L’evoluzione
dell’idea di tipo in Omeopatia
di
Luigi
Turinese
Benché qualcuno creda
ancora il contrario, in tutta la sua attività teorica e clinica Hahnemann non
parve mai interessato a percorrere una via costituzionalistica o tipologica.
Certo, la necessità di studiare la totalità dei sintomi dei pazienti per meglio
stabilire i criteri di similitudine lo spingeva verso la nozione di globalità,
ma egli non andò mai oltre la segnalazione che presso certe fisiologie e certi
temperamenti fosse più probabile ritrovare i segni di richiamo di un certo
rimedio piuttosto che di un altro.
L’evoluzione successiva dell’Omeopatia,
tuttavia, sembra andare spontaneamente verso l’elaborazione di una medicina di
terreno. Questa tendenza trapela persino nel linguaggio, se ancora oggi si
parla di soggetto psorico, di paziente
sicotico, e così via, quando si dovrebbe più correttamente affermare che nel
tal paziente si manifestano segni del modello reattivo psorico, del modello
reattivo sicotico, e così via: un modello reattivo, infatti, non è un tipo, ma
uno dei modi – tipologicamente orientati, certo – di cui ciascun individuo
dispone per reagire nelle fasi di rottura del suo equilibrio fisiologico. Proviamo
a ricostruire le tappe salienti dell’assimilazione del linguaggio tipologico
all’interno del costrutto omeopatico.
Una ventina d’anni dopo
la morte di Hahnemann, Grauvogl descrive tre costituzioni, che sarebbe meglio
definire stati biochimici, in rapporto ai quali classifica i rimedi omeopatici:
• Costituzione
idrogenoide, corrispondente ad uno stato di iperidratazione tissutale.
• Costituzione
ossigenoide, presso la quale le ossigenazioni sono in eccesso, per
un’esagerazione del catabolismo.
• Costituzione
carbonitrogena, caratterizzata all’opposto da insufficiente di ossidazione
e da ritenzione azotata.
Influenzato da
Grauvogl, all’inizio del ‘900 il medico svizzero Antoine Nebel (1870-1954)
descrive tre costituzioni minerali di base correlate ai sali di calcio dello
scheletro:
• Costituzione
carbocalcica, normocrinica, capace di buona resistenza alla tubercolosi.
Comprende soggetti brevilinei, con arcate dentarie regolari, denti quadrati,
articolazioni piuttosto rigide e forti. Il carattere è calmo ed equilibrato.
• Costituzione
fosfocalcica, ipercrinica, poco resistente alla tubercolosi. Raggruppa
soggetti longilinei, dal palato ogivale, con denti rettangolari presto cariati,
dal torace stretto, predisposti alla cifosi, astenici e nervosi.
• Costituzione
fluorocalcica, ipocrinica, molto resistente alla tubercolosi. La morfologia
è variabile ma è sempre segnata da iperlassità legamentosa: ne conseguono
scoliosi, articolazioni lasse e, a carico degli organi interni, ptosi viscerali;
sono frequenti le varici. I denti sono piccoli e malocclusi. Il carattere è
improntato a una certa instabilità.
Le caratteristiche
delle tre costituzioni minerali di base sono correlate con le patogenesi dei
tre sali di calcio dello scheletro: Calcarea carbonica, Calcarea phosphorica e
Calcarea fluorica.
Léon Vannier
(1880-1963) riprende la classificazione di Nebel, semplificandone la
terminologia (le tre costituzioni diventano la carbonica, la fosforica
e la fluorica) e precisando che “il fosforico è sempre un eredo-tubercolare,
il fluorico un eredo-sifilitico” (Vannier, 1928: 55-56). La classificazione
di Nebel e Vannier, ancora in auge in Francia e ripresa anche in opere recenti,
ha il difetto non marginale di trascurare l’antropometria. Difatti ogni
classificazione costituzionale che si rispetti deve postulare un tipo che
rappresenta la norma statistica, rispetto al quale gli altri soggetti
rappresentano appunto deviazioni dalla norma. Non ha senso parlare di
brevilineo e di longilineo se non in rapporto ad un normolineo.
A questo
difetto, tanto grave da porre, secondo me, la classificazione di Nebel e
Vannier al di fuori dell’evoluzione delle classificazioni costituzionali
compiute, pone rimedio Henry Bernard in lavori scritti a cavallo tra gli anni
‘40 e gli anni ‘50 (Bernard, 1951/1985).
