“Zoomorfismo, fisiognomica e fitognomica.
Della Porta antesignano della biotipologia in medicina”
di Luigi Turinese
"Cold fire" foto di Gianna Tarantino
“Coloro che vogliono far profitto in questa scienza bisogna che studino
con grandissima disciplina i libri delle istorie degli animali”
(G. B. Della Porta)
Nel caos in cui si trova venendo alla luce, l'uomo cerca da sempre un ordine figurandosi il mondo come un sistema di segni da interpretare. Possedere una semiotica universale, ecco il grande, inconscio desiderio dell'umanità: ogni segno rimanda all'altro, in una ragnatela di significati da penetrare con chiavi sempre più sottili.
Questo vero e proprio metodo di conoscenza, in uso sin dall'antichità, trova la sua più compiuta applicazione, nel tardo
Medioevo e nel
Rinascimento, con la
dottrina delle signature, secondo la quale il Creatore ha posto nel mondo, e nelle sue creature, dei segni indicatori: basta saperli leggere.
Così ogni pianta reca in sé dei particolari che indicano la propria funzione terapeutica:
il succo giallo della celidonia ci comunica la sua indicazione nelle affezioni epatiche; la preferenza di alcune piante per habitat lacustri o fluviali ci fa comprendere la loro indicazione in malattie provocate dall'umidità, come le malattie reumatiche; e così via. Non è difficile scorgere la discendenza di tale pensiero dal
Timeo platonico, in cui viene adombrata una corrispondenza tra
macrocosmo (mondo) e microcosmo (uomo). Si tratta di un
pensiero analogico, sicuramente prescientifico ma che getta la sua ombra lunga in piena epoca scientifica, se un astronomo del calibro di
Keplero (1571-1630) poteva ancora scrivere: "Dio, troppo benevolo per restare in ozio, iniziò a fare il gioco delle
segnature ed iscrisse la sua simiglianza nel mondo...".
A questa logica si ispira anche la
fisiognomica (da
physis =natura e
gnome = conoscenza), che nel considerare il volto come centro rivelatore della personalità postula un fondamentale rispecchiamento tra corpo (viso) e anima. Inoltre, essa manterrà per tutta la sua lunga storia un
topos immutabile: lo
zoomorfismo, cioè la comparazione tra tipologie facciali e tipologie animali allo scopo di trarre indicazioni sul carattere degli uomini traendole dal carattere degli animali a cui assomigliano.
Le prime tracce di un sapere fisiognomico sono riscontrabili in epoca paleo-babilonese
(XVII secolo a. C.).
Passando al mondo greco è d’obbligo citare
Pitagora (VI secolo a. C.), che sottoponeva i discepoli a esame fisiognomico. Egli ne avrebbe appreso l’arte presso Arabi, Ebrei, Caldei. Nel
Corpus Hippocraticum la prima apparizione del termine si riscontra nel trattato delle “Epidemie” (V secolo a. C.).
Platone (V-IV secolo a. C.) introduce elementi di zoomorfismo nel
Fedone.
Contemporaneo di Platone, anche
Antistene, fondatore della scuola cinica, si sarebbe occupato di fisiognomica.
Aristotele (384-322 a.C.) si serve dello zoomorfismo nella sua
Storia degli animali, considerata il primo compiuto trattato di fisiognomica che si conosca.
Un epigramma dell’Antologia Palatina
(III secolo a. C.) parla di un certo
Eustene, “fisiognomico capace di capire dallo sguardo anche il pensiero”.
Per quel che attiene al mondo latino,
Cicerone (106-43 a.C.) si fa divulgatore, nel “De fato”, delle posizioni aristoteliche. Nel “De oratore” troviamo inoltre la celebre affermazione, pertinente al nostro tema, “Imago animi vultus est”.
Polemone di Laodicea (II secolo) riprende lo zoomorfismo nel suo trattato sulla fisiognomica, conservato in una versione in lingua araba del XIV secolo e tradotto in latino soltanto nel XIX secolo.
Apuleio (II secolo), nelle “Metamorfosi”, si produce in una descrizione fisiognomicamente considerevole del protagonista Lucio. A Roma fioriva l’attività dei
metoposcopi, che leggevano il futuro nelle rughe della fronte.
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Dopo alcuni secoli di relativo letargo, nel corso del
Medioevo la fisiognomica riprende vigore e viene diffusa in Europa grazie alla mediazione della cultura araba.
Il
Rinascimento vede il fiorire di posizioni nuove accanto a riflessioni sulle cosmogonie antiche, per lo più mutuate dal Timeo.
