Piazza N. Longobardi 3, 00145 Roma tel 06 51607592
"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

domenica 6 novembre 2011

LE FORME ESTREME DI MANIPOLAZIONE CORPOREA TRA PERVERSIONE E OCCASIONE INDIVIDUATIVA

LE FORME ESTREME DI MANIPOLAZIONE CORPOREA TRA PERVERSIONE E OCCASIONE INDIVIDUATIVA

di Luigi Turinese

I
Questo lavoro necessita di una premessa, senza la quale alcuni passaggi sarebbero poco comprensibili.
Innanzitutto, nelle pagine che seguono terrò sempre presente che la psiche tende verso l’individuazione come per un suo istinto costitutivo, e che questo fatto si rivela anche nei comportamenti che si sarebbe tentati di classificare come patologici.
Inoltre, penso con Rudolf Otto (Otto 1936) che il sacro costituisca una categoria “a priori” dell’esperienza umana; e che esso stia sempre sullo sfondo delle esperienze di uscita dal tempo inteso come Cronos.
Di tali esperienze l’uomo ha bisogno proprio in funzione del suo istinto individuativo e vi può accedere fondamentalmente attraverso tre vie: la via estatica, propria dell’esperienza mistica, la quale può darsi anche al di fuori di percorsi religiosi confessionali; la via estetica, come si configura nell’arte, praticata o fruita, ma anche nelle esperienze di assorbimento nell’ambiente naturale; la via erotica, che comprende la ricerca psicologica che accompagna l’esperienza amorosa svincolata dai suoi aspetti biologici e riproduttivi. In tutti e tre i casi il corpo è centrale, non solo per l’ovvia constatazione del suo accompagnare e consentire l’esperienza; ma soprattutto perché tutte e tre le vie sopra menzionate conducono il corpo a percepire, cercando di trascenderla o addirittura di forzarla, la condizione del limite.

II

Per forme estreme di manipolazione corporea intendo quella gamma eterogenea di esperienze che, perseguendo il superamento del limite, attingono stati alterati di coscienza. E’ il caso delle esperienze sciamaniche o di meditazione profonda, sulla cui liceità nessuno oserebbe pronunciarsi in quanto per così dire autogene; ma anche di tutte quelle modificazioni inflitte al corpo artificialmente, che vanno dalle perfomances di body-modification (piercing, tatuaggi, scarificazioni, marchiature a fuoco) alle pratiche di sesso estremo, che trattano il corpo come “la più ricca macchina da apprendimento sensoriale del mondo” (Cooper 1995, 6).
In tutti questi casi, la disciplina corporea arriva a ridefinire le categorie di spazio-tempo, esplorando opportunità sensitive e cognitive che mirano a percepire possibilità inesplorate del nostro campo energetico. Il punto di vista che intendo sostenere è che i processi trasformativi indotti dalle tecniche autogene, così come quelli derivati da pratiche che una psicologia normativa definirebbe perverse, appartengono alla medesima area; la comprensione di questo fatto è possibile soltanto a patto che una “psicologia delle buone opere” faccia posto a una psicologia consapevole dell’Ombra: abbiamo bisogno anzi di quella che, con un provocatorio slittamento semantico, potremmo chiamare una psicologia perversa, se ci teniamo al significato del latino pervertere = sconvolgere, rivoltare completamente, mettere sottosopra.

Allora le forme di manipolazione corporea appaiono come delle immagini pervertite che hanno la funzione di alterare il punto di vista diurno, mettendoci in contatto con parti d’Ombra la cui consapevolezza allarga il nostro campo di coscienza. Come scrive Thomas Moore, “un’immagine pervertita può essere considerata uno dei ‘simboli della trasformazione’” (Moore 1990, 107). Sotto questa luce, le immagini erotiche perverse costituiscono un’evocazione dell’Ombra, indispensabile per superare l’innocenza, con la sua negazione degli aspetti ambivalenti della passione amorosa. Appare a questo punto meno difficile seguire Roland Barthes quando paragona le claustrofobiche cerimonie di Sade con gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola. La stanza dell’analisi, d’altra parte, è la segreta in cui si chiama in causa l’Ombra e in cui viene evocato l’aspetto ctonio della psiche: tutto questo, incluse le regole rituali del setting, si svolge sotto il segno di Saturno.


