Tsang Nyong Heruka, "I centomila canti di Milarepa", Edizioni Rassegna Culturale J.M., Roma 1989, pp. 289
Non c'è dubbio che, nel progressiovo diffondersi del buddhismo nell'ambiente occidentale un certo ruolo lo abbiamo giocato anche elementi folklorici, non filosofici, certamente più adatti a colpire l'immaginazione popolare e, pur nella fruizione innegabilmente superficiale, capaci tuttavia di veicolare un interesse iniziale. Tra questi elementi vanno annoverate le figure di santi e mistici, forse ancora più incisive perché vicine e al tempo stesso polari rispetto agli omologhi cristiani.
Milarepa, asceta tibetano vissuto nel XI secolo, ha assunto anche nel nostro Paese una popolarità tale da divenire protagonista di una pellicola cinematografica e da vedere la sua "Vita" stampata in decine di migliaia di copie.
Questi "Centomila canti", tradotti e curati con commovente partecipazione da Franco e Kristin Pizzi, completano in qualche modo la "Vita di Milarepa". Scritti nel XV secolo, comprendono numerosi capitoli in cui si avvicendano parti narrative e componimenti in versi; a questi ultimi è affidato il messaggio più "profondo" dell'opera.
Come dice efficacemente Giangiorgio Pasqualotto nell'incipit della sua bella Introduzione (pag. 17): "Se ci si dedica una prima volta alla lettura dei Canti di Milarepa si può restare colpiti ... dal numero degli eventi stupefacenti raccontati. Tuttavia, se non ci si lascia catturare da simili immagini, si può vedere come esse costituiscano la trama di una summa, tanto concentrata quanto efficace, dei principali insegnamenti del buddhismo".
Luigi Turinese
In foto: "Er Sahara de noantri"
Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo", Anno IX, n.34, Aprile-Giugno 1990
Non c'è dubbio che, nel progressiovo diffondersi del buddhismo nell'ambiente occidentale un certo ruolo lo abbiamo giocato anche elementi folklorici, non filosofici, certamente più adatti a colpire l'immaginazione popolare e, pur nella fruizione innegabilmente superficiale, capaci tuttavia di veicolare un interesse iniziale. Tra questi elementi vanno annoverate le figure di santi e mistici, forse ancora più incisive perché vicine e al tempo stesso polari rispetto agli omologhi cristiani.
Milarepa, asceta tibetano vissuto nel XI secolo, ha assunto anche nel nostro Paese una popolarità tale da divenire protagonista di una pellicola cinematografica e da vedere la sua "Vita" stampata in decine di migliaia di copie.
Questi "Centomila canti", tradotti e curati con commovente partecipazione da Franco e Kristin Pizzi, completano in qualche modo la "Vita di Milarepa". Scritti nel XV secolo, comprendono numerosi capitoli in cui si avvicendano parti narrative e componimenti in versi; a questi ultimi è affidato il messaggio più "profondo" dell'opera.
Come dice efficacemente Giangiorgio Pasqualotto nell'incipit della sua bella Introduzione (pag. 17): "Se ci si dedica una prima volta alla lettura dei Canti di Milarepa si può restare colpiti ... dal numero degli eventi stupefacenti raccontati. Tuttavia, se non ci si lascia catturare da simili immagini, si può vedere come esse costituiscano la trama di una summa, tanto concentrata quanto efficace, dei principali insegnamenti del buddhismo".
Luigi Turinese
In foto: "Er Sahara de noantri"
Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo", Anno IX, n.34, Aprile-Giugno 1990
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