La figura di
Leonardo da Vinci (1452-1519) è centrale nell'evoluzione della fisiognomica. Non solo per quel tanto di genio che Leonardo mise in ogni campo dello scibile cui si interessò; non solo per la possibile esistenza, di cui gli studiosi discutono da tempo, di uno studio leonardesco sulla fisiognomica, che sarebbe perduto; ma soprattutto per la connessione, che con Leonardo si fa esplicita, tra fisiognomica e arte figurativa. "Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell'animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile". Come afferma lo storico dell'arte Flavio Caroli (1995: 12): "[...] il cammino della pittura strettamente intersecata con la psicologia, cioè con la fisiognomica, è l'asse portante della cultura figurativa occidentale". Tale asse affonda le sue radici nel genio di Leonardo.
Dopo di lui, innumerevoli uomini d'arte e di scienza rinascimentali hanno affrontato le tematiche fisiognomiche. Nel “De sculptura” di
Pomponio Gaurico (1481-1530) un capitolo viene dedicato alla fisiognomica, con particolare riguardo ai temi degli occhi e dello zoomorfismo.
Un gigante della pittura come
Tiziano Vecellio (1490-1576), nella “Allegoria della prudenza”, del 1565, utilizza temi zoomorfici, giustapponendo a tre teste di uomini di diversa età rispettivamente il cane, il leone (considerato dai fisiognomici l’animale in cui si celebra al massimo grado la combinazione di forza e saggezza) e il lupo.
Michelangelo Biondo (1497-1656), filosofo e medico veneziano di formazione napoletana, nel “De cognitione hominis per aspectum” (1544) seppe conciliare conoscenze artistiche, fisiognomiche e mediche.
Ma è soprattutto
Gerolamo Cardano (1501-1576) ad imprimere un segno originale allo studio dei rapporti tra anima e corpo. Nel primo libro del trattato “Metoposcopia”, pubblicato postumo, possiamo leggere: "Questa arte, che è la parte principale della fisiognomica, si sforza di predire il futuro attraverso l'ispezione sia della faccia frontale che della sua lunghezza, larghezza e delle sue diverse linee, ed anche dai marchi naturali che vi si trovano". Cardano, pur essendo medico, si muove ancora in un universo culturale in cui la pratica divinatoria ha la meglio su quella più propriamente clinica, e in cui i segni del volto sono signature a tutti gli effetti.
Montaigne (1533-1592) dedica alla fisiognomica un intero capitolo degli “Essais” (1588).
Il punto di cerniera, e al tempo stesso di svolta, tra cultura cinquecentesca impregnata di magismo e pensiero razionalistico secentesco si ha con l'opera di
Giovan Battista Della Porta (1535-1615). La sua “Fisionomia dell'huomo” (Napoli, 1598) è l'edizione in lingua volgare dei precedenti studi in latino dell'autore, arricchita di un centinaio di tavole esemplificative che mettono aristotelicamente a confronto animali e uomini. Di nuovo lo zoomorfismo, dunque, che
Della Porta utilizza, nel trattato “Phytognomonica octo libris contenta” (1588), anche per uno spericolato studio comparativo tra mondo animale e mondo vegetale, in cui indaga le proprietà delle piante a partire da somiglianze morfologiche con parti di organismi animali.
Lo studio delle signature delle piante è volto alla ricerca di una unità estetica dell’Universo. Lo zoomorfismo di
Della Porta si situa tra lo schematismo grafico di
Gerolamo Cardano e il razionalismo di
Charles Le Brun, che vedremo tra breve.
L’animale simboleggia l’essenza, la qualità fondamentale di un essere umano. “Mai la natura fece un animal che avesse il corpo d’uno o l’animo di un altro animale: cioè un lupo, over agnello, che avesse anima di cane o di leone […] Se l’anima umana venisse in un corpo di cane, restandogli però l’intelletto, non avrebbe costumi se non di cane”.
L’Universo appare così come un grande teatro di frattali: ogni cosa riflette e significa tutte le altre:
tout se tient, in una dimensione protostrutturalista.
Il Seicento è il secolo in cui si cerca di indagare le passioni con l'ausilio della ragione.
René Descartes (1596-1650) indirizza parte della sua attività filosofica ad investigare il rapporto tra anima e corpo. Di questa sezione della produzione di Cartesio bisogna ricordare “Les Passions de l'Ȃme” (1649), di cui trascriviamo un brano in cui vengono elencati i segni esteriori delle passioni: "I più importanti tra questi segni sono i moti degli occhi e del volto, i mutamenti di colore, i tremiti, il languore, gli svenimenti, il riso, le lacrime, i gemiti, i sospiri".
