicembre 1992

Le Recensioni di L.T. - "La medicina della vacanza", di G. Rosato

Giorgio Rosato, "La medicina della vacanza", Edizioni Calderini, Bologna 1991, pp.135

Un "breviario" di notizie indubbiamente utili per chi intraprende viaggi, soprattutto se stimolato dall'avventura, al di fuori degli "intruppamenti" organizzati. Particolare attenzione viene rivolta ai viaggi in paesi lontani, con le conseguenti raccomandazioni circa i vaccini, profilassi di malattie tropicali, fusi orari; nonché nozioni di medicina aeronautica.

Talora le intenzioni sono migliori della realizzazione, come accade nel capitolo intitolato, on la presunzione di far sorridere, "I Souvenir dell'Heros" (sì, proprio con l'H iniziale!). Ora, siamo i primi a riconoscere la suggestione di metafore ispirate alla mitologia greca; ma in questo caso è necessario rispettare almeno l'abc delle nozioni grammaticali: altrimenti viene da pensare alle raccapricianti citazioni in latino maccheronico cui ci hanno abituato tanti politici nostrani ... Abbiamo sorpreso anche imprecisioni mediche, peraltro veniali, che se per rispetto dell'autore vogliamo attribuire a disattenzioni tipografiche, non fanno comunque onore alla casa editrice.

Luigi Turinese


In foto: "Fico!"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo", Anno XI, n. 44, Ottobre-Dicembre 1992

venerdì 15 aprile 2011

Le Recensioni di L.T. - "L'educazione razionale-emotiva", di M. Di Pietro

Mario Di Pietro, "L'educazione razionale-emotiva", Edizioni Centro Studi Erickson, Trento 1992, pp. 166

"I pensieri sono una forma di comportamento ... il modo di pensare si acquisisce attraverso l'esperienza, ed è quindi qualcosa di appreso" (pag. 23).

Da queste premesse non può che scaturire un metodo meccanico, riduzionistico, che non tiene in alcuna considerazione l'esistenza di una psiche oggettiva, in cui operino realtà impersonali, non legate soltanto alla biografia individuale: ecco, c'è troppo poco senso del mistero in questa psicologia.

Ciò non toglie che le singole applicazioni terapeutiche possano essere efficaci, e soprattutto è doveroso sottolineare la competenza dell'Autore in questo campo.

Per concludere, di questo approccio cognitivo - comportamentale ci pare riduttiva non la terapia, ma la psicologia, intesa in senso etimologico come discorso sull'anima. Per il semplice fatto che, nella terapia cognitivo - comportamentale, dell'anima non c'è traccia.

Luigi Turinese



In foto: "Incipiente impermanenza"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo", Anno XI, n. 44, Ottobre-Dicembre 1992

Le Recensioni di L.T. - " Quando vola l'aquila di ferro", di A. Khema

Ayya Khema, "Quando vola l'aquila di ferro", Ubaldini Editore, Roma 1992, pp.173

Ayya Khema, settantenne ebrea di nascita tedesca, dopo una quindicina d'anni di pratica meditativa in Asia, nel 1979 divenne monaca buddhista.

Il titolo del libro prende lo spunto della profezia di Padmasambhava, che nell'VIII secolo della nascita della nostra Era portò il buddhismo dall'India in Tibet. "Quando volerà l'aquila di ferro e i cavalli correranno su ruote, il popolo tibetano sarà disperso per tutto il mondo e il dhamma approderà alla terra dell'uomo rosso (l'Occidente, n.d.t.).

E "Un buddhismo per l'Occidente" è il sottotitolo del libro.

Vi prevale un colore femminile che preferisce le pennellate al disegno sistematico; sebbene alla fine il paesaggio risulti completo in ogni sua parte. La struttura del testo, difatti, si incardina su dodici elementi che costituiscono altrettante tappe (l'autrice li chiama "passi") di un percorso interiore che vorremmo definire interbuddhista per il suo attingere a diverse tradizioni. Il percorso si svolge parallelamente a una revisione critica del paticcasamuppada (originazione interdipendente). Domande e relative risposte tratte da ritiri di meditazione contribuiscono a chiarificare il discorso, grazie all'efficace semplicità del linguaggio. "Il dukkha è il continuo opporsi e fare resistenza a ciò che è" (pag. 29).

