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"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

giovedì 6 ottobre 2011

Epistrophè: Semi di trascendenza nella Psicologia Archetipica

Nel suo insieme, la vasta opera di James Hillman appare “sistematicamente a-sistematica”, impegnata a decostruire, decisamente postmoderna. Cionondimeno, vi si possono rintracciare alcune costanti:
1. Un’enfasi sulla nozione di anima, tertium tra spirito e corpo.
2. Un recupero dell’immagine come dato primario, irriducibile.
3. Una re-visione della clinica, in cui la psicopatologia è situata su uno sfondo archetipico.
4. Una re-visione della teoria della personalità nella direzione di una molteplicità ontologica in luogo della centralità di un io monolitico .(Vai al post: Che cos'è la Psicologia Archetipica?)

Su tali quattro pilastri, Hillman ha edificato la sua psicologia archetipica, che si configura come un ramo eterodosso della psicologia analitica di Jung, della quale enfatizza la nozione di archetipo.
Gli archetipi sono le forme primarie e universali del funzionamento psichico: ogni esperienza personale appare come un fenomeno secondario appartenente a uno sfondo primario che ne è appunto l’archetipo.

Il compito della psicologia archetipica consiste nel rivelare il modello archetipico delle varie forme di comportamento.

Alla luce di questo concetto, si comprende come sia illegittimo, oltre che ingenuo, prendere alla lettera i comportamenti umani. Si rende pertanto necessario un lavoro di deletteralizzazione che Hillman definisce poeticamente come visione in trasparenza e che – sola – consente una lettura psicologica della realtà. In tal modo, gli eventi accidentali assumono una pienezza di senso e divengono esperienze.

Già da queste prime note si può comprendere come venga di fatto proposta l’esistenza di una doppia realtà: una letterale, accidentale, insensata; l’altra nascosta, originaria, dotata di senso. A questo punto, non stupisce che Hillman ponga alla base della psicologia archetipica il principio dell’epistrophè, mutuato dalla filosofia neoplatonica.

Fondatore del neoplatonismo fu Ammonio Sacca, che tuttavia non scrisse nulla, simile in questo a Socrate. Ammonio fu simile a Socrate anche per aver avuto un allievo fecondo, Plotino (205-270), autore di sei libri composti ciascuno di nove trattati e per questo chiamati Enneadi. Secondo Plotino, ciascuna realtà affonda in un principio che la tiene unita. Ciò è vero tanto sul piano fenomenico quanto su quello metafisico. All’origine di ogni cosa, difatti, vi è l’Uno, principio primo in-finito e dunque in-definibile. Si può dire solo che cosa Esso non sia ma è impossibile darne predicati: si può accostarvisi con una teologia negativa o apofatica. Dall’Uno si dipartono involontariamente Emanazioni che danno origine alla molteplicità. Questo fenomeno, chiamato proodòs (via verso il basso), dà luogo a tre ipostasi: il mondo delle idee >immagini, l’anima e infine la materia.
L’anima è la facoltà attraverso la quale l’uomo, servendosi delle arti, dell’amore, della filosofia, può attingere l’unità perduta. Portato dalla nostalgia dell’Uno, in sé inattingibile, l’uomo può pervenire alla prima ipostasi, vero e proprio mundus imaginalis o archetypalis. Tale processo, speculare rispetto al proodòs, si chiama epistrophè, perché è un percorso di ritorno.

L’epistrophè è ulteriormente elaborata negli Elementi di teologia di Proclo (412-485), in particolare nella proposizione 29. Proclo chiama in causa esplicitamente gli dèi della tradizione pagana, attribuendo loro un valore causale rispetto alla realtà. Esiste per tutti i fenomeni una forma archetipica a cui essi possono essere ricondotti. Epistrophè è un metodo che ha lo scopo di ritrovare le immagini originarie. Esso procede per somiglianza, in un certo senso omeopaticamente. Inaugurato dai filosofi neoplatonici, l’esercizio dell’epistrophè viene applicato in contesti insospettabili, anche inconsapevolmente: si pensi allo sforzo dello psicologo di ricondurre sintomi privi di senso al loro sfondo archetipico; operazione, anche questa, di conversione verso l’origine. Epistrophè, appunto.

Prossimo per certi versi agli scenari neoplatonici, sia pure con peculiarità sue proprie, è il misticismo sviluppatosi in area islamica a partire dal XII secolo. Due sono le figure di spicco di questo movimento. Il persiano Sohrawardî (1154-1191) è il primo a dare un fondamento ontologico a quel vero e proprio intermondo, situato tra il mondo sensibile e quello spirituale, che prende il nome di ‘âlam al-mithâl. Questo mundus imaginalis è il luogo delle visioni teofaniche, delle immaginazioni dei mistici e dei poeti. Si tratta di un mondo dotato di una sua concretezza, di una sua estensione e popolato di figure-archetipi. Il filosofo mistico Ibn ‘Arabî (1165-1240), arabo di Spagna, stabilisce una metafisica del mundus imaginalis e dell’immaginazione creatrice – come la definisce Henry Corbin – che ne è l’organo naturale, intermediario tra il pensiero e l’essere.