Pressoché contemporaneo di Cartesio è
Charles Le Brun (1619-1690), primo pittore di Luigi XIV, cui si devono importanti riflessioni teoriche su tematiche fisiognomiche. Si ricordano il “Traité des Passions” (1649) e soprattutto la serie di conferenze tenute presso l'Accademia Reale di Pittura e Scultura, dedicate all’espressione generale e particolare.
A partire dal
Settecento, la fisiognomica tende per così dire a specializzarsi, spostandosi progressivamente in ambito medico e lasciando alla pittura un ruolo più illustrativo.
Mantiene una certa autonomia artistica e una certa unitarietà l'opera del pittore inglese
William Hogarth (1697-1764), che nel 1743 realizza, nella stampa “Caratteri e caricature”, una vera e propria summa di fisiognomica applicata al disegno. Dieci anni più tardi, l'artista sente il bisogno di dare una copertura teoretica alla sua perizia grafica, pubblicando il trattato di estetica “The analysis of beauty” (1753), di cui riportiamo un passo dalla prima traduzione in lingua italiana, del 1761: "[...] il volto è l'indice dell'animo; e questa massima è tanto radicata in noi, che non possiamo fare a meno[...] di formare qualche particolar concetto della persona, di cui si osserva il volto, anche prima di ricevere informazione per altri versi[...] E' ragionevole il credere che l'aspetto sia una vera e leggibile immagine dell'animo, che dà a ognuno a prima vista l'istessa idea; e vien poi confermata in fatti: per esempio, tutti concorrono nell'istessa opinione a prima vista di un vero idiota".
Lo svizzero
Johann Caspar Lavater (1741-1801) può essere considerato l'ultimo fisiognomico puro, che indaga le forme fisse per carpirne significati oggettivi. Dopo di lui saranno maggiormente indagate le forme mobili dell'espressione: la mimica, la gestualità, il comportamento. Si parlerà allora più propriamente di patognomica (da
pathos = passione e
gnome = conoscenza); mentre la fisiognomica rifluirà in ambito medico e avrà come erede la frenologia. L'opera di Lavater è probabilmente sopravvalutata, forse perché a suo tempo ebbe l'iniziale adesione di due personaggi del calibro di Goethe e di Füssli. Lavater è ricordato soprattutto per le sue silhouettes, tratte dal “Physiognomische Fragmente” (1775-1778).
Dicevamo prima della frenologia. Il suo fondatore,
Franz Joseph Gall (1758-1828), nei lavori “Recherches sur le système nerveux” (1808) e “Anatomie et physiologie du système nerveux” (1819) afferma che la forma che definisce le funzioni non è quella facciale ma quella cerebrale e che quest'ultima può essere dedotta dalla forma del cranio.
Inizia così una minuziosa analisi delle bozze e degli avvallamenti del cranio, ingenua anticipazione dello studio delle aree cerebrali. La frenologia conosce in breve tempo un largo successo di pubblico. Gli imprenditori cominciano a richiedere certificazioni craniologiche prima di assumere impiegati, proprio come si fa oggi inserendo uno psicologo nelle commissioni che selezionano il personale. A un livello più popolare, ci si fa fare il profilo frenologico come ai giorni nostri si chiederebbe il tema natale astrologico. A questo scopo, nel 1835 i fratelli
Povel aprono a Philadelphia il primo locale dove, a pagamento, viene effettuata la lettura del cranio; il successo sarà di tale portata da indurli ad aprire a New York un Phrenological Cabinet; non avendo tempo e modo di recarvisi, i clienti potevano inviare un buon dagherrotipo del proprio cranio. Non mancano i veri e propri ciarlatani. Il filosofo Friedrich Engels ricorda lo spettacolo di un frenologo che girava per le campagne con una ragazza che faceva sprofondare in estasi mistica premendole sul cranio il “centro della preghiera”. Il tutto davanti a un folto pubblico, dapprima incredulo e poi convertito alla nuova “scienza”.
Sempre nell'
Ottocento, è d'obbligo menzionare un precursore dell'etologia: niente meno che il grande
Charles Darwin (1809-1882), conosciuto per “L'origine delle specie” (1859) ma anche autore di un libro meno noto, “The expression of emotions in man and animals” (1872), in cui sostiene che le espressioni delle emozioni sono al servizio della selezione naturale, fisiologici segnali di difesa o di attacco.