Luigi Turinese



In foto: "Aesthetica naturalis"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo", Anno XI, n. 44, Ottobre-Dicembre 1992

Le Recensioni di L.T. - "Lasciar andare il fuoco", di A. Sumedho

Achaan Sumedho, "Lasciar andare il fuoco", Ubaldini Editore, Roma 1992, pp. 92

Molti lettori di PARAMITA conoscono la storia di Achaan Sumedho, la cui periodica presenza nel nostro paese assicura fertili semi di sviluppo al buddhismo italiano. Basti qui ricordare la nascita statunitense, il precoce noviziato in Thailandia, il successivo incontro con Achaan Chah e la pratica nella foresta.

Il titolo dell'edizione italiana di questo libro è in realtà quello del primo capitolo (il titolo originale suona semplicemente "Insegnamenti un monaco buddhista"), in cui si enuncia il nocciolo dell'insegnamento di Sumedho, che è né più né meno quello del Buddha. "Allorché osserviamo la sofferenza ci accorgiamo che stiamo osservando il desiderio, perché desiderio e sofferenza sono la stessa cosa. Il desiderio può essere paragonato al fuoco... tutti i problemi della vita derivano da questo aggrapparsi e attaccarsi al fuoco del desiderio" (pagg. 17-18).

Il libro, per la sua brevità e per il suo stile piano, può costituire una lettura addirittura distensiva (ci perdoni Achaan Sumedho per l'apparente irriverenza dell'affermazione!): per cui non ci soffermiamo su particolari commenti, invitandovi a leggerlo. Di particolare interesse ci è sembrato semmai il fatto che il "veleno" più duro da metabolizzare, e dunque il più conosciuto e il più "lavorato", sia per Sumedho (e credo per la maggior parte degli occidentali), il dubbio.

Luigi Turinese



In foto: "Tre sorelle"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo", Anno XI, n. 44, Ottobre-Dicembre 1992

lunedì 4 aprile 2011

Le Recensioni di L.T. - "Il segreto dell'energia vitale", C. Dsu Tao, R. Tassi

Chang Dsu Tao, Roberto Tassi, "Il segreto dell'energia vitale", De Vecchi Editore, Milano 1991, pp.226


Fatta eccezione per i tre pionieristici volumi del compianto Grant Muradoff, licenziati dalla casa editrice Mediterranee all'inizio degli anni '80, non c'erano testi italiani che prendessero in esame in modo completo il Tai Chi Chuan, questa "... affascinante disciplina cinese che è nello stesso tempo una ginnastica per la salute psicofisica, una raffinata arte marziale di autodifesa e una forma di meditazione dinamica" (pag. 7).

Molto opportuno e filologicamente corretto è poi il discorso che viene fatto a proposito dei meridiani energetici, che rende conto delle parentele contestuali tra Medicina Tradizionale Cinese e Tai Chi Chuan.

Insomma, si tratta di un libro molto esauriente: peccato che, come è tradizione di questo tipo di manualistica, tradizione invero assai discutibile, manchi una bibliografia, elemento che conferirebbe dignità anche scientifica ad un lavoro già molto buono.

Luigi Turinese


In foto: "Pubblico attento"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo", Anno XI, n. 44, Ottobre-Dicembre 1992

Le Recensioni di L.T. - "Io e mio", di Buddhadasa

Buddhadasa, "Io e mio", Ubaldini Editore, Roma 1991, pp. 258

Un bellissimo lavoro di editing dovuto a Donald K. Swearer mette a disposizione dei lettori una raccolta di saggi di Buddhadasa, autorevole maestro thailandese contemporaneo. Buddhadasa può essere in qualche modo considerato un riformatore della scuola theravada, tuttavia ai limiti della gerarchia ufficiale, nei confronti della quale fu, più che in atteggiamento attivamente critico, in una posizione per così dire parallela.
Così, spinto anche da una fase di grave crisi politica nazionale, negli anni '70 arrivò a propugnare un "socialismo dittatoriale dhammico", basato sulla relativizzazione delle pretese individualistiche, dell' "io e mio", in favore del bene della comunità.

