Uno degli elementi più singolari – ogniqualvolta si confrontino i destini e le fortune postume di Freud e di Jung – mi è sempre sembrato il coté di partenza e quello di arrivo del loro pensiero. Freud infatti prese le mosse dalle pruderies della borghesia austriaca – così ben descritte da Arthur Schnitzler e causticamente stigmatizzate dagli aforismi di Karl Kraus – per dare origine a una stirpe di clinici rigorosi e ad una Weltanschauung dominata da un materialismo talora asfittico; mentre Jung, partito dall’esperienza del Burghölzli che lo costrinse a misurarsi – giovane psichiatra – con la schizofrenia (ancora denominata dementia praecox), forse per una malintesa interpretazione della sua apertura nei confronti degli elementi a-razionali dell’esperienza ha finito per dar voce – malgrè lui – a zuccherosi sincretismi capaci di dare i brividi lungo la schiena di annoiate signore della buona borghesia. Scherzi maliziosi della storia!…
Un altro fenomeno curioso e meritevole di ricerca consiste nella “polverizzazione” di temi junghiani in altre cornici teoriche. Più di una scuola postfreudiana ospita infatti – talora senza saperlo – intuizioni che furono presentate da Jung nella loro formulazione originaria. Le scienze della complessità, poi, postulano alla loro base un assunto sistemico che trova riscontro nell’idea tutt’affatto junghiana di psiche complessa. Nel linguaggio comune usiamo ormai con disinvoltura termini come estroverso e introverso, che provengono direttamente da Tipi psicologici (1921).
Non parliamo poi delle innumerevoli filiazioni del pensiero junghiano all’interno delle correnti neospirituali. (Per un approfondimento vai al post After the Big Bang)
Un articolo discorsivo e divulgativo come il presente non intende andare oltre una rassegna di cenni. Voglio soffermarmi tuttavia su due implicazioni particolari del pensiero junghiano; implicazioni che – insieme ad altre – hanno la caratteristica di portare nel dibattito intellettuale contemporaneo “vino vecchio in otri nuovi”. Si tratta delle possibili implicazioni ermeneutiche della teoria dei complessi in una revisione critica del teatro contemporaneo ; e dello stretto rapporto che intercorre tra tipologia e individuazione nel processo di sviluppo del potenziale individuale, al di fuori di ogni contesto clinico.
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Quando cerchiamo di comprendere la complessità psicologica di molte pièces del teatro moderno, dei suoi personaggi minori, non eroici, deuteragonisti o antagonisti, la topica freudiana – e le vicissitudini pulsionali che le sono coerenti – è una chiave ermeneutica un po’ angusta. Da questo punto di vista, Jung ci fornisce maggiori suggestioni. Infatti, come scrive Samuels: “tutta la sua psicologia prende la forma di un’animazione di personaggi interiori”. Si tratta, a ben vedere, di un’applicazione particolare della teoria dei complessi a tonalità affettiva, che ha valso alla formulazione di Jung la denominazione di Psicologia Complessa.
Per spiegare come egli sia pervenuto alla formulazione della sua Psicologia Complessa , occorre recuperare alcuni elementi storici.
Tutto ha inizio con l’impiego da parte di Jung del test di associazione[...]
Il complesso “si comporta , nell’ambito della coscienza, come un corpus alienum animato”. Non c’è bisogno di sottolineare più che tanto l’analogia tra i complessi e i personaggi di una pièce. Lo stesso Jung definisce “ il teatro come un’istituzione per l’elaborazione pubblica dei complessi“. In un certo senso, il drammaturgo è posseduto dai complessi; egli si deve – sia pure limitatamente al momento della creazione – offrire all’olocausto dell’inflazione da parte di nuclei complessuali inconsci. I complessi possiedono una potente inclinazione alla personificazione e l’artista, per così dire, ne approfitta. “Quando crea un personaggio per la scena crede forse che si tratti esclusivamente di un prodotto della sua fantasia; questo personaggio si è invece in un certo senso fatto da sé”. Il drammaturgo sa dunque attraversare il ponte che mette in comunicazione l’Io e l’Inconscio. (Per un approfondimento vai al post La psiche "plurale " nel teatro del Novecento)
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In uno dei passi conclusivi di Tipi psicologici, Jung è molto esplicito: “Non dubito che i miei avversari si adopereranno per eliminare il problema dei tipi dalla lista degli argomenti da trattare scientificamente, giacché per ogni teoria dei processi psichici che pretenda d’avere un valore universale, il problema dei tipi costituisce certo un ostacolo scomodo”Jung considera all’origine normale - così come naturalmente suscettibile di patologia - ogni tipo. I tipi junghiani sono cioè modelli convenzionali che imbrigliano la pluralità virtualmente infinita degli individui in forme quantitativamente finite. Vista da questa angolazione, la tipologia non è una scienza naturale bensì un espediente euristico: attraverso la metafora del tipo ci si avvicina alla conoscenza dell’individuo, che in quanto unico è incommensurabile.
