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"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

martedì 5 luglio 2011

La psicologia dell'anziano e il suo stile di vita -

LA PSICOLOGIA DELL’ANZIANO E IL SUO STILE DI VITA
di Luigi Turinese



La patologia principale della vecchiaia è l’idea che ne abbiamo. Sono la nostra giovinezza e una cultura che deriva le sue idee dalla giovinezza che possono renderci morbosa la vecchiaia
J. Hillman, La forza del carattere

L’invecchiamento è un processo universale e irreversibile caratterizzato da una globale riduzione dei meccanismi di difesa, da perdita delle riserve funzionali e da una progressiva atrofia di organi e apparati. Nello scrivere “Senectus ipsa morbus est”, il commediografo latino Terenzio pronunciava una sentenza senza appello.

La letteratura gerontologica contemporanea distingue tre fasi, che corrispondono ad altrettanti cicli vitali:
1) Età presenile (45-65 anni)2) Senescenza graduale (65-75 anni)3) Senescenza conclamata (75-90 anni)

Naturalmente la semplice classificazione è bugiarda, se presa alla lettera. Infatti vi sono vecchi molto vitali e “presenili” decisamente scaduti; con un’infinità di varianti intermedie. Una buona dotazione genetica e soprattutto uno stile di vita che determina l’orientamento dei processi epigenetici fanno la differenza.
La qualità della vita si declina pertanto in molteplici possibilità; e l’assetto psicologico ha un’importanza notevole nel determinarla. Si deve riflettere sul fatto che, rispetto a un secolo fa, il numero di anziani tra i 65 e i 74 anni è aumentato di otto volte; mentre gli ultraottantacinquenni sono addirittura ventiquattro volte di più. In epoca romana, d’altra parte, l’età media era di trenta anni; il che giustifica ampiamente l’apparente pessimismo di Terenzio

Le principali discipline che indagano l’età senile sono la geriatria, che studia le malattie delle persone sopra i 65 anni allo scopo di mantenere e/o ripristinare un buon equilibrio funzionale; la gerontologia, ovvero la branca della medicina che studia la biologia e la fisiopatologia; la geragogia, che intende realizzare una psicopedagogia dell’invecchiamento, mettendo l’anziano in condizione di rimanere autonomo il più a lungo possibile attraverso l’organizzazione del suo ambiente e del suo stile di vita.

Le tre discipline operano in sinergia, ottemperando l’auspicio dell’O.M.S., che recita: “Il benessere dell’anziano deve essere valutato in termini di autosufficienza, più che di assenza di malattia”. A tale auspicato benessere concorrono la salute fisica, lo stato cognitivo-affettivo e il supporto sociale. Essi vanno presi in esame in un’ottica sistemica e non semplicemente come somma di elementi.
Nell’anziano sano, le operazioni logiche e concettuali rimangono valide e la capacità di adattamento conosce addirittura un incremento; laddove si registra una variabile ma sicura diminuzione delle facoltà di apprendimento e di memorizzazione.
Una buona notizia viene dalla plasticità del sistema nervoso, le cui capacità vicarianti sono ormai accertate. Esse dipendono tuttavia dalla presenza di stimoli e motivazioni ambientali, quali le interazioni transgenerazionali, l’opportunità di svolgere attività interessanti e creative e la possibilità di mantenere il proprio ambiente abituale: non c’è dubbio che anziani che vivono isolati oppure sradicati dal proprio ambiente vedano deteriorarsi rapidamente le proprie performances psicofisiche.

Come detto sopra, la memoria dell’anziano subisce un calo, soprattutto nella componente a breve termine (detta anche memoria di lavoro); mentre la memoria a lungo termine tende a conservarsi. Poiché la memoria è strettamente correlata all’attenzione e alla motivazione, esercizi di attenzione, elaborazione concettuale e mnemotecniche sono necessari al suo mantenimento in buono stato. Fattori di deterioramento sono, viceversa, una cattiva qualità del sonno e l’abuso di sostanze voluttuarie (alcool) e farmacologiche (anticolinergici e benzodiazepine).

Nell’età senile, il declino cognitivo è accelerato dalla presenza di malattie somatiche croniche, da un basso livello di istruzione, da una personalità rigida e, infine, dall’aumento del rapporto tra intelligenza cristallizzata e intelligenza fluida. L’intelligenza fluida, frutto dell’interazione di numerosi fattori (attenzione, concentrazione, capacità di astrazione, rapidità mentale, memoria, visualizzazione spaziale), è un tipo di intelligenza che permette di acquisire e utilizzare nuove informazioni. Essa si mantiene viva grazie alla presenza di interessi e al confronto con le giovani generazioni. In generale, il deterioramento cognitivo viene ritardato in misura anche notevole dall’apertura a nuove idee, da una personalità disponibile al cambiamento, dal mantenimento di attività culturali individuali e di gruppo (condivisione di musica, film, libri), da una buona condizione cognitiva degli altri membri della famiglia, da una soddisfacente realizzazione personale professionale, da elevati livelli di istruzione e di reddito e, last but not least, dall’assenza di malattie croniche importanti.


