La collana diretta da Grazia Marchianò non sbaglia un colpo.
In questo volumetto sulla scuola di pensiero che prende il nome dall' Università di Kyoto, la prima ad impartire un insegnamento di filosofia come noi la intendiamo, si chiariscono molti punti finora poco investigati.
A cominciare dal fatto che la filosofia, ovvero la riflessione sui concetti universali, non fa parte del bagaglio tradizionale del Giappone: il pragmatismo nipponico ne è molto distante. Si può dire che fino all'avvento di Nishi Amane (1820-1897)non esistesse neppure un termine giapponese per "filosofia"(tetsugaku, adottato a partire dal 1874). Nel 1897 apre appunto l'Università di Kyoto, presso la quale, nel 1910, Nashida Kitaro (1870-1945) assume la cattedra di filosofia , incoraggiando lo studio del pensiero occidentale: ha inizio l'avventura della filosofia giapponese moderna, tesa a inglobare il pensiero moderno, con una naturale inclinazione per quello di Heidegger.
Ne deriva una scuola originale (Kyoto-ha), con una propria estetica, i cui principali esponenti costituiscono l'oggetto del presente lavoro: si tratta del già menzionato Nishita Kitaro, di Tanabe, di Nishitani, di Hisamatsu e di Ueda.
Certo, non si può dire che la filosofia europea abbia ricambiato l'interesse con lo stesso fervore. Anche per questo il libro che presentiamo, aperto dalla consueta illuminante prefazione della professoressa Marchianò, riveste un particolare valore, in qualche modo "riparativo".
Luigi Turinese
In foto: "Venere è fuggita!"
Recensione apparsa nella rubrica "Libri" di "PARAMITA , Quaderni di Buddhismo per la pratica e per il dialogo", Anno XVI, n. 61, Gennaio-Marzo 1997
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