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"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

domenica 28 marzo 2010

L'arco e la freccia - Prefazione


Riccardo Mondo
L'arco e la Freccia
Prospettive per una genitorialità consapevole.

(Ed. Ma.Gi., 2003)


Prefazione di Luigi Turinese

Ci vuole coraggio – e competenza – per parlare di educazione senza toni retorici. Il segreto di questo libro che, parafrasando il titolo, è una freccia che centra il bersaglio, risiede nell’intelligenza ermetica del curatore Riccardo Mondo; il quale, anziché reclutare pedagogisti o magari psichiatri chiesti in prestito al circo mediatico, si è circondato di autori di estrazioni differenti chiamati a fornire il loro contributo sul tema dell’educazione e delle sue basi epistemologiche.
Il risultato è un omaggio alle scienze della complessità, tra le quali si deve senz’altro annoverare la scienza dell’educazione – o come altro si vuole chiamare la difficile arte del condurre fuori (e-ducare) da ciascun cucciolo d’uomo il nucleo forte della sua umanità. Le scienze della complessità, infatti, hanno come presupposto-corollario l’acquisizione di verità parziali ma non contraddittorie.

Solo a partire da questo presupposto acquista profondità di senso parlare – come fa Mondo – di Comunità Educante, all’interno della quale ciascuno fa la sua parte: lo psicologo, il pedagogista, il mitologo, l’insegnante; e, naturalmente, il genitore. “L’atteggiamento educativo” – scrive Mondo – “è sempre intersoggettivo e contestuale”. Dunque è alta la consapevolezza della dialettica tra individuo e collettivo; così come dell’importanza capitale dell’esercizio di un’attenzione oscillante tra oggetto dell’intervento educativo (il minore) e mondo interno dell’educatore.

I compagni di viaggio – nell’avventura de L’arco e la freccia – sembrano ben consapevoli di questi assunti di base.

Elena Liotta, mettendo in pratica la sua osservazione secondo la quale “la psicologia del profondo restituisce alle donne quello che da loro ha preso in abbondanza”, si chiede: “Ci sarà mai spazio per una madre che non sia né dominante né dolorosa?”. Una risposta, naturalmente, sarà possibile soltanto dopo aver “digerito” e superato sia la compensatoria immagine che delle madri propone il mito sia l’analoga distanza dalla realtà che scaturisce dalla descrizione che della madre fanno i media.(Ma – mi domando – i media non sono a loro volta strutture mitopoietiche?).

Appare molto opportuno l’intervento di Magda Di Renzo, che ci mostra il problema dalla parte dei figli; ovvero ci spiega come il bambino si costruisce l’immagine interna del genitore, a partire certo da figure umane reali ma anche da modelli culturali o perfino archetipici. Nella nostra epoca, questo genitore interno appare carente nella funzione contenitiva, sino a rendere difficile – ci racconta Di Renzo – persino un’operazione che ci sembra elementare come è quella di scrivere il diario scolastico. Ecco, mi pare che nell’intervento di Magda Di Renzo risuoni la “voce della trincea”, come è da attendersi da chi lavora quotidianamente in contatto col dolore dei figli e dei genitori; ne sono testimonianza un illuminante caso clinico e il riferimento a lavori su “grandi numeri”, che danno spessore alle tesi portate.

La dimensione archetipica costituisce l’ispirazione dell’articolo di Daniele Borinato, certamente più apprezzabile con le immagini che lo corredano. Il mito prescelto è quello di Ulisse, figura archetipica di padre ben particolare, se è vero che ha bisogno del viaggio – e che viaggio! – come precondizione dell’incontro col Figlio (Telemaco); e – da figlio – col Padre (Laerte): Ulisse tra Telemaco e Laerte, dunque, a significare che l’incontro tra Padre e Figlio si svolge sempre lungo una direttrice a due vie. Assai interessante, da questo punto di vista, la tesi che la tanto discussa assenza del padre corrisponda ad una speculare mancata ricerca del padre da parte del figlio; omissione di percorso favorita da un eccesso di narcisismo e da uno sprofondamento nella dimensione materna.

“Ogni pedagogia è […] sempre l’applicazione sul piano formativo di una precisa concezione antropologica globale”, scrive Marco Guzzi. Da anni Guzzi è impegnato ad additarci lo scontro escatologico che viviamo in questa nostra epoca di passaggio; passaggio a volte drammatico, in cui siamo esposti al doppio rischio del fondamentalismo e del nichilismo. “Ogni luogo può essere un cimitero o una sala parto” è frase assai eloquente. Un progetto educativo adeguato alla prospettiva antropologica che Guzzi chiama dell’Uomo nascente deve conservare la forza delle relazioni interpersonali e un’istanza poetico-spirituale.

A conclusione della prima parte del libro, Alfonso Sottile si fa compagno di cordata di Mondo nel ricordarci che “il disagio che si accompagna all’educare è, in fondo, il disagio che si accompagna al vivere”. Basta, dunque, con la retorica dell’inadeguatezza del genitore al suo compito, quasi che essere genitori sia – come dicono i due autori – “l’espiazione di una colpa”.

La ricerca su mille famiglie distribuite su nove comuni del territorio etneo, che costituisce la seconda parte del volume, assume una portata ed un rilievo che – se fosse mancata la base teorico-epistemologica fornita dalla prima parte – non avrebbe certamente avuto.

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Luigi Turinese Cantautore

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