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"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

domenica 11 aprile 2010

La facies del paziente



Imago animi vultus est
(Cicerone, De oratione, III, 59.)



Il primo impatto con il paziente condiziona la relazione terapeutica che si stabilirà. La prima impressione si forma soprattutto sulla comunicazione non verbale, e quest’ultima si esprime in gran parte attraverso la facies. Per amore di completezza, dovremmo parlare anche della facies del medico, cui il paziente reagisce con una maggiore o minore apertura, condizionando in questo modo l’ulteriore comprensione da parte del sanitario. In questa sede, tuttavia, si è scelto di privilegiare lo studio dell’espressione del volto del paziente.
Le caratteristiche costituzionali, le condizioni psicofisiche e, in taluni casi, le situazioni morbose sono rivelate da quella che i vecchi clinici chiamavano per l’appunto facies.
L’armonia delle parti e una buona condizione psicofisica sono alla base della cosiddetta facies composita.
In ambito psichiatrico, sono ben note le espressioni del depresso (triste) e, all’inverso, del maniaco (agitata). In contesti endocrinologici, sono descritte la facies ansiosa o addirittura basedowiana, che indicano ipertiroidismo, e quella mixedematosa, tipica del deficit tiroideo; l’acromegalica, segno di iperpituarismo anteriore. Il dolore, poi, impone la sua presenza dando luogo ad un’espressione sofferente, angosciosa (come nei casi di angina pectoris) o peritonitica (lineamenti contratti, naso affilato, occhi incavati, mento sporgente, labbra aride, colorito pallido: l’accentuarsi di queste caratteristiche introduce alla fase preagonica, nella quale si parla di facies ippocratica). Per completare questa breve rassegna, pensiamo ai ragazzi con ipertrofia adenoidea: essi assumono appunto la cosiddetta facies adenoidea, che comprende espressione tra l’attonito e lo stupito, palato ogivale, chiostra dentaria prominente, rima labiale socchiusa, narici strette con radice di impianto allargata.


L’attenzione alla facies, a ben vedere, costituisce l’evoluzione scientifica, all’interno del momento ispettivo della semeiotica medica, di una disciplina prescientifica, la fisiognomica, dal greco φυσις (natura) e γνώμη (conoscenza). Essa considera il volto come entro rivelatore della personalità e postula pertanto un rispecchiamento tra viso e anima. In questo senso, la fisiognomica è una disciplina insieme strutturalista e psicosomatica; ante litteram, si intende: infatti pone psiche e soma in una relazione circolare e, in ultima analisi, incarna la formula del tout se tient. La sua modernità, pertanto, consiste nel rendere attuali le connessioni (volto/anima; psiche/soma; interno/esterno). Dovremmo riflettere sull’omogeneità fisiognomica presente nell’effetto di omologazione creato dagli esiti della chirurgia estetica: è come se si perdesse la visibilità del nesso tra volto e anima.
Le sue radici, peraltro, affondano nell’antichità classica. Già Pitagora (571-497 a.C.) sembra che decidesse l’ammissione o meno dei discepoli alla sua scuola a partire da un esame fisiognomico: quello che oggi chiameremmo un test attitudinale. Ma il primo trattato di fisiognomica che si conosca è la Storia degli animali di Aristotele (384-322 a.C.): qui lo Stagirita introduce lo strumento dello zoomorfismo, cioè della comparazione tra tipologie facciali e tipologie animali allo scopo di trarre indicazioni sul carattere degli uomini traendole dal carattere degli animali cui assomigliano. Il φυσιογνωμονειν di Aristotele si potrebbe tradurre come il giudicare la natura di un oggetto dalla sua struttura corporea.


