l termine pellegrinaggio è sottilmente ironico ma in fondo poi non così tanto: C. G. Jung rappresenta infatti, tra i padri della psicologia del profondo, colui il quale più di ogni altro raccoglie su di sé e sul suo pensiero una complessa combinazione di elementi intellettuali, psicologici e spirituali.
Come molti psicologi analisti ho precocemente amato Ricordi, sogni, riflessioni, prima di affrontare lo Jung ostico e penetrante dei Collected works: lì c’erano confessioni intime, diari di viaggio, aperture verso mondi “altri” e quella lunga dissertazione sulla Torre che Jung iniziò a costruire con le sue mani sul lago di Zurigo per poi farne rifugio per le sue attività creative, dalla scrittura alla scultura, e per ritemprare la sua natura introversa.
Frontone della casa di Jung con il celebre aforisma
Con i colleghi del Cipa Meridionale, associazione di cui faccio felicemente parte, ho avuto occasione di visitare a metà marzo la Torre, il Club Psicologico di Zurigo, e a Küsnacht lo Jung Institute, il giardino della casa (sul cui frontone spicca il celebre aforisma Vocatus atque non vocatus deus aderit) e il piccolo cimitero – di fatto l’ultima casa – dove una tomba di estrema semplicità accoglie le spoglie mortali di Carl Gustav e della moglie. Poco più in là, in un’unica tomba, riposano Marie Louise von Franz, l’allieva più brillante, e Barbara Hannah, autrice della biografia più attendibile.
Ognuno prova sentimenti diversi, privati e perciò stesso incomunicabili, recandosi sui luoghi dei Maestri.
Di certo i luoghi di Jung traducono la sobrietà svizzera, priva di culto della personalità: ed è un gran bene questo invito alla deflazione.
Visitare la Torre, vista in tante fotografie e filmati, con la guida di due nipoti del grande nonno, ha costituito in ogni caso un’esperienza unica. Trovarvi poi, con la sua inseparabile macchina da presa, l’amico e documentarista Werner Weick – autore del magnifico documentario Dal profondo dell’anima – ha costituito un valore aggiunto.
Luigi Turinese
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