Il 20% degli anziani presenta sintomi depressivi ma soltanto uno su cinque viene curato correttamente. Si ricordi, a questo proposito, che una psicoterapia di sostegno è incomparabilmente più utile del ricorso a lungo termine alla terapia farmacologica.
A fronte di un certo declino della memoria e delle capacità di apprendimento, si è visto che l’anziano sano tende a sviluppare un pensiero dialettico e relativistico, una sorta di pensiero della complessità. La tradizionale saggezza attribuita agli anziani proviene da questo tipo di pensiero. Tuttavia non basta essere vecchi per essere saggi. “L’uomo che non ha imparato niente, che non ha capito niente, invecchia come un bue inebetito: il suo ventre aumenta sempre di più, ma non la sua saggezza(Dhammapada, 152).

Gli individui sedentari provano, col passare degli anni, un vero e proprio disagio ipocinetico: ne consegue un progressivo disinvestimento dall’attività motoria che partecipa al circolo vizioso di cui fa parte la sensazione di sentirsi vecchi. Viceversa, l’attività fisica costante – circa 30’ al giorno di attività aerobica non agonistica praticata a ritmo sostenuto – contribuisce al mantenimento di una buona salute psicofisica, con miglioramento dell’immagine corporea e indubbie benefiche ricadute socio-relazionali nel caso in cui le attività motorie siano gruppali. Oltre ai prevedibili effetti salutari sulla muscolatura, l’attività motoria svolge azione di protezione cardiovascolare, tramite la prevenzione della cosiddetta sindrome metabolica (1) ; inoltre il movimento promuove l’attività degli osteoblasti, contrastando l’osteoporosi, e migliora le capacità difensive attraverso un’azione diretta sul sistema immunitario. La riduzione globale del distress, la stimolazione intellettuale e il miglioramento del tono dell’umore testimoniano che i vantaggi dell’attività fisica, in verità, si riassumono in un miglioramento del cosiddetto network psiconeuroendocrinoimmunologico.

Nel complesso degli elementi legati allo scorrere dell’età, la sessualità riveste un ruolo non trascurabile, soprattutto oggi che la richiesta di performances giovanili in tutti gli ambiti si configura come una nuova nevrosi. Ricerche attendibili ci dicono che perfino uomini giovani e sani fanno ricorso a sildenafil o a tadalafil per ottenerne un effetto “dopante”, più che terapeutico; per non parlare dell’”obbligo” di rimanere giovani che affligge molte donne. L’efficienza sessuale di una persona sana si mantiene tale sino a 70 anni e oltre, purché la funzionalità fisiologica e il vissuto psicologico siamo armonici. Inoltre, la qualità della vita sessuale in età senile è in rapporto con quella che si è vissuta. Questo vale per tutti gli aspetti della vita, dal momento che la vecchiaia raccoglie il percorso esistenziale. Come scrive James Hillman in quel bellissimo libro che è La forza del carattere, dedicato alla vecchiaia: “Gli ultimi anni della vita confermano e portano a compimento il carattere”.

Procedendo verso le conclusioni, si potrebbe dire che la qualità della vita di un anziano sia in relazione con i seguenti cinque fattori:
1) Stato di salute complessivo. Bisogna sottolineare che la vita, procedendo, porta con sé una situazione di polipatologia e conseguentemente un bisogno di politerapia. A questo proposito, una particolar attenzione va posta alla posologia dei medicinali impiegati; oltre che alla revisione critica di politerapie spesso debordanti.
2) Possibilità di mantenere il proprio ambiente di vita.
3) Resilienza, vista come la capacità di affrontare le difficoltà della vita: in particolare, è importante la capacità di elaborare perdite e lutti.
4) Mantenimento di un atteggiamento positivo e propositivo.
5) Possesso di una visione “religiosa”, intendendo il termine in senso non confessionale.
Quest’ultimo punto mi sembra assai importante, perché collegato con la possibilità di lasciare aperto sino all’ultimo istante di vita un orizzonte di senso. Carl Gustav Jung lo dice molto bene; le sue parole mi appaiono una conclusione davvero appropriata al nostro tema: “Non è possibile vivere la sera della vita seguendo lo stesso programma del mattino, dato che ciò che sino ad allora aveva grande importanza ne avrà ora ben poca, e la verità del mattino costituisce l’errore della sera”.


Note:

(1) La sindrome metabolicaindice di rischio cardiovascolare – è definita dalla presenza di almeno tre dei seguenti elementi: circonferenza della vita (oltre i 102 cm. nel maschio, oltre gli 88 cm. nella femmina), ipertensione arteriosa, iperglicemia a digiuno, ipertrigliceridemia, bassi livelli di HDL

Luigi Turinese


In foto: "Supernatural light"

Bibliografia:
- Cesa-Bianchi, M. - Vecchi, T. (a cura di): "Elementi di psicogerontologia", FrancoAngeli, Milano 2005
- De Laudocette, O.: "Restar giovani è questione di testa" (2005), Feltrinelli, Milano 2007
- Hillman, J.; "La forza del carattere" (1999), Adelphi, Milano 2000
- Jung, C.G.; "Gli stadi della vita" (1930/1931), in "Opere", Vol. 8, Boringhieri, Torino 1976
- Sgalambro, M.: "Trattato dell'età", Adelphi, Milano 1999


La psicologia dell’anziano e il suo stile di vita” , in La cura del paziente anziano, Il Farmacista 2011, Tecniche Nuove, Milano 2011, pp. 17-21

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