Nel mondo latino, Cicerone (106-43 a.C.) si fa divulgatore, nel De fato, delle posizioni aristoteliche. Dopo alcuni secoli di relativo letargo, nel corso del Medioevo la fisiognomica riprende vigore e viene diffusa grazie alla mediazione della cultura araba. La figura di Leonardo da Vinci (1452-1519) è centrale nella sua evoluzione, soprattutto per quano riguarda la connessione con l’arte figurativa. “Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile” (Leonardo da Vinci: Trattato della pittura, n° 290, Parigi 1651).
Il punto di cerniera, e al tempo stesso di svolta, tra cultura cinquecentesca impregnata di magismo e razionalismo seicentesco si ha con l’opera di Giovan Battista Della Porta (1535-1615). La sua Fisionomia dell’huomo (Napoli 1598) è l’edizione in lingua volgare, arricchita di preziose tavole esemplificative che confrontano animali e uomini, di precedenti studi in latino.
Nel Seicento si cerca di indagare le passioni con l’ausilio della ragione. Lo stesso Cartesio (1596-1650) dedica parte della sua attività filosofica ad investigare il rapporto tra anima e corpo. Ne Les passions de l’homme (1649), elencando i segni esteriori delle passioni, egli scrive: “I più importanti tra questi segni sono i moti degli occhi e del volto, i mutamenti di colore, i tremiti, il languore, gli svenimenti, il riso, le lacrime, i gemiti, i sospiri”.
A partire dal Settecento, la fisiognomica tende per così dire a specializzarsi, spostandosi progressivamente in ambito medico e lasciando alle arti figurative un ruolo più illustrativo.
Il tedesco Franz Xavier Messerschmidt (1736-1783) è autore di sessantaquattro busti esprimenti ciascuno un tipo di emozione.
Ma è soprattutto lo svizzero Johann Caspar Lavater (1741-1801) a dover essere ricordato come l’ultimo fisiognomico puro, soprattutto per le sue silhouettes, tratte dai Physiognomische Fragmente. Dopo di lui saranno maggiormente indagate le forme mobili dell’espressione: la mimica, la gestualità, il comportamento; si parlerà allora più propriamente di patognomica - dal greco παθος (passione) e γνώμη (conoscenza).
Nell’Ottocento, Charles Darwin (1809-1882) pubblicò, oltre al celeberrimo L’origine delle specie, uno studio meno noto ma molto interessante per il nostro discorso sulla facies: The expression of emotions in man and animals, in cui sosteneva che le espressioni delle emozioni sono al servizio della selezione naturale, fisiologici segnali di difesa o di attacco.
Particolarmente suggestiva, nell’economia di questo articolo, è l’analisi dell’ultimo quadro di Vincent Van Gogh. Si tratta del celebre ritratto (si noti per inciso che possedere un ritratto è sempre stata la massima aspirazione della vanità umana) del dottor Gachet, suo amico e medico, che viene rappresentato con il busto reclinato, la testa appoggiata alla mano e l’espressione introversa. Ora, Gachet si era laureato con una tesi sulla malinconia, della quale è illuminante leggere un passo – riguardante la patognomica del malinconico di cui il celebre ritratto assumerà quasi il valore di iconografia esplicativa. “[…] i muscoli facciali sono come contratti […] e conferiscono alla fisionomia un aspetto di particolare durezza; i muscoli sopraccigliari, aggrottati in maniera permanente, sembrano nascondere l’occhio e aumentare la sua profondità. […] La bocca è serrata in una linea diritta, sembra che le labbra siano scomparse. […] Il colorito è giallastro e terroso. […] Lo sguardo è fisso, inquieto, obliquo, diretto verso terra o di lato”.


Cesare Lombroso (1835-1909) è ancora un giovane psichiatra quando, esaminando le protuberanze craniche di un ladro, ritiene di scorgervi un’atavica predisposizione al crimine. Il considerare la tendenza al crimine alla stregua della predisposizione a una malattia naturale spinge Lombroso a chiedere l’isolamento di queste persone in luoghi di cura piuttosto che in carcere. Nasce in questo modo l’istituzione del manicomio criminale e viene istituita la prima cattedra di antropologia criminale. Oggi, a parte un Museo Lombroso a Torino, rimane un residuo di “lombrosismo” nell’uso degli identikit e delle fotografie segnaletiche.
Nel Novecento, lo studio del volto umano abbandona definitivamente il territorio della fisiognomica e prende fondamentalmente tre vie: la via antropologica, la via criminologia e la via psichiatrica. Nell’alveo di quest’ultima, come è noto, avrà origine quella creazione del tutto originale che è la psicoanalisi di Sigmund Freud (1856-1939), il quale aveva ben compreso il valore del linguaggio non verbale – all’interno del quale rientrano a buon diritto i movimenti della facies – quando scriveva: “Ai mortali non è possibile celare nessun segreto: chi tace con le labbra chiacchiera con la punta delle dita, si tradisce con tutti i pori” ( Freud S.: Frammento di un’analisi d’isteria, Vienna 1901.

Riferimenti Bibliografici:
CAROLI, F.: Storia della Fisiognomica. Arte e psicologia da Leonardo a Freud,.Leonardo, Milano 1995.
CENTINI, M.: Fisiognomica, Red Edizioni, Como 1999.
DELLA PORTA, G. B.: Della fisionomia dell’uomo, (1586), Guanda, Parma 1988.
LAVATER, J. C.: Della Fisiognomica, (1772), Editori Associati, Milano 1993.
MAGLI, P.: Il volto e l’anima. Fisiognomica e passioni, Bompiani, Milano 1995.
RASARIO, G. M.: Manuale di semeiotica medica, Idelson, Napoli 1975.
RODLER, L.: Il corpo specchio dell’anima, Bruno Mondadori, Milano 2000.
SAGNE, C.: I volti, (1983), SugarCo, Milano 1984.
TURINESE, L.: Biotipologia. L’analisi del tipo nella pratica medica, Tecniche Nuove, Milano 1997.

Articolo pubblicato su Farmacia 2002 (pagg. 123-126)- Nobile collegio Chimico Farmaceutico Universitas Aromatariorum Urbis, ed. Tecniche Nuove)

(Vedi anche il post: L'anamnesi del cliente)
In foto: "Pitagora"; "Artemide"; "Apollo"

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