In foto: "Arabeschi"

Il procedimento che consente l’accesso a tale zona intermedia è omologo all’epistrophè e si chiama ta’wil. Questa parola significa “ricondurre una cosa alla sua origine, al suo archetipo”. “Nel ta’wil si dovrebbero riportare forme sensibili a forme immaginative, e di qui risalire a significati ancora più alti”, scrive Henry Corbin, il massimo studioso occidentale del misticismo sufi di orientamento sciita. Il ta’wil, tra l’altro, è alla base dell’ermeneutica esoterica del Corano. Difatti si contrappone ed è complementare al tanzîl, che designa la lettera della Rivelazione, ponendosi come scienza che rivela, esegesi esoterica che riconduce l’essoterico al suo archetipo (asl). In tal modo si realizza una comprensione del senso profondo del tanzîl, attraverso il superamento della schiavitù del letteralismo. Letteralismo, si badi bene, non solo del Libro ma anche di ogni dato di natura essoterica (zâhir), cui corrisponde un dato di natura esoterica, interiore, nascosta (bâtin). Il ta’wil attiva la coscienza immaginativa, facoltà conoscitiva intermedia tra l’intellezione pura e la percezione sensibile, tra il pensiero e l’essere. Esso riconduce dal simbolo al simbolizzato. L’organo che presiede tali operazioni gnostiche è il cuore, non a caso indagato a fondo da James Hillman, che scrive, seguendo Corbin: “L’azione caratteristica del cuore non è il sentimento, ma la visione” (Hillman: L’anima del mondo e il pensiero del cuore).

Questo locus metaphoricus attraversa la tradizione occidentale sin dalla michelangiolesca immagine del cuor. La psicologia archetipica si fonda sull’immagine e sull’immaginazione, concepita non già come una semplice facoltà umana ma come un’attività dell’anima, ben distinta dall’attività del fantasticare. Si comprende dai suoi precursori e dai suoi riferimenti culturali come la psicologia archetipica abbia anche un’implicazione assiologica, ridisegnando il sistema di valori a partire dal ridimensionamento del mito monoteistico dell’eroe – un altro modo di definire la psicologia dell’io. Si approda ad una prospettiva, che non esito a definire chenotica, mirante a svuotare l’io, l’ontologia, la sostanzialità; un po’ come avviene in certe tradizioni orientali o in certa mistica apofatica cristiana – si pensi a Meister Eckhart.

La molteplicità dell’anima, d’altra parte, richiama una fantasia teologica politeistica, suggererendo la presenza di implicazioni soteriologiche nella psicologia archetipica.

Sebbene lo stesso Hillman abbia ripetutamente mirato a conservare una prospettiva immanente al lavoro dell’archetipo, è tuttavia legittimo scorgere nella sua opera una tangenzialità, quanto meno, con il discorso spirituale: quelli che, sia pure sommessamente, non esito a definire semi di trascendenza.

Luigi Turinese

Riferimenti Bibliografici

Corbin, H.(1964,1974,1986):Storia della filosofia islamica, Adelphi, Milano 1973 e 1989.
Corbin, H. (1958: L’immaginazione creatrice, Laterza, Roma-Bari 2005.
Corbin, H.(1971): L’uomo di luce nel sufismo iraniano, Mediterranee, Roma 1988.
Hillman, J. (1979): Il sogno e il mondo infero, Il Saggiatore, Milano 1988.
Hillman, J. (1973, 1975, 1976, 1979): Saggi sul Puer, Raffaello Cortina, Milano 1988.
Hillman, J.: Archetypal Psychology, Spring Publications, Putnam, Connecticut 1983, 2004.
Hillman, J. (1974, 1981, 1982): L’anima del mondo e il pensiero del cuore, Garzanti, Milano 1993.
Hillman, J. (1999): La forza del carattere, Adelphi, Milano 2000.
Miller, D./Hillman, J. (1981): Il nuovo politeismo, Edizioni di Comunità, Milano 1983.

Intervento presentato a Siracusa il 15 dicembre 2007 durante il convegno "Epistrophè, discesa (agli Inferi) e ritorno" organizzato
dal Centro Culturale Epicarmo
in collaborazione con l'Istituto Mediterraneo di Psicologia Archetipica


Pubblicato su "La Rivisata dei Dioscuri - Trimestrale policulturale e politeista", n.2 Aprile-Giugno 2011, pagg.19-21

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