"Un esempio di socialismo dittatoriale buddhista è il monastero (wat) di Samuhanimit ... che venne edificato ... in quattro mesi. Edificare un wat in quattro mesi richiede metodi dittatoriali. Migliaia di abitanti della città furono messi al lavoro e non mancarono punizioni corporali ... Completata l'opera, un religioso a capo della regione venne costretto (sic!) a trasferirsi al monastero in qualità di abate. Ecco come metodi dittatoriali si possono rivelare di utilità pubblica" (pag. 227).
Siamo onesti: è obiettivamente difficile, per un occidentale educato ad apprezzare il valore dell'individuo, comprendere a fondo il discorso sopra riferito, soprattutto per quanto riguarda il termine "dittatoriale". Piuttosto, l'enfasi sociale di Buddhadasa può servire a sfatare il luogo comune circa l'egoismo del monaco theravada, tutto teso a realizzare l'ideale dell'arahant in spregio al mondo.

Luigi Turinese


In foto: "Malinconia dopo la pioggia"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo", Anno XI, n. 44, Ottobre-Dicembre 1992

venerdì 1 aprile 2011

Le Recensioni di L.T. - "Il Sé transpersonale", di L. Boggio-Gilot

Laura Boggio-Gilot, "Il Sé transpersonale", Edizioni Ashram Vidya, Roma 1992, pp. 230

Approdata dalla Psicosintesi di Roberto Assagioli alla Psicologia Transpersonale, Laura Boggio-Gilot è oggi figura di spicco in questo movimento. Presidente dell'Associazione Italiana di Psicologia Transpersonale(A.I.T.P.) e membro del General Board dell' International Transpersonal Association, coniuga una lunga pratica meditativa con l'esperienza di psicoterapeuta.

Autrice di svariati lavori, tra cui ci piace ricordare, sempre per i tipi dell'Ashram Vidja, "Forma e sviluppo della coscienza"(Roma 1987), Boggio-Gilot affronta l'orizzonte spirituale della prospettiva dell' Advaita Vedanta di Shakara, cui si è avvicinata per il tramite del Maestro Raphael.

Nel libro di cui ci occupiamo si trova finalmente uno sfondo filosofico atto a comprendere il sentiero dello yoga: il presente lavoro si presta pertanto a essere utilizzato dagli innumerevoli praticanti di una qualunque branca dello yoga, i quali sono spesso privi di una giustificazione etico-filosofica adeguata. Quanto mai opportuna è la precoce sottolineatura, nel capito I del libro, della necessità di oltrepassare, in psicologia, il modello biomedico. Non avrebbe guastato, a questo proposito, un accenno all'opera di James Hillman , il più creativo tra gli psicoanalisti contemporanei di derivazione junghiana, inspiegabilmente trascurato da chi si occupa delle relazioni tra psicologia e lavoro interiore: pensiamo, per citare i "topoi" hillmaniani più pertinenti, allo scritto del 1983 "Sul bisogno del fondamento. Primi appunti per una metafisica psicologica"., pubblicato sulla rivista ANIMA (Firenze 1988); o al saggio "Picchi e valli: la distinzione tra anima e spirito come fondamento delle differenze fra psicoterapia e disciplina spirituale", del 1976, già citato in questa rubrica (PARAMITA n. 39) e contenuto nel volume edito in italiano da Raffaello Cortina con il titolo "Saggi sul Puer" (1988). Ebbene, nella ricchissima bibliografia (oltre duecento titoli)che costituisce uno dei segni della qualità de "Il Sé Transpersonale", non c'è un solo titolo di Hillman.

Ci scusiamo con l'autrice per questo accorato appunto, che sappiamo di poterci permettere per la stima nei suoi confronti e per la sua ricettività, e concludiamo citando la descrizione della poetica della Coscienza osservante, molto interessante soprattutto per lettori vicini al buddhismo a motivo delle sue evidenti analogie con la meditazione vipassana.

"La pratica della Coscienza osservante si realizza in posizione di meditazione formale, seduti e ad occhi chiusi, in un luogo silenzioso ed in penombra, in solitudine o in gruppo,. L'osservatore assiste immoto, in una posizione di attenta e concentrata vigilanza, al fluire dei contenuti mentali, non giudica, non valuta, non prende parte, è silenzioso e guarda neutralmente" (pag. 169-170).

Luigi Turinese


In foto: "Delicatezza antica"

Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo", Anno XI, n. 44, Ottobre-Dicembre 1992

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