Indagare sul tipo psicologico significa scandagliare i versanti del gioco dinamico tra conscio e inconscio e prendere atto dello statuto soggettivo della psicologia, che si configura di conseguenza come una disciplina ermeneutica piuttosto che come una scienza della natura. In questa accezione, lo studio del tipo diventa un altro modo di esercitare la psiche – ovvero di fare anima.
Ogni tipo ha una sua natura entelechiale, reca in sé il suo telos. Nel tipo si cela il destino di un individuo: il destino in quanto portatore di una vocazione, di un’immagine che lo definisce. Come direbbe Hillman, di un daimon.( Hillman, J. (1996): Il codice dell’anima, Adelphi, Milano 1997). Nel tipo si cela in un certo senso il destino di un individuo, con le sue nevrosi e le sue prospettive individuative. Che cos’è, in fondo, il complesso se non il frutto dell’urto tra la propria natura e il bisogno di adattamento? Il tipo condiziona anche il percorso individuativo, che si dipana in un perenne confronto tra la dotazione naturale e le richieste del collettivo. In questo opus contra naturam riconosciamo un aspetto della dialettica platonica tra Nous e Ananke, Ragione e Necessità. [...]
Natura e cultura; individuo e collettivo; conscio e inconscio; adattamento e individuazione; estroversione e introversione; funzioni razionali e funzioni irrazionali; funzione dominante e funzione inferiore: sono tutte opposizioni fondamentali che si pongono all’interno di ogni tipo umano. Da tali tensioni oppositive scaturisce l’esperienza simbolica, frutto della compresenza creativa di tutte e quattro le funzioni e dell’intervento di quella che Jung chiama funzione trascendente. Non siamo nel territorio del pensiero né in quello del pragmatismo ma di nuovo in quell’area intermedia che è la psiche: tra esse in intellectu ed esse in re, dunque, “tertium datur”: ancora una volta, esse in anima.
Indagare sulle proprie parti interne, individuando le coppie in tensione oppositiva, diventa allora a sua volta un’attività psichica. Così inteso, lo studio del tipo entra a far parte del percorso individuativo; e si può penetrare la pertinente affermazione di Jung: “In ultima analisi, noi contiamo qualcosa solo in virtù dell’essenza che incarniamo, e se non la realizziamo, la nostra vita è sprecata”. (Per un approfondimento vai al post Tipologia e individuazione )
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Ho inteso mostrare come due aspetti extraclinici – l’uno afferente all’ambito delle arti, l’altro a quello esistenziale – possano guadagnare comprensibilità se osservati con la visione del mondo propria della psicologia analitica. Una visione del mondo e delle cose che affonda le sue radici nel politeismo (innegabile sfondo archetipico della teoria dei complessi) e nell’antica disciplina tipologica, entrambe rivisitate da un’anima contemporanea bruciata dalla sete della conoscenza. “Vino vecchio in otri nuovi”, appunto.
Luigi Turinese
Foto: "Keats'House, Rome"
Articolo apparso sulla rivsta Babele n 26 Gennaio/aprile 2004 pagg.12-15
Medico, Esperto in Omeopatia, Psicologo Analista, Cantautore dottluigiturinese@gmail.com - facebook.com/luigi.turinese
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Libri di Luigi Turinese
- Caro Hillman... Venticinque scambi epistolari con James Hillman (con Riccardo Mondo, Nuova edizione 2021, Edizioni LSWR , Milano)
- Epifanie archetipiche (con Gianna Tarantino, Edizioni Efesto, Roma, 2021)
- Walking on the wild side. Trame di Dioniso (Magi Edizioni, Roma, 2020)
- Hahnemann. Vita del padre dell'omeopatia. Sonata in cinque movimenti (con Riccardo de Torrebruna, Riedizione 2020, Edizioni Efesto, Roma)
- L'omeopatia nelle malattie acute (Edizioni Edra, Milano, 2015)
- L'anima errante. Variazioni su Narciso (e-book + libro, Ed. flower-ed, 2013)
- Modelli psicosomatici. Un approccio categoriale alla clinica (Elsevier-Masson, Milano, 2009)
- Hahnemann, Vita del padre dell'omeopatia. Sonata in cinque movimenti (con Riccardo de Torrebruna, E/O, Roma, 2007)
- Caro Hillman...Venticinque scambi epistolari con James Hillman (con Riccardo Mondo, Bollati Boringhieri, Torino, 2004)
- Il farmacista omeopata (Tecniche Nuove, Milano, 2002)
- Biotipologia. L'analisi del tipo nella pratica medica (Tecniche Nuove, Milano, 1997/2006)
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