Passato alla storia per il celebre ritratto che gli fece
Vincent Van Gogh nel 1890, pochi mesi prima del suicidio, il dottor
Paul Ferdinand Gachet (1829-1903) fu psichiatra, elettroterapeuta, omeopata. Da pittore dilettante qual era, effettuò ritratti delle internate all'ospedale psichiatrico della Salpetrière, allo scopo di studiare i segni somatici ed espressivi della follia. Gachet si era laureato con una tesi sulla Malinconia, di cui riportiamo un passo che assume un valore ancora maggiore se lo leggiamo avendo presente il ritratto che gli fece Van Gogh e che sembra un'iconografia esplicativa dei suoi argomenti. Gachet descrive la patognomica del malinconico: "Sembra che la creatura si rattrappisca, si ripieghi su se stessa, si comprima, come se dovesse occupare il minor posto possibile nello spazio. La postura del malato è tutt'affatto particolare.[...] Il tronco semiflesso sul bacino, le braccia trattenute verso il torace.[...] La testa quasi piegata sul petto leggermente inclinata.[...] Tutti i muscoli del corpo sono in uno stato di semicontrazione permanente[...] i muscoli facciali sono come contratti[...] e conferiscono alla fisionomia un aspetto di particolare durezza; i muscoli sopraccigliari, aggrottati in maniera permanente, sembrano nascondere l'occhio e aumentare la sua profondità.[...] La bocca è serrata in una linea diritta, sembra che le labbra siano scomparse.[...] Il colorito è giallastro e terroso.[...] Lo sguardo è fisso, inquieto, obliquo, diretto verso terra o di lato."
Di lì a pochi anni l'ospedale psichiatrico parigino della Salpetrière diventerà teatro delle gesta del maggiore studioso ottocentesco dell'isteria: il neurologo
Jean-Marie Charcot, ai cui celebri e frequentati corsi assistette, dall'ottobre 1885 al febbraio 1886, un giovane neurologo austriaco di belle speranze:
Sigmund Freud.
Con
Paolo Mantegazza (1831-1914), autore di “Fisionomia e mimica” (1861), nasce l'antropologia scientifica, antenata dell'antropologia criminale di Lombroso.
Cesare Lombroso (1835-1909) è un giovane psichiatra quando, analizzando le protuberanze craniche di un ladro, Giuseppe Villella, ritiene di scorgervi le stigmate di un'atavica predisposizione al crimine. Prendono corpo cosi “L'uomo delinquente studiato in rapporto all’antropologia, alla medicina legale ed alle discipline carcerarie” (1876; poi ripubblicato nel 1897 provvisto di un Atlante) e “La donna delinquente, la prostituta e la donna normale” (1893). Il considerare la tendenza al crimine alla stregua della predisposizione ad una malattia naturale spinge Lombroso a chiedere l'isolamento di queste persone in luoghi di cura piuttosto che in carcere.
Nasce in questo modo l'istituzione del manicomio criminale (1891) e, nel 1905, viene istituita la prima cattedra di antropologia criminale, affidata allo stesso Lombroso.
Se da una parte, con le sue teorie, Lombroso può essere considerato un precursore della funesta idea di predestinazione razziale, dall'altra cerca una giustificazione per così dire naturalistica al crimine. La sua fortuna comincia ad incrinarsi pochi giorni dopo la sua morte allorquando, all'autopsia effettuata da un avversario scientifico, il suo cranio rivela la tipica natura dell'alienato e del criminale.
Oggi rimane un
Museo Lombroso a Torino e, soprattutto, un modo popolare di parlare a prima vista di faccia da delinquente che, a ben vedere, si riverbera anche nell'uso delle fotografie segnaletiche e degli identikit.
Nel
Novecento, lo studio del volto umano abbandona definitivamente il territorio della fisiognomica e prende fondamentalmente tre vie: la via antropologica, la via criminologica e la via psichiatrica, con la creazione di discipline intermedie come la medicina criminologica e la psichiatria forense.
A queste andrebbe affiancata la via costituzionalistica, basata sulla dottrina delle costituzioni umane. Essa, oramai abbandonata da ogni ambito medico, sopravvive in quella speciale metodica clinico-terapeutica che è la medicina omeopatica.
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Intervento pubblicato ne “Il cenacolo alchemico. Incontri ed eventi ispirati al pensiero di Giovan Battista Della Porta”, a cura di Alfonso Paolella e Gennaro Rispoli. Atti del Convegno, Napoli, 24-26 maggio 2018 (pp. 197-205).