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"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

sabato 3 aprile 2010

After the Big Bang

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In foto:"Eclissi?"

Uno degli elementi più singolari – ogniqualvolta si confrontino i destini e le fortune ortune postume di Freud e di Jung – mi è sempre sembrato il cotè di partenza e quello di arrivo del loro pensiero. Freud infatti prese le mosse dalle pruderies della borghesia austriaca – così ben descritte da Arthur Schnitzler e causticamente stigmatizzate dagli aforismi di Karl Kraus – per dare origine a una stirpe di clinici rigorosi e ad una Weltanschauung dominata da un materialismo talora asfittico; mentre Jung, partito dall’esperienza del Burghölzli che lo costrinse a misurarsi – giovane psichiatra – con la schizofrenia (ancora denominata dementia praecox), forse per una malintesa interpretazione della sua apertura nei confronti degli elementi a-razionali dell’esperienza ha finito per dar voce – malgré lui – a zuccherosi sincretismi new age.

Un altro fenomeno curioso e meritevole di ricerca consiste nella “dispersione” di temi junghiani in altre cornici teoriche. Più di una scuola postfreudiana ospita infatti – talora senza saperlo – intuizioni che furono presentate da Jung nella loro formulazione originaria. Anche svariati innovatori della psicologia hanno un debito implicito nei confronti della Psicologia Analitica: per esempio non molti sanno che lo stesso Paul Watzlawick, esponente di spicco della cosiddetta Scuola di Palo Alto, autore di molte opere e coautore della celeberrima Pragmatica della comunicazione umana (1971), ha effettuato tra le sue formazioni anche il training presso lo Jung Institut di Zurigo. In altro ambito, le scienze della complessità postulano alla loro base un assunto sistemico – la coesistenza di verità parziali ma non contraddittorie – che trova riscontro nella concezione junghiana di psiche complessa. Nel linguaggio comune usiamo ormai con disinvoltura termini come estroverso e introverso, che provengono direttamente da Tipi psicologici (1921). Non parliamo poi delle innumerevoli filiazioni all’interno delle correnti orientaliste e più in generale neospirituali.


In foto:"ESP"

E perché non citare anche ricadute dei concetti e del linguaggio lontanissimo dalla sorgente, come testimonia ad esempio l’ultimo, bellissimo album realizzato dal gruppo rock dei Police prima dello scioglimento e intitolato Synchronicity (1983? Nei testi delle canzoni, con autentico furore creativo, Sting spargeva a piene mani immagini che conosciamo bene.

With one breath, with one flow
You will know
Synchronicity
A sleep trance, a dream dance,
A shared romance,
Synchronicity

If we share this nightmare
Then we can dream
Spiritus mundi.

A star fall, a phone call,
It joins all,
Synchronicity.

Effect without a cause
Sub-atomic laws, scientific pause
Synchronicity……
(Sting, Synchronicity I,1983)

Questa incompleta carrellata di contaminazioni di vaste aree della cultura da parte del pensiero junghiano mi ha stimolato l’immagine di quello che potremmo chiamare Big Bang culturale. È come se la potente e asistematica curiosità amplificatoria di Jung avesse dato origine a una moltitudine di ricadute a distanza: una sorta di scintillio prolungato che ha dato segno di sé a differenti distanze dalla fonte originaria, che dunque – spesso senza nessun dolo – è stata spesso misconosciuta.
Sempre per seguire un’immagine – in questo caso stimolata dal pianeta dominante del Leone, segno di nascita di Jung – il Sole irradia luce e calore; ma in periferia sono percepibili soltanto i suoi effetti, non un contatto diretto con la fonte.


In foto:"Vis Leonis"

Dedicare un numero monografico della Rivista di Psicologia Analitica a Jung, pertanto, è operazione doverosa e insieme impossibile, tante sono le interfacce offerte dalla pluralità di interessi del Maestro di Küsnacht. Impossibile soprattutto se si tentasse di essere esaustivi.
Ho scelto pertanto, al dischiudersi del XXI secolo, di ravvisare alcune delle tracce lasciate dal passaggio di questo ingombrante e non sempre conciliante personaggio. In questa ricognizione appassionata mi hanno sostenuto compagni di viaggio generosi e capaci, grazie ai quali sono riuscito a intravedere almeno alcune delle direzioni cui le suddette tracce portavano. Il documentatissimo articolo di Sonu Shamdasani – massimo storico mondiale della Psicologia Analitica e curatore generale della Philemon Foundation, che si è prefissa lo scopo di pubblicare entro trent’anni l’opera omnia di Jung – ci illumina anche su quelle che potremmo chiamare le tracce anteriori: i primi passi, gli antefatti, lo Jung prima di Jung. Scopriamo così che l’ipnosi non fu praticata – e poi abbandonata – soltanto da Freud; ma che Jung era forse ipnotista migliore dell’anziano collega e che abbandonò la suggestione non perché inefficace ma, in un certo senso, proprio a causa della sua drammatica efficacia, che minava alle basi l’aspirazione a una psicologia della coscienza.

