"La notte è di fondamentale importanza per un praticante, perché metà della vita la trascorriamo dormendo; spesso però sprechiamo la totalità del tempo del sonno ... Bisogna essere realmente consapevoli che la pratica può continuare in qualsiasi circostanza, persino durante il sonno o mentre si mangia, ad esempio" (pag. 41).
Lo Dzochen, tradizione in cui Norbu è maestro, sostiene che " ... la chiave del lavoro sul sogno è lo sviluppo di una maggiore consapevolezza dello stato del sogno" (dall'Introduzione di Michael Kate, pag. 28).
Norbu distingue i sogni comuni, prodotti da tracce karmiche, dai "sogni di chiarezza", riferiti a " ... una classe di esperienze oniriche che hanno favorito l'evoluzione del progresso culturale e religioso dell'umanità" (pag 27 dell'Introduzione).
Si capisce l'importanza di ricordare i sogni, soprattutto quelli del secondo tipo.
Le tecniche tibetane di cui Norbu è maestro insegnano a rimanere nello stato cosiddetto di luce naturale, in cui si mantiene la piena coscienza e si può quindi stare in contatto con i sogni. Norbu sottolinea poi l'analogia tra lo stato della luce naturale, " ... che va dal momento in cui ci si addormenta fino a quando la mente riprende a funzionare" (pag. 42) - cioè a sognare -, e le esperienze che si hanno al momento della notte.
Le tecniche in questione, d'altra parte, non hanno uno scopo fisiologico - sebbene Norbu faccia una piccola digressione a beneficio degli insonni - quanto piuttosto soteriologico, essendo per il buddhismo massimamente importante restare il più possibile consapevoli.
Luigi Turinese
Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XV, n.59, Luglio-Settembre 1996
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