III
Sacro: “ciò che è pieno della presenza divina”; ma anche “ciò che è proibito al contatto con gli uomini”. Il sacro dunque, puro e contaminato al tempo stesso, è il luogo dell’ambivalenza. Al contatto col sacro, per la sua pericolosità, sono preposti uomini, luoghi e tempi separati, mentre la vita di ogni giorno si svolge fuori dal tempio, ovvero pro-fanum: nasce così la categoria del profano. Chi ha contatti col sacro è portatore di poteri misteriosi (mana) e viene perciò connotato dal taboo, termine polinesiano che rivela il carattere misterioso e perturbante di chi ne è toccato. L’essenza del sacro risiede nel numinoso (Otto 1936), nel cui ambito Jung fa rientrare l’esperienza degli archetipi (Jung 1938-1940; 1951).

Dunque lo sfioramento del sacro non è esperienza consolatoria, come invece lascerebbero presupporre certe zuccherose semplificazioni confessionali. Il sentimento religioso nasce anzi dalla consapevolezza dell’insufficienza creaturale e reca con sé un angoscioso sentimento di dipendenza: si comprende come l’esperienza erotica piena ne costituisca la figura più prossima, fatto che è ben attestato dalla frequenza di metafore erotiche ricorrenti nella letteratura mistica. Di fronte al mysterium tremendum et fascinans del manifestarsi del numinoso, l’io si fa piccolo. Il numen desta il tremor: si pensi all’ira di Jahwè, incalcolabile e arbitraria. Il numinoso è terrificante, misterioso, sublime: per questo respinge e attrae.

Ogni manifestazione del sacro (ierofania) ne rivela una modalità. Qualsiasi cosa può divenire ierofania nel momento stesso in cui cessa di essere un semplice oggetto profano e acquisisce la nuova dimensione della sacralità. “Il sacro si manifesta in un oggetto profano. […] Questa paradossale coincidenza del sacro e del profano, dell’essere e del non-essere, dell’assoluto e del relativo, dell’eterno e del divenire, è quanto rivela ogni ierofania” (Eliade 1948, 35). E ancora: “Ogni ierofania mostra, manifesta la coesistenza delle due essenze opposte: sacro e profano, spirito e materia, eterno e non-eterno. […] Ogni ierofania è soltanto un tentativo fallito di rivelare il mistero della coincidenza uomo-Dio” (Eliade 1948, 36). Dunque ogni ierofania è la manifestazione di una coincidentia oppositorum.

L’uomo sembra avere l’esigenza di prolungare quanto più è possibile la ierofanizzazione del mondo e perciò lo ammanta di significati simbolici. “Mentre una ierofania presuppone discontinuità nell’esperienza religiosa (dialettica sacro-profano), un simbolismo attua la solidarietà permanente dell’uomo con la sacralità” (Eliade 1948, 464). Il simbolo, pertanto, trasforma gli oggetti in una cosa diversa da ciò che appare ad occhi profani. Si pensi alla forte valenza simbolica che si manifesta nell’innamoramento: quella persona non è ciò che appare al mondo ma, ai miei occhi, è portatrice di mana. Si tratta di un fenomeno che più prosaicamente è descritto da Freud quando scrive che nell’innamoramento “ci ha colpito fin dall’inizio il fenomeno della sopravvalutazione sessuale, il fatto cioè che l’oggetto amato sfugga entro certi limiti alla critica […]. La tendenza che qui falsa il giudizio è quella dell’idealizzazione” (Freud 1921, 300).

Su questa linea, si può notare come l’occidentale secolarizzato abbia difficoltà a riconoscere il sacro fuori dalle forme storiche e confessionali delle religioni organizzate, chiamando in causa le categorie della superstizione, del feticismo o, nel migliore dei casi, del panteismo. Tuttavia, la storia dei fenomeni religiosi ci apre alla varietà delle ierofanie; si pensi ai riti vegetali e alla concezione sacrale della vegetazione, che va dai miti che la riguardano alla concezione dell’ Albero della Vita (Jung 1945/1954), fino all’amorevole cura di chi accudisce le piante in un modo che – a torto – si pensa laico. Se qualsiasi cosa può divenire ierofania, possiamo arrivare a considerare la vita e il mondo in cui essa si svolge come una manifestazione del sacro: il divenire, una volta assunto questo punto di vista, non è più una storia ma una ierofania.
Ci si guardi, allora, dal laicismo, poiché “[…] la tendenza a cancellare il sacro […] prepara il ritorno surrettizio del sacro, in una forma non trascendente, bensì immanente, nella forma della violenza e del sapere della violenza” (Girard 1972, 417-418). Affermazione cui fa eco Thomas Moore: “Quando la cultura diviene piatta e l’animismo lascia spazio al razionalismo, la violenza e il sesso rimangono a fare da tramiti per il divino” (Moore 1990, 155).

