Stephen Batchelor rappresenta molto bene l'esito di un incontro critico di un occidentale col buddhismo. Ordinato monaco nella tradizione tibetana quando era poco più che ventenne, si è distaccato da quella tradizione per non averne trovato risposta alle domande tipiche di una coscienza occidentale. "Per me, il fine del sentimento buddhista è la penetrazione nel mistero dell'essere, chiamato a nascere solo per essere gettato di nuovo nella morte. Di conseguenza, i termini che adotto per indicare il mio "fine" non appartengono alla terminologia tradizionale buddhista. Ritengo che i fini per i quali gli occidentali useranno il buddhismo costituiranno la maggiore differenziazione della sua forma occidentale dalle preesistenti tradizioni asiatiche" (pa. 15).
Era fatale che Batchelor fosse attratto, nell'ambito dell'universo buddhista, da quelle vie che accettano o addirittura incoraggiano il dubbio: il Ch'an e lo Zen.
Il libro in questione è stato abbozzato durante la permanenza dell'autore nel monastero di Songwang, in Corea, negli anni dal 1981 al 1984. Pertanto non si tratta di un saggio propriamente detto ma piuttosto del resoconto sincero di un'esperienza di ricerca tutttora in fieri, il cui unico punto fermo sembra essere la comprensione dell'inanità del rifugiarsi in qualsiasi sistema di credenza. "Costruirci un credo in una dottrina o in un maestro, o anche fondarlo sulla nostra personale esperienza, significa evitare la domanda e riparare in un guscio protettivo fatto di opinioni e di concetti. Continuare a porre la domanda significa rimanere aperti ed esposti, disponibili all'imprevedibiltà del momento. Questo interrogare non è ristretto all'investigazione intellettuale: è un impegno totale di mente e corpo".(pagg. 9-10).
Luigi Turinese
In foto: "Pergamena cinese"
Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo", Anno IX, n.33, Gennaio-Marzo 1990
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