In questi lavori Bernard mette al
centro della sua classificazione una costituzione sulfurica, facendone la
costituzione più equilibrata o quanto meno quella in grado di difendersi
meglio, dato che il rimedio di base che la rappresenta, Sulphur, descrive uno
stato di eccellente reattività biologica. Mostrando un grande acume clinico,
Bernard distingue tre sottotipi sulfurici: un tipo tanto equilibrato da poter
essere considerato un tipo canonico di riferimento (sulfurico neutro), pressoché impossibile a riscontrarsi in pratica;
e due tipi sulfurici per così dire “laterali”: l’uno le cui caratteristiche lo
accostano alla costituzione carbonica e che Bernard denomina sulfurico grasso; l’altro che viceversa
trae rapporti con la costituzione fosforica e che per questo viene denominato sulfurico magro.
Si può comprendere
come in questo schema non ci sia posto per una casella fluorica autonoma;
difatti Bernard, pur conservando con molto buon senso un legame con la tradizione,
“declassò” la costituzione fluorica, che divenne una costituzione mista,
apportante una nota distrofica più o meno accentuata ai tipi costituzionali di
base.
La linearità della classificazione di Bernard ha il duplice pregio di
rispettare la realtà clinica e di essere confrontabile con le classificazioni
costituzionali di scuola non omeopatica.
Inoltre, cosa di non poco conto, Bernard stabilisce un rapporto stretto
e logico tra la costituzione e la Materia Medica, parlando per primo di rimedi
costituzionali: “Quando un individuo la
cui costituzione morfologica è ben determinata vede rompersi il suo equilibrio
biologico, egli aggiunge ai suoi caratteri costituzionali normali dei sintomi
morbosi che formano degli insiemi patogenetici particolari e, di conseguenza,
evocano dei rimedi corrispondenti a queste patogenesi [...] Non è raro vederlo
passare, nel corso della sua esistenza, per una successione di stati [...]
Questo malato avrà dunque bisogno successivamente di tutta una serie di rimedi
che avranno dei sintomi comuni in rapporto alla costituzione. Essi si
imparenteranno così gli uni agli altri per questo fondo costituzionale che non
cambia mai. Allorché avremo analizzato i sintomi presentati in ciascun stato e
avremo stabilito la corrispondenza farmacologica, saremo colpiti dal fatto che
i rimedi così determinati sono sali differenti di uno stesso acido. Saremo
dunque portati a concludere che è l’elemento acido a fornire i sintomi
costituzionali comuni e che i differenti stati sono caratterizzati dagli
elementi basici. Prendiamo l’esempio di un individuo che presenta la patogenesi
del carbonato di calcio (Calcarea carbonica). Quando questo individuo vedrà
accentuarsi i suoi disturbi, diverrà successivamente comparabile al carbonato
di magnesio (Magnesia carbonica), poi al carbonato di potassio (Kali
carbonicum), quindi al carbonato di sodio (Natrum carbonicum), ecc...
L’elemento costante rimane l’acido carbonico (elemento costituzionale) mentre
l’elemento variabile ad ogni stato è la base. E’ per questo che designeremo
questa costituzione con il termine di Carbonica. Sarà lo stesso per le altre
costituzioni, e potremo distinguere le costituzioni Sulfurica (grassa e magra)
e Fosforica. [...] In ogni costituzione esistono degli stadi (calcico, magnesiaco,
potassico, sodico, ecc...), che presentano, oltre ai tratti essenziali della
costituzione, dei caratteri peculiari a ciascuna delle basi combinate con
l’acido costituzionale. Lo stadio calcico è quello che più si avvicina
all’equilibrio biologico [...] Di conseguenza, i rimedi calcici sono indicati
più spesso nel bambino, che sta edificando la sua struttura” (Bernard,
1985: 139-141; tr. nostra). Non ci potrebbe essere critica più radicale alle
posizioni di Nebel. Secondo l’ipotesi di Bernard degli stadi costituzionali,
difatti, esiste – ed è basilare – uno stadio calcico in ogni costituzione; ma
non si può parlare di costituzioni calciche, come invece proponeva Nebel. “Non è la base che fa la costituzione, ma
l’acido” (Bernard, 1985: 136; tr. nostra).