IV
Abbiamo visto come, nei confronti del sacro, gli uomini subiscano un doppio movimento: l’uno, regolato dai divieti, di terrore; l’altro di attrazione, e siamo nel territorio della trasgressione. Qui si situa a buon diritto un discorso sull’erotismo. Infatti l’essenza dell’erotismo risiede proprio nella combinazione tra piacere e divieto, e in questo contrasto, denso di desideri e di inquietudini, c’è un elemento sacrale. Seguendo Bataille, consideriamo l’essere umano costitutivamente connotato da un elemento di discontinuità e perennemente tormentato dalla nostalgia dell’unità perduta (Bataille 1957). Come si vede, non siamo così lontani dal tema del Simposio platonico, con la sua immagine dell’Uomo Rotondo originariamente scisso dall’invidia del dio.

Ora, è come se l’erotismo tentasse di ricomporre la discontinuità attraverso la dissoluzione dell’essere chiuso: il guscio della monade deve frantumarsi. Non casualmente, di chi indulga al piacere dei sensi si dice che meni vita dissoluta. Nell’erotismo la vita discontinua è sconvolta al massimo grado.
Nel perseguire la fusione di due esseri per loro natura irrimediabilmente discontinui, l’amore ci consegna all’angoscia. Il significato ultimo dell’erotismo è la soppressione del limite e perciò stesso chiama la morte, che del limite è la negazione definitiva. L’unione di due amanti apre alla totalità, laddove la minaccia sempre incombente della separazione, con il suo plumbeo richiamo alla natura discontinua dei due esseri, mantiene la piena coscienza dell’unione e della sua essenza insieme profonda e fragile. L’esperienza erotica è perturbante perché tocca il mondo infero. C’è, nell’erotismo, un vertiginoso desiderio di perdersi, e questo fatto lo approssima alla morte.

Nel cosiddetto sesso estremo, accezione larga che comprende esperienze sessuali che esplorano i limiti sensoriali attraverso quelli che potremmo chiamare rituali dell’eccesso, alcuni dei temi citati vengono per così dire visti alla moviola. Si tratta certamente di comportamenti che sarebbe legittimo includere nel capitolo della psicopatologia sessuale. Ma sarebbe riduttivo e forse anche difensivo, se è vero – come sostiene Guggenbühl-Craig – che “l’ombra, […] il lato oscuro e distruttivo, può essere sperimentato attraverso la sessualità” (Guggenbühl-Craig 1973, 549). Nel processo di individuazione, infatti, occorre prendere contatto con l’Ombra e con le polarità Anima/Animus; e nella vita psichica tutto, anche la cosiddetta psicopatologia, concorre all’individuazione.

Così le immagini perverse mettono in contatto con l’Ombra; mentre le fantasie sessuali e le pratiche sessuali non procreative, che giocano nella vita degli esseri umani una parte senza dubbio superiore a quella occupata dalle pratiche cosiddette normali, sono altrettanti modi di entrare in relazione con la fenomenologia Anima/Animus. Vista così, “la psicopatologia non significa più lo studio delle forme inferiori della vita psichica ma lo studio delle variazioni nel processo di individuazione” (Guggenbühl-Craig 1973, 555).

Allora c’è un telos in ogni sintomo, e non è azzardato riferire certi aspetti del sadomasochismo (S/M) al tentativo di esperire il lato oscuro di Dio. D’altra parte, la resa è la vera essenza dell’atteggiamento religioso; non per caso muslìm è “colui che si abbandona a Dio”, mentre Islàm significa “abbandono” e anche “sottomissione”. Sottomissione a Dio, certo; ma per estensione sottomissione alla vita. E azzardiamo che la sottomissione all’altro, che ha tanta parte nei vincoli dell’eros, muova dalla stessa area esperienziale che permette la sottomissione all’Altro caratteristica del sentimento creaturale.
La schiavitù fa parte del desiderio, qualunque ne sia l’oggetto. Non fa meraviglia sapere che, nell’antica Grecia, le statue delle dee venivano legate e liberate ritualmente dalla sacerdotessa del tempio. D’altra parte, in certe esperienze di sesso estremo che implicano un certo grado di deprivazione sensoriale si giunge a percepire l’abbandono e il superamento del guscio egoico. Anche il porsi come cosa nelle mani dell’altro, aspetto centrale dell’universo S/M, comporta uno svuotamento dell’ego. Così come la sospensione dell’atto sessuale in un perenne “presente eccitatorio”, tipico di certe esperienze S/M, ricorda l’enfasi tantrica sulla ritenzione del seme e certe descrizioni del Vuoto del buddhismo Mahayana.

