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"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

lunedì 2 agosto 2010

Bodhidharma

Il Buddhismo giunse in Cina intorno al 60 d.C., quando un gruppo di studiosi inviato in India, ne fece ritorno e fondò a Loyang una scuola di traduzione di testi sanscriti. Per oltre un secolo e mezzo però, la nuova religione delle arti occulte, "fece anticamera", finché, nel 220, anche i cinesi furono autorizzati a farsi monaci. Per i primi tempi, più che di Buddhismo cinese è più corretto parlare di Buddhismo in Cina, giacché dobbiamo attendere l'inizio del V secolo perché il Buddhismo stringa rapporti con il pensiero cinese e con la sua tradizione filosofica. Dal 410 al 413 operò infatti in Cina Kumarajiva, indiano profondamente dotto, che per primo introdusse in quel paese il pensiero e la filosofia di Laotse. Si crede che egli abbia persino scritto un commentario sul Tao-te-king, interpretando la filosofia taoista da un punto di vista buddhista.



I due più importanti discepoli di Kumarajiva furono Seng-chao e Tao-sheng. Il primo tentò di fondare la filosofia di Nagarjuna col taoismo, sottolineando la mutevolezza di tutte le cose e il carattere "negativo" del Nirvana, privo di qualità e quindi non conoscibile nell'accezione comune del termine, come si conosce cioè qualsiasi oggetto del mondo esterno. Seng-chao mostrò come il Buddhismo potesse venir assimilato alla filosofia cinese e fosse ormai destinato a entrare nella tradizione locale, perdendo ogni carattere esotico.
Tao-sheng pose le fondamenta della scuola dhyana del Buddhismo e fu in seguito conosciuta in Cina col nome di Ch'an e in Giappone con quello di Zen entrambe trascrizioni della parola sanscrita dhyna (meditazione).
Come ogni mistico, Tao-sheng dava scarsa importanza alle Scritture. Egli affermò che "la buona azione non comporta ricompensa", essendo assolutamente spontanea e quindi disinteressata, e che ogni realizzazione (satori) è frutto di un'illuminazione improvvisa, non di un graduale sviluppo nella teoria e nella pratica. Lo studio e la pratica assidui possono tutt'al più costituire una specie di lavoro preparatorio. Secondo Tao-sheng, ogni essere senziente ha la natura del Buddha, ma a causa dell'ignoranza (avidya) non si accorge di possederela. Con l'apprendimento e la pratica ognuno potrà "vedere" la propria natura di Buddha, accorgendosi di essere uno con essa sin dall'origine. Poiché la naturta del Buddha non può essere divisa, ma è assoluta, o la si vede per intero con un'illuminazione improvvisa o non la si vede affatto.
Per chi ha conoscenza del Buddhismo zen, questa breve esposizione della filosofia di Tao-sheng suonerà del tutto familiare.
Poco o niente affatto familiari suonarono però le suddette affermazioni alle orecchie dei monaci buddhisti suoi contamporanei, che bandirono pubblicamente Tao-sheng da Nanchino.

Quando il Buddhismo giunse in Cina proveniente dal Dekkan, nel 520, lo sfondo teorico del Ch'an era dunque stato già chreato da Seng-chao e Tao-sheng.

La pia tradizione ha fatto di Bodhidharma il 28° di una linea ideale di Patriarchi indiani (e il Patriarca cinese) che, percorsa a ritroso, condurrebbe allo stesso Buddha Shakyamuni. Questo "albero genealogico" fu elaborato certamente per dare allo spirito dello zen una leggittimazione autorevole.
Le nostre conoscenze sulla vita di Bodhidharma derivano da due fonti: le "Biografie dei Grandi Sacerdoti", composte da Tao-hsuan al principio della dinastia T'ang, verso il 645 e gli "Annali della trasmissione della Lampada", compilati dal monaco zen Tao-yuan nel 1004, all'inizio della dinastia Sung.

Bodhidharma era il terzo figlio di un grande brahmano dell'India meridionale. Studiò il Buddhismo per quarant'anni, dopo i quali il suo maestro Pranjatara gli conferì il grado di 28° Patriarca del dhyana.
Quando Bodhidharma arrivò in Cina, si diresse verso la corte dell'imperatore Wu di Liang, patrono entusiasta del Buddhismo. L'ìimperatore chiese a Bodhidharma: "Durante il mio regno ho fatto edificare numerosi templi ed ho aiutato molti monaci:qual è il mio merito?". "Proprio nessuno, Maestà", rispose Bodhidharma."Allora, chiese l'imperatore stupito, qual è il primo principio della dottrina?". "Semplicemente il vuoto". "Chi sei dunque tu, che mi stai dinanzi?". "Non lo so, Maestà".
Successivamente Bodhidharma si ritirò per nove anni in un monastero, dove meditò "contemplando il muro".
Una leggenda vuole che un giormno si addormentasse durante la meditazione, adirato, si recise le palpebre, che cadendo aterra germogliarono nella prima pianta di tè. Da allora il tè è sevito per tenere desti i monaci durante la meditazione. "Il gusto dello zen (ch'an) e il custo del tè (ch'a) sono i medesimi". dice un proverbio zen.

