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"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

giovedì 3 novembre 2011

Le Recensioni di L.T. - "C.G. Jung. Immagine e parola", (a cura di) A. Jaffé

Aniela Jaffé (a cura di): "C.G. Jung. Immagine e parola", Edizioni Magi, Roma 2003, pp. 242

Dobbiamo essere grati alle Edizioni Magi per questo commovente omaggio a Jung, la cui originalità risiede nel felice connubio tra le molte immagini – tratte dalla mostra organizzata a Zurigo in occasione del primo centenario della nascita (1975) – e testi, in parte inediti, ricavati soprattutto dalle lettere e da Ricordi, sogni, riflessioni.

L’imponente lavoro di montaggio si deve ad Aniela Jaffé, nelle cui fedele mani Jung aveva depositato il prezioso lascito di RSR.
Il libro è organizzato in diciannove capitoli, un’appendice nella quale viene descritta la personalità di Jung, una cronologia e un glossario. Ogni capitolo contiene una scelta di testi essenziali per comprendere il relativo tema e una raccolta di immagini, fotografie, disegni atti a completarne il profilo.

Ne viene fuori un ritratto del ricercatore svizzero abbastanza esaustivo, forse un poco agiografico, tenuto conto del fatto che si è scelto di trascurare gli aspetti d’ombra e problematici; cosa abbastanza comprensibile, tuttavia, se si ricorda l’occasione per la quale la mostra fu organizzata. Inoltre, il volume ha il sapore di un omaggio amoroso giustamente idealizzante e devo dire che semplicemente sfogliarlo dà una certa emozione a chi Jung lo ama, oltre a considerarlo il fondatore della Psicologia Analitica.
Vedere un destino che si annuncia, si dipana e infine si compie dà sempre una certa emozione; e questo è il fascino delle biografie, per chi si dia la pena di provarlo. Nel caso di Jung, poi, vi è una tale corrispondenza tra la sua vita e le sue costruzioni teoriche che non è retorico parlare, a proposito di questo volume, di un documento di individuazione.

È difficile dare conto dei capitoli più interessanti. Il libro inizia significativamente dai nonni – con la nota leggenda che vuole il nonno omonimo figlio naturale di Goethe – e prosegue con la giovinezza; vi ritroviamo un ragazzo introverso e al tempo stesso assai determinato, la cui presenza alle riunioni del circolo studentesco universitario Zofingia era così “rumorosamente” attiva da valergli il nomignolo di Walze (rullo compressore).
Un capitolo viene opportunamente dedicato alla tesi di laurea, nella scelta dell’argomento della quale (Psicologia e patologia dei cosiddetti fenomeni occulti) si ritrovano a ben vedere – sebbene ancora in nuce – alcuni dei temi che condurranno, cinquant’anni più tardi, agli studi sulla sincronicità.
È poi documentato il fondamentale soggiorno al Burghölzli, l’ospedale psichiatrico di Zurigo in cui vennero effettuati gli esperimenti di associazione e nell’alveo del quale maturò Psicologia della dementia praecox (1907). A questo proposito, merita notare il paradosso per il quale Jung, partito dall’esperienza del Burghölzli che lo costrinse a misurarsi – giovane psichiatra – con la schizofrenia, forse per una malintesa interpretazione della sua apertura nei confronti degli elementi a-razionali dell’esperienza ha finito per dar voce – malgrè lui – ad epigoni responsabili di zuccherosi sincretismi New Age.

I capitoli rispettivamente dedicati a Freud e ad Adler – significativo recupero – uniscono alla ricostruzione storica la rivalutazione del tema della tipologia psicologica, assurdamente rimosso in casa junghiana: è noto infatti che Tipi psicologici (1921) nacque dalla domanda : ”In che mi differenzio da Freud e da Adler?”.
I capitoli centrali del libro sono dedicati al fertile e drammatico confronto con l’inconscio, che diede luogo alle suggestive amplificazioni nella direzione delle filosofie orientali e dell’alchimia; da un ramo collaterale dell’interesse per quest’ultima derivarono le due conferenze su Paracelso, la cui genesi è ampiamente documentata.
Due capitoli legati alla tecnica riguardano rispettivamente i temi della psicoterapia e della traslazione, nei quali si conferma la profonda umanità di Jung, il suo modo di interpretare il ruolo del medico e il suo senso di responsabilità nel lavoro con i pazienti.
Il capitolo più lungo del libro – trenta pagine – è dedicato ai viaggi compiuti in Africa, in India, nelle Americhe; e che, se da una parte rivelano l’attitudine antropologica di Jung, dall’altra – o forse proprio in virtù di essa – spiegano il suo radicato sentimento di cristiano europeo. La conoscenza e il rispetto delle altrui tradizioni confermarono infatti Jung nella necessità di tenersi alla propria, senza annacquarla in impossibili sincretismi.

Bellissimo è il capitolo in cui si descrivono i Convegni Eranos, che si svolsero ad Ascona, sul Lago Maggiore, in un clima di interdisciplinarietà e di amore per la conoscenza; Jung vi tenne quattordici relazioni, la prima nel 1933 – anno inaugurale – e l’ultima nel 1951, anticipando i temi dello scritto sulla sincronicità, che fu pubblicato l’anno seguente.

Un lungo capitolo riguardante quella struttura in continua progressione che fu la torre di Bollingen – vero e proprio correlato in pietra dell’evoluzione spirituale di Jung – apre alle pagine finali del libro, nelle quali si rivela in tutta la sua essenza l’homo religiosus; poiché – sia detto chiaramente – non si può sperare di comprendere veramente Jung trascurando l’aspetto spirituale del suo lavoro. Su questo punto egli è molto chiaro: “Fra tutti i miei pazienti al di sopra della mezza età, non ce n’è stato uno solo il cui problema sostanziale non fosse quello del suo atteggiamento religioso; e nessuno è guarito veramente se non è riuscito a raggiungere un atteggiamento religioso”. Ancora: “L’interesse principale del mio lavoro non risiede nel trattamento delle nevrosi, ma nell’accostamento al numinoso. In effetti l’accesso al numinoso è la vera terapia, e nella misura in cui si arriva alle esperienze numinose si è salvati dalla maledizione della malattia. La malattia stessa assume un carattere numinoso”.

Che cos’altro dire di questo libro? Sentitamente commossi, ringraziamo.

Luigi Turinese

In foto: "Pianeta copta (particolare)"

Recensione apparsa su "La Perdita. Lutti e trasformazioni", "Rivista di Psicologia Analitica", "Nuova serie n.17, La biblioteca di Vivarium, 69/2004, pp. 191-192

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