Nel feticismo, poi, si realizzano una sospensione di tutti gli scopi e un annullamento della soggettività, il feticcio ponendosi come memento religionis o addirittura come memento dei (Perniola 1994).

Non stiamo evidentemente facendo l’apologia di una sessualità senza vincoli; al contrario, il fatto che le vette dell’esperienza erotica rientrino nella fenomenologia del sacro e che comportino di conseguenza un pericoloso contatto con il mana implica che non si tratta di promuovere una nuova forma di liberazione sessuale. Non a caso il movimento che fa riferimento al sesso estremo parla di erotismo antagonista, usa una cornice teorica molto sofisticata che fa riferimento alla cultura cyber, insiste sul senso di appartenenza a una comunità: crea insomma un témenos, mancando il quale si rischierebbe di venire invasi dalla dimensione sacrale: per usare un linguaggio psicologico, si entrerebbe in una dimensione inflazionata.

V
Cyber è un termine usato per lo più come prefisso in parole composte che rimandano alla cibernetica, “scienza interdisciplinare che studia il funzionamento e le relazioni di qualsiasi sistema dinamico semplice o complesso, prodotto dalla natura o dall’uomo. […] Alla base di tale orientamento c’è la convinzione che molti dei fenomeni di cui si occupano le varie scienze […] si fondano sui medesimi principi di funzionamento che governano tutti i tipi di sistema, al di là della dicotomia tra naturale e artificiale” (Galimberti 1992, 167).
Il settore della cibernetica che più ci interessa è lo studio dell’interfacciamento tra le modalità comunicazionali del cervello umano e le capacità funzionali e comportamentali delle macchine. Nell’universo cyber, l’elemento umano rimane il momento centrale. La multimedialità, che ne è lo strumento, sta introducendo un nuovo paradigma cognitivo, paragonabile a quello che deve essersi creato con il passaggio dall’oralità alla stampa e con l’invenzione del telefono; quest’ultima fu responsabile della prima importante modificazione dei rapporti umani, inaugurando la possibilità di rapporti a distanza, in cui il corpo viene assorbito dalla voce. Il paradigma cognitivo creato dalla multimedialità porta a una riconfigurazione sensoriale, con l’immissione in quella che con potente ossimoro è stata definita realtà virtuale. Si assiste così a un’ulteriore abbattimento del confine tra natura e cultura.

Il virtuale è il reale meno lo spazio e il tempo”. Ho trovato questa illuminante definizione in un sito Web intitolato “Atlante del cyberspazio”, un affascinante tentativo di creare un atlante della rete. All’interno delle chat, i cybernauti esprimono aspetti di sé che rimandano alla psiche “plurale”, termine (Samuels 1989) che preferisco a quello di personalità multipla, troppo connotato da una stigmata psichiatrica: ogni partecipante mette in campo degli alias, veri e propri alter ego virtuali. Il cybersex, di cui tanto e tanto a sproposito si è favoleggiato, è un momento di esplorazione delle proprie pulsioni meno esperite e di ridefinizione dei criteri di genere.

Una ricerca di alterazione sensoriale era contenuta, a ben vedere, nella ricerca etno-teatrale di Antonin Artaud (1896-1948), che esplorò la trance nel teatro balinese. Il moderno primitivismo dei raduni rave, attraverso l’uso massiccio di musica techno e di droghe, persegue analoghi stati di trance, con tutti i rischi connessi a un témenos dai confini incerti.


L’accenno ai raves impone un’incursione nel neo-tribalismo, che spinge molti giovani verso una svariata gamma di modificazioni corporee: forme reversibili come i mehndi – decorazioni realizzate con l’henné – e il body-painting; e forme estreme come tattoos, piercing, scaring, branding.