Nella sua monumentale Matière Médicale Homéopathique
Constitutionelle, Roland Zissu assume la classificazione e la concezione
evolutiva di Henry Bernard, aggiungendo la distinzione, all’interno di ogni
biotipo costituzionale, di uno stadio stenico, di difesa, e di uno stadio
astenico, di invasione e cedimento. Per Zissu la costituzione fluorica non è
una costituzione di base bensì una costituzione secondaria. Inoltre egli dedica
la terza parte (circa centocinquanta pagine)
del quarto volume della sua opera alla sicosi, unico modello reattivo a
cui è destinata una sezione autonoma. “La
sicosi non è una costituzione. [...] Se le conferiamo un’importanza tale da
darle un intero spazio del presente volume, è da una parte in ragione di
un’autonomia nosologica originale di cui tenteremo di dimostrare l’esistenza,
dall’altra a causa dell’allargamento considerevole che l’attuale nozione di
sicosi ha subito dai tempi della concezione miasmatica di Hahnemann”
(Zissu, 1960: IV, 313; tr. nostra).
La sistematica di
Bernard e quella, ancora più articolata, di Zissu costituiscono uno dei
tentativi concettualmente più originali e clinicamente più fecondi di dare un
assetto razionale alla Materia Medica, che viene così sottratta all’arido
ordine alfabetico per divenire la trama di un’intelaiatura clinico-terapeutica.
Nelle opere di questi autori, la costituzionalistica omeopatica consente di
gettare un ponte tra semeiotica e terapia. Come ogni sistematica, essa è utile
se non diventa scopo a se stessa. In altri termini, non si può contestare il
fatto che certi rimedi trovano indicazione con un massimo di frequenza presso
certi tipi costituzionali; ma negare la prescrizione di un rimedio della serie
costituzionale carbonica soltanto perché il paziente è longilineo, nonostante
egli sia portatore dei sintomi caratteristici della patogenesi del rimedio,
significa avere abdicato al principio di similitudine, che costituisce un fatto
empirico e sperimentale, a favore di un dogma, che costituisce invece una
camicia di forza ideologica.
La definizione del tipo costituzionale ha
un’importanza difficilmente trascurabile: innanzitutto nell’atto di
comprensione generale del paziente; poi nell’affinare la diagnosi, nel
precisare la prognosi e nell’orientare la terapia. Dunque il primato, nella scelta
del rimedio omeopatico, deve restare alla similitudine, che sarà stabilita
tramite l’esercizio di un’attenta semeiotica.
La posizione eccentrica
e allo stesso tempo virtualmente ubiquitaria della costituzione fluorica ne
evidenzia la potenzialità di combinarsi con una qualsiasi delle costituzioni di
base ma anche la mancanza di autonomia. D’altra parte, il modello reattivo
sifilitico contrae così stretti rapporti con la costituzione fluorica,
arrivando i due quadri a sovrapporsi, che mantenerli separati ingenera soltanto
confusione. Infatti, presso ogni costituzione il giuoco combinatorio dei
diversi modelli reattivi rende ragione della fisiopatologia del tipo; ma presso
la costituzione fluorica l’unico modello reattivo ravvisabile è quello
luesinico. Nel mio lavoro Biotipologia
(1997/2006) ho fuso il quadro del
modello reattivo e quello della costituzione, abolendo nel contempo il termine
sifilitico, quanto mai equivoco.
Sorge a questo punto un problema: qual è il
posto di questa nuova entità, nata dalla fusione di un modello reattivo e di
una costituzione? Per la sua potenzialità di movente fisiopatologico, essa
meriterebbe di essere inserita tra i modelli reattivi; nessun modello reattivo,
però, comprende modificazioni del tessuto elastico e del tessuto osseo, e
addirittura peculiari stigmate scheletriche come quelle descritte a proposito
della costituzione fluorica. Tuttavia non si tratta neppure di una costituzione
stricto sensu, dal momento che ogni
costituzione è, per definizione,
innanzitutto descrizione di una fisiologia, che getta la sua ombra lunga
su eventuali tendenze morbose. La
cosiddetta costituzione fluorica, però, è in definitiva un insieme di anomalie.
