
Settantadue foto digitali su Taranto. Settantadue: lo stesso numero di battiti cardiaci che la fisiologia indica come frequenza media normale. Le foto che
Gianna Tarantino dedica alla sua città sono evidentemente scattate col cuore.

La scelta del
bianco&nero al servizio della tecnica digitale, che si ritiene – anche con buone ragioni – figlia di una modernità frettolosa, crea singolari effetti di contrasto.

L’epoca degli scatti è riconoscibile soltanto quando appaiono le stigmate dei nostri tempi: pullman, periferie industriali, qualche indumento che rivela contemporaneità. Per il resto, prevale il
senza tempo: un altro modo per dire che in
Gianna Tarantino si palesa una
sensibilità archetipica non priva di malinconia (si osservi con partecipata attenzione l’insegna scolorita
sala da barba che sembra iscritta su di un palazzo con un inchiostro simpatico che si sta lentamente rivelando).

Non solo – ovviamente – quando vengono fotografate le vestigia della
Magna Graecia: capitelli, una testa ellenistica del Museo Archeologico persino un poster raffigurante una statua greca relegato-regalato da squisiti attacchini sulla facciata di un vecchio stabile

ma anche nell’elevare a modelli ideali i palmizi presenti nella città

nella rappresentazione-ricordo delle icone che testimoniano di una radice bizantina

nei tanti scatti dedicati al mare,

nella rappresentazione del ponte girevole che collega le due città (
nota storica) ma è anche segno di tutti i ponti che dobbiamo costruire per integrare le nostre molteplicità (
nota archetipica).

Ma perché
Gianna Tarantino apparenta
Taranto a
Costantinopoli? Un livello di risposta chiama in causa
Franco Battiato, che in
Venezia-Istanbul (
1980) raccontava di come Venezia gli ricordasse istintivamente Istanbul (“
stessi palazzi/addosso al mare”): il che – per una sorta di sillogismo sintattico – porrebbe Taranto al livello di Venezia: audace riscatto del meridione degradato (ma nelle foto di corridoi finestrati che uniscono tra loro due palazzi vi sono effettivamente echi veneziani).

Tuttavia, oltre la
boutade si nasconde un altro livello di verità. Come Salgari, cantore di un’India fantastica dove non era mai stato,
Gianna Tarantino porta con sé
un’immagine interna – dunque eterna – di Istanbul (“
vorrei arrivarci dal mare”).
L’affinità d’anima è talmente profonda da evocare parentele topografiche (la foto di due ragazzi che si abbracciano sotto una tettoia sul lungomare ricorda in maniera impressionante la banchina sotto il ponte di Galata) ma anche tecniche: in più di una occasione gli scatti rivelano l’amore per la città – in quel caso appunto
Istanbul, qui
Taranto – che trapela nelle immagini di
Ara Güler, il maggior fotografo turco contemporaneo.
Luigi TurinesePrefazione a
"Taranto mi ricorda istintivamente Istanbul", G. Tarantino, edit@ Edizioni, Taranto 2008 Guarda il video "Taranto mi ricorda istintivamente Istanbul" di Gianna Tarantino