Sono espressioni della Body Art, che “[…] sarebbe oggi […] l’ultima frontiera per ritrovare l’autenticità dell’esperienza e, attraverso le sofferenze fisiche, riappropriarsi della spiritualità non mediata” (Calamandrei 2000). La Body Art comprende anche l’attività della francese Orlan, le cui performances consistono nell’esporre il proprio corpo chirurgicamente modificato; o del cipriota Stelarc, che si sospende nel vuoto appeso ad uncini conficcati nella pelle, ingoia sonde endoscopiche per mostrare l’interno del proprio corpo e – vero cyborg – danza con una protesi robotica consistente in un braccio aggiunto. “Di fronte a questi scenari fantascientifici le teorie analitiche con le loro zone erogene, la libido, i sintomi somatici ecc… impallidiscono e appaiono tentativi ingenui di rincorrere una realtà più veloce delle fantasie stesse” (Liotta 1995, 160).

Parlando di modificazioni corporee estreme, vere e proprie mutilazioni, si può fare un richiamo pertinente ai riti di iniziazione, che hanno lo scopo di rompere i legami primari mediante quelle che sono state definite cerimonie della seconda nascita (Bettelheim 1962).

VI
Golem è una rivista telematica che annovera tra i suoi fondatori Umberto Eco. Nel numero 21, gli psichiatri Franca Pezzoni e Giacinto Buscaglia hanno messo in rete un articolo dall’eloquente titolo “Riti antichi, moderne usanze”. Vi si pone in relazione cybernavigazione e riti dionisiaci, confrontando criticamente le analogie tra quanto avviene nelle comunità virtuali e quanto avveniva nei riti dionisiaci. Gli Autori elencano alcuni punti di contatto, che riporto di seguito:
• Limitazioni dell’esperienza sensoriale.
• Anonimato e assunzione di altre identità.
• Parificazione dello status sociale.
• Ampliamento dei limiti spazio-temporali.
• Alterazione dello stato di coscienza.
• Accesso a relazioni multiple.
• Dipendenza.
• Proselitismo ed epidemia.
• Trasgressione.
• Resistenza.
(Pezzoni e Buscaglia 1999).

Come al solito, dunque, il (dio) rimosso ritorna.
La gran parte dei fenomeni descritti nel presente lavoro rientra in effetti nella fenomenologia di Dioniso, con delle sfumature saturnine date dall’ossessiva ritualità e da un certo sapore “dark”. Abbiamo visto come l’erotismo promuova l’uscita dal tempo e dall’Io; allo stesso modo, Dioniso spersonalizza, assottigliando la cesura tra l’Io e l’ambiente. Dioniso, in verità, sfuma i confini che regolano la dialettica delle coppie polari: bene/male; maschile/femminile; piacere/sofferenza; conscio/inconscio; in ultima analisi vita/morte. Le droghe, soprattutto quelle allucinogene, gli appartengono, a cominciare da quella droga collettivamente accettata e pertanto addomesticata che è il vino. Ne deriva che ogni fenomenologia di Dioniso è toccata dalla mania. Come dice Socrate nel Fedro (244 D):“La mania che proviene dal dio è migliore dell’assennatezza che proviene dagli uomini” (Platone 1991, 554).

Tra le caratteristiche che apparentano i cybernauti e i dionisiaci, come abbiamo visto, c’è l’epidemia. Ora, epidemìa era detto il rumoroso ingresso con cui una combriccola di ragazzi ubriachi e travestiti da donna entrava nei villaggi durante le feste dedicate a Dioniso (Zolla 1998): l’ebbrezza vi trovava posto insieme a una confusione di genere che richiama alla mente il moderno transgender (Helena Velena 1995).
Feste segrete triennali celebravano Dioniso nell’Ade. Era l’occasione per flagellare le menadi, baccanti divine al seguito di Dioniso. Persistenze di queste cerimonie si ritrovano nel Medioevo e in particolare nel movimento dei flagellanti che dal ‘200 all’ inizio del ‘400 attraversò l’Europa in un fragile equilibrio tra ortodossia ed eresia. “Nel maggio del 1260 […] non si sentono più risuonare se non canti lugubri, scanditi dai colpi di frusta, che proseguono tutta la notte, alla luce delle torce” (Magli 1977, 81-82).