Un'altra leggenda vuole che Bodhidharma sedette così a lungo in meditazione che gli si staccarono le gambe. Di qui il divertente simbolismo delle bambole giapponesi daruma (Daruma è il nome giapponese di Bodhidharma) che hanno un corpo rotondo e senza gambe, che ritorna sempre dritto quando lo si spinge giù.
Un giorno un monaco di nome Hui-k'o andò a trovare Bodhidharma supplicandolo di essere illuminato sulla verità. Il primo Patriarca lo ignorava, ma il giovane monaco rimase alla sua porta fino a che la neve non gli arrivò alle ginocchia. Poi, per dimostrare la sua determinazione, si tagliò il braccio sinistro e lo offrì a Bodhidharma. Questi allora chiese finalmennte a Hui-k'o che cosa volesse. "Non ho la pace dela mente- disse Hui-ko - ti prego, rasserena la mia mente". "Porta la tua mente qui davanti e io la pacificherò", replicò Bodhidharma. "Ma quando cerco la mia mente - disse Hui-k'o - non riesco a trovarla". "Ecco! - gridò allora Bodhidharma - Ho pacificato la tua mente". In quel momento Hui-k'ò ebbe il suo risveglio (satori) e fu designato come secondo Patriarca cinese.

L'ultima parte della vita di Bodhidharma è avvolta dal mistero. C'è chi lo vuole avvelenato dai suoi avversari, chi sostiene che passò al Giappone, chi affermò di averlo veduto passare il confine per tornare in India scalzo e con una scarpa sulla testa. Tutti concordano però sul fatto che egli morì vecchissimo (secondo Tao-hsuan a 150 anni).
Scrisse argutamente A. Watts: "Non si può dire che sia facile scoprire in una storia tanto assurda l'elemento che ha influito così profondamente su tutta la storia dell'Estremo Oriente".

Studiosi autorevoli, come Fung Yu-lan, formulano l'ipotesi che la storia di Bodhidharma sia una pia invenzione dei tempi posteriori. A parte il fatto che negare l'esistenza di autorevoli capiscuola sembra essere un vezzo periodico degli storici delle religioni, la concreta esistenza di Bodhidharma, come fa rilevare D.T.Suzuki, non ha la minima importanza per la storia dello zen. (Sia detto per inciso che l'insegnamento di Bodhidharma non era esattamente quello che divenne noto come zen. Lo zen propriamente detto si sviluppò circa 150 o 200 anni dopo Bodhidharma, ad opera del sesto Patriarca Hui-neng, che si basò sulla linea tracciata dal primo Patriarca). Ciò che importa è che a partire dal VI secolo si impose in Cina, tra le altre correnti buddhiste, una forma di Buddhismo cinese con caratteristiche assai peculiari, noto col nome di Ch'an e, a partire dalla fine del XII secolo, in Giappone con quello di Zen.

L'insegnamento di Bodhidharma appartiene all'ala pratica del Mahayana. Bodhidharmna (Tamo in cinese) non era un esperto di logica, ma voleva semplicemente vivere la verità e insegnare un metodo pratico per conseguire l'Illuminazione. Obiettivo della vita buddhista, secondo Bodhidharma, è penetrare nella natura del proprio essere.
Tipico della mentalità di Bodhidharma è il sopra riportato colloquio con Hui-k'ò: non dissertò sull'anatta (non- Io) e sul Nirvana, ma chiese a Hui-k'o di portargli dinanzi la mente perché potesse calmarla, e lo liberò dalla schiavitù del concetto di mente, facendogli vivere un'esperienza reale.
Si è detto sopra che Bodhidharma passò nove anni a "fissare il muro". Questa espressione è la traduzione letterale del termine cinese pi-kuan. "Ma "stare fermi rigidamente come una rupe" - avverte D.T.Suzuki - non indica la posizione assunta dal praticante zen quando siede a gambe incrociate con la colonna vertebrale eretta, ma si riferisce a uno stato mentale interiore, in cui sono spezzate tutte le catene di concetti che disturbano e intralciano". Da questa base ineliminabile si parte per la scalata alla vetta - il satori - che è la meta della disciplina zen.

L'insegnamento etico di Bodhidharma è riassunto nella formula Wu-kung-te, "nessun merito", che si riferisce al dialogo sopra riportato tra l'imperatore e il primo Patriarca. Scrive lo stesso Bodhidharma: "Il saggio pratica le sei virtù della perfezione per liberarsi dai pensieri confusi, e tuttavia da parte sua non vi è la consapevolezza di essere impagnato in un'azione meritoria, e ciò significa essere in accordo con il Dharma".

Gli insegnamenti di Bodhidhara trovarono un terreno fertile in Cina perché si armonizzavano in un certo senso col misticismo del Tao-te-king e con le profonde disquisizioni di Chuang-tze, sempre pervase da una vena ironica.

Può essere utile riportare i quattro assiomi elaborati più tardi per compendiare il messaggio portato da Bodhidharma in Cina:
1) Trasmissione del sapere al di fuori delle Scritture;
2) Indipendenza dalle parole e dalla lettera;
3) Riferimento diretto al cuore dell'uomo;
4) Visione della propria natura e copnseguimento dello stato di Buddha.


Luigi Turinese

In foto: "Stupa bonsai"

Riferimenti bibliografici essenziali:
A. Watts: "Lo Zen" Bompiani e "La via dello Zen", Feltrinelli.
D.T. Suzuki: "Il risveglio dello Zen", Ubaldini.
C. Hunphreys: "Lo Zen", Ubaldini.

Scritto apparso su "Paramita - Quaderni di Buddhismo" Anno III, Gen-Marzo 1984, pagg. 9-11

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