Si può definire costituzione un quadro che non presenta situazioni di
equilibrio ma soltanto segni di disarmonia? Propongo pertanto di considerare
l’esistenza di una componente diatesico-costituzionale fluorica (fluorismo),
che può dare segni di sé nell’ambito delle tre costituzioni di base. Il
fluorismo non condiziona la morfologia in modo univoco, sebbene vengano
descritti più spesso degli individui di piccola taglia, magri e dinoccolati,
con segni di senescenza. Il viso è sempre asimmetrico e può esserci una
differenza nel colore delle iridi. Le movenze sono poco eleganti e
imprevedibili. Le mani sono flessuose, con unghie piccole; quella del pollice
ha spesso la forma di un trapezio con base inferiore stretta e slargato in
alto. L’abbassamento della volta plantare, con relativo piattismo del piede, e
l’alta frequenza di distorsioni dell’articolazione tibio-tarsica sono legati
all’iperlassità legamentosa. I denti sono piccoli e triangolari, con smalto di
cattiva qualità e carie frequenti; la malocclusione è costante, riscontrandosi
di regola, a mio avviso, una II classe di Angle nei fosfo-fluorici e una III
classe nei sulfo-fluorici. La fisiologia
fluorica è in realtà una fisiopatologia, condizionata dalla neurodistonia e da
una disarmonia distrofica con alterazioni del tessuto elastico, per cui si
avranno malformazioni ossee (esostosi,
dismetrie, scoliosi ed altri paramorfismi) e degli organi interni (ptosi,
agenesie, ipoplasie, altre anomalie genetiche), varici e talora aneurismi. E’
molto difficile valutare nel giusto senso la psiche fluorica. Possiamo dire che
domina la coscienza della propria diversità, che una buona reattività trasforma
in uno strumento di seduzione. Nella personalità del soggetto predomina il
tratto divergente, che conduce ad un costante anticonformismo, non senza
elementi di autocompiacimento. C’è un netto predominio della funzione
intuizione, che si pone al servizio di un’intelligenza sintetica, versatile,
rapida, che corre il rischio di essere superficiale e incapace di
approfondimento. D’altra parte, uno dei tratti salienti della psicologia
fluorica è una sorta di nomadismo, metaforico ma a volte anche letterale (tendenza
incoercibile, quasi compulsiva, a cambiare luoghi, lavori, relazioni). Vengono
in mente le parole di Bruce Chatwin, quando scrive di sé: “Perché
divento irrequieto dopo un mese nello stesso posto, insopportabile dopo due?
[...] Che cos’è questa irrequietezza nevrotica, l’assillo che tormentava i
greci? [...] Ho una coazione a vagare e una coazione a tornare - un istinto di
rimpatrio, come gli uccelli migratori.” (Chatwin, 1996: 94).
In un soggetto
fosforico, che come vedremo nutre aspirazioni “alte”, la presenza di un
elemento fluorico porta a spiritualizzare l’esperienza e costituisce la base
della creatività.
In un sulfurico grasso, che di per sé ha i piedi ben piantati
nella materia, può sollecitare l’ambizione e la ricerca del potere.
Nel carbonico,
lento per natura, diventa un elemento
dinamizzante, che nutre di sprazzi di intuizione la sua intelligenza altrimenti
pragmatica e analitica. In un certo senso, in qualunque campo di ricerca non ci
sarebbe originalità senza la bruciante necessità di battere strade nuove che
ascriviamo alla componente fluorica della personalità. Una personalità
interamente posseduta dal fluorismo sarebbe senza dubbio psicopatica; ma una
che ne fosse totalmente priva non avrebbe luce.
Si tratta di vedere quanto questo aspetto divergente sia integrato in
una personalità completa, che sappia esercitare anche i valori della costanza e
del pensiero razionale; e a questo proposito non vanno mai sottovalutate le
opportunità familiari e ambientali che un soggetto può avere o delle quali
viceversa può essere carente.
Per quanto riguarda le tendenza morbose favorite
da questa componente costituzionale, oltre ai rischi di psicopatologie,
dobbiamo ricordare le patologie ulcerative, la precoce sclerosi vascolare e i
disturbi neurovascolari come il fenomeno di Raynaud, infine le malattie
caratterizzate da cute secca e fissurata (ittiosi e soprattutto psoriasi).
Bibliografia
Bernard, H.: Traité de médecine homéopathique, Vanden
Broele, Bruges 1951/1985.
Chatwin, B. (1996): Anatomia dell’irrequietezza, Adelphi,
Milano 1996.
Demarque, D. (1981): L’Omeopatia, medicina dell’esperienza,
Edizioni Boiron, Milano 2003.
Turinese, L.: Biotipologia. L’analisi del tipo nella
pratica medica, Tecniche Nuove, Milano 1997/2006.
Turinese, L.: Modelli psicosomatici. Un approccio
categoriale alla clinica, Elsevier Masson, Milano 2009.
Vannier, L. : La typologie, Doin, Paris 1928.
Zissu, R.: Matière médicale homéopathique
constitutionelle, Boiron, Lyon
1960/1989 Luigi Turinese
In foto: "Una pupilla nel cielo"
Articolo pubblicato su HIMED – HOMEOPATHY and Integrated Medicine, novembre 2012, Volume 3, Numero 2, pp. 8-10
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