Sembra veramente di assistere a una saturnizzazione di Dioniso. L’accento sul sangue, equivalente del vino caro a Dioniso e simbolo di vita, è molto forte. D’altra parte, la trasformazione dell’acqua in vino (Giovanni 2, 1-11) è un miracolo dionisiaco, come attesta Pausania. La Festa dei Folli, il risus paschalis, molti aspetti del carnevale sono altrettante sopravvivenze dei culti dionisiaci. In Francia, all’inizio del carnevale, veniva incoronato un Papa dei Folli e si svolgeva la Festa degli Innocenti, nel corso della quale, per di più in chiesa, venivano rappresentate parodie della liturgia ecclesiastica. All’aperto, i giovani tagliavano rami freschi con i quali frustavano le ragazze: l’iniziazione della puella, che attraverso una sofferenza non priva di valenze erotiche conosce un’attenuazione dell’innocenza, richiama fortemente l’immagine della solenne iniziazione dionisiaca del celebre affresco pompeiano della “Villa dei misteri”.

In generale, gli elementi erotici sono molto forti nel culto di Dioniso. “Le erme dionisiache recano un membro proteso e questo è esibito durante le processioni. Satiro (sathêritos) voleva dire membro gonfio […]. Si rammenti infine che tralcio di grappoli, oschos, vuol dire anche scroto” (Zolla 1998, XXXI). “La cristiana malizia di Clemente Alessandrino ricorda Dioniso come choiropsàles, ‘colui che tocca la vulva’: anzi, che sa farla vibrare con le dita come le corde di una lira” (Calasso 1988, 60). Tuttavia, come d’altra parte avviene nella vita, questa capacità non procede da un accentuato maschilismo bensì da una felice integrazione del femminile. “[…] Dioniso è il dio che ha suprema familiarità con le donne. […] Dioniso è l’unico dio a cui non occorre mostrarsi virile, neppure in guerra. Quando il suo esercito muove verso l’India, somiglia a un clamoroso corteo di ragazze” (Calasso 1988, 59-60). Non a caso “Dioniso fa della donna la guida del tìaso” (Zolla 1998, XXIII).

VII
Tutti gli eterogenei fenomeni di cui ci siamo finora occupati hanno a che fare con la categoria del sublime. Come ci insegna Kant nella “Critica del giudizio” il sublime, al contrario del bello, non dipende dalla forma e apre perciò all’illimitato. Esso è infatti un mezzo di espressione del numinoso, come il misterioso e il terrificante.
Il mostruoso mette in connessione erotismo e religiosità. La letteratura gotica è pervasa da una sottile connessione tra erotismo e paura sotto il segno del sacro. La paura è un’emozione primaria e, come tale, è un evento archetipico. L’angoscia, che è paura senza oggetto, è connessa al desiderio: entrambi sono nuclei gemelli dell’archetipo di Pan, il dio che, una volta assunto nell’Olimpo, soprattutto da Dioniso, non a caso, viene accolto con più gioia. “Essere senza paura […] significherebbe perdita dell’istinto, perdita di connessione con Pan” (Hillman 1972, 73). Hillman parla perciò, non senza ragione, di una “via terapeutica della paura” (Hillman 1972, 74). Rimanendo in contatto con la paura, infatti, si incontra il numinoso. “Essa (la paura, n.d.A.) è presente anche ogniqualvolta l’uomo si trovi dinanzi all’epifania del mistero, dinanzi all’evento della vita che nasce e a quello della morte” (Carotenuto 1997, 118).

VIII
La cultura, come insegna l’antropologia culturale, è una fitta rete di significati, di valori, di costumi, di norme; è un modello d’insieme in cui tutti gli elementi sono interconnessi secondo una struttura coerente. Questa visione gestaltica consente di non studiare separatamente gli elementi costitutivi di una società, e permette di comprendere come, nel contesto culturale, nessun elemento sia privo di senso, ma riconducibile alla trama globale.

E’ con questo spirito che ho voluto affrontare un tema impervio come quello del rapporto, non facile da apprezzare, tra pratiche corporee ai limiti del patologico, e a volte francamente pornografiche, e ricerca del sacro. Ho cercato da una parte di sottrarre al sacro la consueta patina dolciastra che secoli di convenzionalismo religioso hanno contribuito a depositare, con l’avallo di tutta la contemporanea paccottiglia New Age: restituendogli così la tremenda forza di cui è costitutivamente provvisto; dall’altra di trovare un senso a una zona d’ombra del comportamento umano, all’interno della quale mi è sembrato di scorgere un tentativo del sacro di liberarsi dai vincoli di un razionalismo privo di luce: un po’ come succede alle radici di quegli alberi che, soffocate dalle necessità di una strada asfaltata, erompono poco più in là testimoniando una drammatica volontà di vita.