Il contributo di Mario Trevi non è inedito ma si presta ottimamente a una “valutazione critica dell’opera di C.G. Jung”, come recita il titolo. Pubblicato originariamente nel 1989, esso risente dei lavori di Trevi immediatamente precedenti: Per uno junghismo critico (1987) e L’altra lettura di Jung (1988). Vi si sottolineano il primato e la peculiarità del processo di individuazione: la psicologia analitica è presentata pertanto come una psicologia dell’individuazione ed è ribadita la necessaria complementarità tra pensiero e immagine. Anche in questo lavoro – come del resto in tutte le opere di Trevi – è presente una critica della teoria archetipica: “La cosiddetta teoria archetipica è un’evasione dalla storia che può essere interpretata sia come un ingenuo platonismo sia come un rozzo naturalismo”. Si può dissentire, naturalmente.
In effetti, il pregevole articolo di Augusto Romano e Ferruccio Vigna – sostenuto da un eccellente linguaggio e da un esaustivo apparato critico – prende le mosse proprio dal possibile uso della teoria archetipica per fare luce su avvenimenti storici, a partire dalla decifrazione del fenomeno del sabba, oggetto del fortunato libro di Carlo Ginzburg Storia notturna (1995). Secondo gli autori dell’articolo, il libro in questione testimonierebbe una traccia negata del pensiero di Jung, nella misura in cui il fraintendimento della nozione di archetipo da parte di Ginzburg impedisce allo storico di sollevarsi da interpretazioni riduzionistiche.
Nel suo Jung: tracce dagli altri, Stefano Carta si dice “[…] persuaso che le tracce di Jung che è utile cercare siano soprattutto quelle lasciate da quei ricercatori contemporanei che, non conoscendo Jung, hanno sviluppato, ridefinito ed inquadrato in diversa forma il pensiero junghiano”. Incardinato su di una puntuale documentazione testuale, l’articolo è sostenuto da una forte pregnanza di teoria della clinica. Carta appare più preoccupato per la salvaguardia delle idee che del suo Autore, in questo caso Jung.


In foto:"Coelum"

Sono molto grato a Piergiacomo Migliorati per aver voluto condividere con la RPA le sue riflessioni – che speriamo presto sviluppate in un volume dedicato alla gruppoanalisi di orientamento junghiano – su di una modalità analitica integrata: il lavoro individuale e la prassi gruppale, in un’ottica gestaltica di figura e sfondo, come da un trentennio Migliorati si sforza di fare.
Luciano Perez, che da alcuni anni affianca all’attività clinica e didattica un meritorio lavoro editoriale (ricordiamo Analisi dei sogni e La psicologia del kundalini-yoga per Bollati Boringhieri e le recentissime Lettere, recensite in questo numero della RPA, per MA.GI.), prende in esame il rapporto di Jung con la cultura del suo tempo. Vengono richiamati tra l’altro le basi filosofiche schopenhaueriane, i rapporti col clero e in generale con la storia delle religioni, l’affascinante storia del cosiddetto Codex Jung, i rapporti con l’antropologia. Con il suo caratteristico stile di scrittura leggero (in senso calviniano), Perez fa emergere l’interdisciplinarietà del pensiero junghiano – una vera e propria Nuova Enciclopedia, nella felice immagine di Shamdasani – che vide un’efficace concretizzazione nelle Conferenze di Eranos.

Conclude il volume un contributo di Giovanni Rocci, storico della filosofia innamorato esegeta del pensiero junghiano (fondamentali i suoi libri C.G. e il daìmon. Filosofia e psicologia analitica; Jung. Il sacro e l’anima; La maschera e l’abisso. Una lettura junghiana.di Nietzsche), che dimostra come l’estetica crociana e la visione junghiana dell’arte come forma individuativa possano proficuamente integrarsi. Per entrambi, l’arte è conoscenza: dello Spirito per Croce, del per Jung.
Il mio editoriale sarebbe incompleto se trascurassi di presentare una novità per la RPA: l’inserimento di un contributo figurativo originale, dovuto al felice tratto di Prospero Andreani, un artista che ha sempre tenuto conto della realtà archetipica, a volte quasi incarnandola inconsapevolmente: si pensi agli acquerelli dedicati alle cosiddette città morte della Siria e pubblicati in elegante volume corredato di importanti testi col titolo I villaggi dimenticati. Il Maestro Andreani ci ha regalato un bozzetto per Jung che è un piccolo capolavoro di semplicità: un ritratto che con pochi colpi di china restituisce la saggezza, l’ironia e la piena umanità del Vecchio Saggio di Küsnacht, realizzazione vivente dell’archetipo senex et puer.


In foto:"Nuances"

(Nelle foto: Roma, Basilica di Santa Maria degli Angeli)


Editoriale di "Tracce di Jung"- Rivista di Psicologia Analitica,a cura di Lugi Turinese Ed.: Gruppo di Psicologia Analitica Roma 2007, Nuova serie n.23 Volume 75/2007

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