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"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

domenica 21 febbraio 2010

Omeopati si nasce o si diventa?

A metà degli anni 70 - all'università mi ero iscritto nel 1974 - ho fatto un'esperienza da paziente, una storia comune, credo. Ero incuriosito da tutto l'insolito e l'omeopatia a quell'epoca sicuramente lo era, così, oltre a leggere tanto, decisi di andare a verificare di persona. E lo feci, con una certa soddisfazione, dal dottor Pier Luigi Molinari.
Proprio in quel periodo si era consumata la rottura drammatica tra due capiscuola dell'omeopatia italiana: Antonio Negro e Antonio Santini. Santini mi era stato segnalato da un amico, andai a trovarlo e mi trovai di fronte un personaggio di grande rilievo dal punto di vista umano. che quell'anno, era il 1977, aveva inaugurato una piccola scuola.
Il lunedì sera un manipolo di giovani medici e, come nel mio caso, di studenti, andava ad assistere alle lezioni nel suo studio ed era un vero piacere ascoltarlo.
Antonio Santini, che all'epoca aveva 59 anni, era portatore di un pensiero di tipo costituzionalistico che mi affascinava molto, parlava di terreni, di tipi umani...

Frequentavo l'università, andavo a fare gli esami con profitto, poi però il lunedì c'era questa specie di fronda che sembrava un contrappeso allo scientismo positivista.
La cosa mi appassionò molto.

Nel 1980 finì il corso di base di Santini e nel novembre dello stesso anno finii l'università. Così mi trovai laureato in medicina, ma anche con un bagaglio già acquisito in medicina omeopatica.
Qualche mese dopo la laurea, Santini mi mandò a fare una visita a domicilio a una sua paziente - mi ricordo ancora la data, 7 aprile del 1981 - e questo mi sembrò un atto di fiducia formidabile: avevo già avuto la sensazione di essere divenuto il suo allievo prediletto, quell'episodio me lo confermò.

Un'ulteriore conferma venne poco più tardi, quando mi chiese di andare a lavorare presso il suo centro, che nel frattempo si era ampliato e ormai le lezioni non si tenevano più nel suo studio ma in una vera e propria aula.
Quell'estate poi, quando partì per le ferie, lasciò nella segreteria telefonica il mio numero per le urgenze estive.

Fu una grande esperienza di formazione, perché mi mise in contatto con un numero di pazienti e di "casi" molto maggiore di quelli che mi consentiva normalmente la mia esigua clientela.
Con Santini continuai a lavorare fino al 1987 quando ci separammo.
Rimanemmo poi in contatto fino a quando morì, nel 1989, anno in cui io terminai un triennio di specializzazione in omeopatia e terapia omeopatica all'università di Bordeaux, sotto la direzione di Denis Demarque che è stato, secondo me, il più importante omeopata del Novecento.


Cosa distingueva di più il corso di Santini dal curriculum di studi che seguiva all'università?

L'elemento di novità maggiore era lo studio approfondito delle costituzioni umane, i biotipi, che nelle università italiane fino agli anni Cinquanta era presente e che però in quel momento non c'era più. Santini conosceva molto bene questa materia e fondava su di essa la sua prassi omeopatica.
Perché la scienza delle costituzioni umane era una scienza non omeopatica ma applicata all'omeopatia, studiarla non mi metteva in crisi nei confronti dell'apparato tradizionale di studi che stavo seguendo. Io potevo utilizzare un approccio globale, olistico e la farmacopea omeopatica, però dopo un'analisi semiologica che era quella tradizionale con in più quest'aspetto che l'università aveva dimenticato da un quarto di secolo e che però le era appartenuto: la scienza delle costituzioni.
Per questo non entrai mai in crisi, non mi sentii mai di dover rinnegare quello che facevo all'università.

La sua, dunque, non è stata una scelta originata dalla critica alla medicina convenzionale e dalla constatazione della maggior efficacia dell'omeopatia...
No, io non credo tuttora che l'omeopatia sia più efficace dell'allopatia. L'omeopatia per me è più convincente dal punto di vista intellettuale. L'allopatia è a volte molto efficace, ma, curiosamente, è poco convincente, molte volte. Sul piano della diagnosi, della comprensione del paziente le nozioni dell'omeopatia sono molto utili e integrano in meglio le nozioni della semeiotica tradizionale. Quello che penso, dopo 25 anni di pratica, è che, oltre alla terapia che spesso è efficace,ciò che è più importante di una formazione in omeopatia è che mette in grado il medico di diagnosticare meglio e più in fretta.

Luigi Turinese



Tratto dall'intervista di F. Travaglini apparsa su Medicina Naturale n.6, Novembre 2006 Leggi la Seconda Parte e la Terza Parte dell'intervista
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