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"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

lunedì 6 dicembre 2010

Le Recensioni di L.T.- "Estetica indiana contemporanea" di A.C. Sukla e "Scritti sul Giappone", di K. Lowith

Ananta Charana Sukla, Estetica indiana contemporanea, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ), 1995
e
Karl Lowith, Scritti sul Giappone, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ), 1995

Continuiamo a seguire con interesse la collana "Saggi brevi di estetica comparata", diretta da Grazia Marchianò, perché siamo convinti che costituisca un tassello non secondario del mosaico transculturale di fine millennio.
La prof.ssa Marchianò firma una bella premessa al libro di Charana Sukla, che passsa in rassegna le concezioni estetiche indiane del periodo classico sino alla rinascita indù del XX secolo. Abbiamo anche la soddisfazione di vedere citato il nostro Raniero Gnoli per i suoi studi su Abhinavagrupta (pag. 67).

Nell'India classica l'arte era prodotta per la comunità, mentre nei due secoli di influenza Moghul (XVIII e XIX) l'arte, di derivazione iranica, divenne un fatto privato, concepito per una classe privilegiata . Il XX secolo vede la rinascita nazionale, con figure del calibro di Abinandranath Tagore, pittore, fratello del poeta Ananda Coomaraswamy, celeberrimo critico d'arte; Aurobindo, agitatore politico e poi saggio di Pondicherry; Kakuzo Okakura, storico dell'arte giapponese, per un periodo legato ai circoli artistici indiani. A questi personaggi l'autore affianca Margareth Noble, più nota come suor Nivedita, discepola di Vivekananda, che "vedeva nell'arte l'arma principale di risveglio dello spirito nazionale" (pag. 41).
Notevoli le riflessioni sul rasa (sapore estetico), da cui si viene letteralmente invasi al cospetto di un'opera d'arte emozionante.

Karl Lowith, filosofo tedesco contemporaneo, allievo di Husserl e di Heidegger, ebbe la ventura di trascorrere in Giappone, esule, il periodo che va dalla metà degli anni '30 al 1941. Lowith insegnò all'Università di Sendai, prendendo il posto che era stato di Eugen Herrigel (l'autore di Lo zen e il tiro con l'arco).
Dapprima Lowith ritrova nelòla tradizione giapponese, sia pure in forma irriflessa e incosciente, un analogo del suo antistoricismo. Poi però prende le distanze dal naturalismo ingenuo e dalla mancanza do spirito critico che, a suo dire, permeano la cultura giapponese tradizionale; in questo differenziandosi da Heidegger, che "loda come un pregio della spiritualità giapponese la sua insufficienza concettuale" (dall'introduzione di Gianni Carchia, pag. 22).
Questi Scritti sul Giappone sono appunti interessanti e godibili, con tutti i limiti costituiti da un sottofondo di pregiudizio etnocentrico. Lowith mette in rilievo il paradosso dell'occidentalizzazione giapponese, anche "il paradosso del carattere giapponese" (pag. 41), così mite nella vita privata e così capace di ferocia in guerra.
Vogliamo segnalare il bel paragrafo dedicato allo Zen (pag. 51-54), con un puntuale apprezzamento della Vacuità come sorgente di ogni esistere.


Luigi Turinese


In foto: "Agrumeto urbano"

Recensione apparsa in "PARAMITA, Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XVI, n.60, Ottobre - Dicembre 1996

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