Perché se “ogni disturbo nevrotico è un tentativo di adattamento” (Langs 1973-74, 145), ogni disturbo dell’archetipo è un tentativo di individuazione.
La verità profonda è che, come afferma Eliade, “l’assoluto non si può estirpare, può soltanto degradarsi” (Eliade 1948, 451).

Luigi Turinese


In foto: "Angolo retto"

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

BATAILLE, G.: L’erotismo, (1957), ES, Milano 1991.
BETTELHEIM, B.: Ferite simboliche, (1962), Bompiani, Milano 1996.
CALAMANDREI, M.: Quasi quasi mi faccio a fiori, Il Sole 24 ORE, Milano 23/01/2000.
CALASSO, R.: Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, Milano 1988.
CAROTENUTO, A.: Il fascino discreto dell’orrore, Bompiani, Milano 1997.
COOPER, R. W.:Sesso estremo, Castelvecchi, Roma 1995.
ELIADE, M.: Trattato di storia delle religioni, (1948), Boringhieri, Torino 1976.
FREUD, S.: Psicologia delle masse e analisi dell’Io, (1921) in Opere, Boringhieri, Torino 1977, vol. IX.
GALIMBERTI, U.: Dizionario di psicologia, Utet, Torino 1992.
GIRARD, R.: La violenza e il sacro, (1972), Adelphi, Milano 1980.
GUGGENBÜHL-CRAIG, A.:”Psicologia junghiana e psicopatologia sessuale”, in Rivista di Psicologia Analitica, Marsilio, Padova 1973, n° 2.
HELENA VELENA: Dal cybersex al transgender, Castelvecchi, Roma 1995.
HILLMAN, J.: Saggio su Pan, (1972), Adelphi, Milano 1977.
JUNG, C. G.: Psicologia e religione, (1938/1940), in Opere, Boringhieri,Torino 1979, vol. XI.
JUNG, C. G.: Aiòn: ricerche sul simbolismo del Sé, (1951), in Opere,Boringhieri, Torino 1982, vol. IX, 2.
JUNG, C. G.: L’albero filosofico, (1945/1954), in Opere, Boringhieri, Torino 1988, vol. XIII.
LANGS, R.: La tecnica della psicoterapia psicoanalitica, (1973/1974), Boringhieri, Torino 1979.
LIOTTA, E.: “Tra mente e corpo: rispecchiamenti e risonanze nella creatività”, in Rivista di Psicologia Analitica, Astrolabio,Roma 1995 MAGLI, I.: Gli uomini della penitenza, Garzanti, Milano 1977.
MOORE, T.: Il lato oscuro dell’eros, (1990), Lyra libri, Como 1998.
OTTO, R.: Il sacro, (1936), Feltrinelli, Milano 1966.
PERNIOLA, M.:Il sex appeal dell’inorganico, Einaudi, Torino 1994.
PEZZONI, F. – BUSCAGLIA, G.: “Riti antichi, moderne usanze”, in Golem, www.rivistagolem.com, 1999, n° 21.
PLATONE: “Fedro”, in Tutti gli scritti (a cura di G. Reale), Rusconi, Milano 1991.
SAMUELS, A.: La psiche al plurale, (1989), Bompiani, Milano 1994.
ZOLLA, E.: Il dio dell’ebbrezza, Einaudi, Torino 1998.

Saggio pubblicato su: "Il male. Categoria morale, patologia psichica, realtà umana", a cura di C. Widmann, Ed. MA.GI., Roma 2009, pp. 137-151

e in:
"Passione e vita psichica", "Rivista di Psicologia Analitica", Nuova serie n.21, 73/2006, pp. 119-131 dove appare con l'esergo: "Almeno nella vita dello spirito, le avventure andrebbero portate fino in fondo"(N.O. Brown)

Nessun commento:


Libri di Luigi Turinese

Luigi Turinese Cantautore

Luigi Turinese Cantautore
Clicca sull'immagine per scoprire la sua musica, i suoi concerti, i suoi CD