Carl Gustav Jung, "Lettere" (tre vol,), , Edizioni Scientifiche MaGi, Roma, 2006, pp. 1338Continuare a considerare
Jung un allievo, o peggio, ancora un epigono, di
Freud costituisce una rimarchevole ingenuità. Il percorso culturale - non solo psicoanalitico - del saggio di
Küsnacht si snoda attraverso gran parte del
XX secolo, affondando all'indietro negli anni di formazione, avvenuti esattamente
nell'ultimo quarto del secolo XIX, essendo
Jung nato nel
1875.
La sua produzione "canonica" consta dei diciotto volumi - oltre a un diciannovesimo volume di bibliografia generale e indici analitici - dei
Collected Works.
Se si pensa tuttavia che la
Philemon Foundation, sotto la direzione di
Sonu Shamdasani, ha varato un piano di pubblicazione di trenta volumi di inediti, si ha una misura dell'immensa attività di questo gigante della cultura contemporanea.
L'opera che l'editore Ma.Gi. propone, con la consueta benemerita incoscienza, comprende un migliaio di lettere curate da
Aniela Jaffé e da
Gerhard Adler.
Si immagini che esistono, ancora inedite, oltre trentamila lettere ... Si può dire che
Jung abbia scritto, durante la sua vita attiva, circa un paio di lettere al giorno. Non mere lettere formali, si badi bene: ma talora veri e propri piccoli saggi, che illuminano su un ventaglio di interessi veramente enciclopedico.
Per compiere una recensione ai tre volumi che presentiamo basterebbe un elenco dei più noti destinatari.
Si spazia da esponenti della psicoanalisi e della psicologia analitica (ovviamente
Freud, ma anche
Karl Abraham, Michael
Fordham,
Esther Harding,
Erich Neumann, l'americano
Whitmont, anche medico omeopata,
Sandor Ferenczi,
Ernest Jones,
Jolanda Jacobi, oltre alla stessa
Aniela Jaffé, preziosa segretaria dell'ultimo periodo) a cercatori spirituali (tra tutti
Padre White, il frate domenicano lo scambio epistolare col quale costituirà il primo volume di inediti; e poi
Evans-Wentz e
D.T. Suzuki, studiosi di buddhismo, l'indologo
Heinrich Zimmer e il sinologo
Richard Wilheim,
Henry Corbin, appassionato esploratore della mistica islamica, il conte
Keyserling,
Mircea Eliade e il mitologo
Karl Kerenyi); da fisici come
Oppenheimer e
Pauli ad artisti del calibro di
Hermann Hesse e
James Joyce; e ancora astrologi (tra tutti
Andrè Barbault) e promotori culturali come
Olga Fröbe-Kapteyn, animatrice e mecenate degli incontri di
Eranos.Non vanno sottovalutate neppure le lettere a interlocutori anonimi, con cui
Jung si intrattiene senza alterigia e con passione non inferiore a quella che profonde nel dialogo coi "grandi".
Quello che traspare da questo epistolario è una costante tensione etica, che lascia intravedere come
Jung non considerasse il lavoro analitico concluso nelle quattro mura dello studio professionale.
Vi sono, in questo senso, i germi del futuro continuatore
James Hillman e della sua preoccupazione per la terapia dell'
anima mundi.
Si nota inoltre una dimensione autenticamente interdisciplinare di
Jung: la stessa che lo conduceva in spericolate ma preziose amplificazioni nell'interpretare il materiale analitico. Da questo punto di vista, vediamo all'opera un costante spirito di ricerca, sempre guidato da un'istanza empirica e mai dogmatica.
Come si legge in una lettera destinata nell'autunno
1944 al teologo cattolico
H. Irminger: "
Mio egregio Signore! Io pratico la scienza, non l'apologetica o la filosofia, e non ho né la capacità né la voglia di fondare una religione. Il mio interesse è scientifico e il suo confessionale [...] Come scienziato devo guardarmi dal credere di essere in possesso di una verità definitiva [...] Non ho alcuna ambizione di professare o di sostenere qualsivoglia fede. A me interessano esclusivamente i fatti".
Luigi TurineseIn foto: "Gli strumenti dell’amanuense"Recensione apparsa nella rubrica "Recensioni" della Rivista di Psicologia Analitica, Nuova serie, n.23, Volume 75/2007,"Tracce di Jung", pagg. 157-58