Piazza N. Longobardi 3, 00145 Roma tel 06 51607592
"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

venerdì 30 settembre 2011

"Hahnemann. Vita del padre dell'omeopatia" - Recensione di R. Brotzu

di Rosa Brotzu




Il termine “sonata” dal latino sonare, indica un brano musicale eseguito da più strumenti diviso in quattro movimenti (allegro, andante, minuetto e finale). Parlare della vita del fondatore dell’Omeopatia , Christian Friedrich Samuel Hahnemann – utilizzando la metafora musicale – rimanda all’idea della malattia soprattutto come assenza di ritmo, intendendo per “ritmo” quell’equilibrio universale rintracciabile in tutti gli uomini e in tutti gli elementi. Ritmo che Hahnemann, attraverso il suo modo di fare medicina, cercò incessantemente di recuperare. La scelta, tuttavia, d’inserire un quinto movimento a monte dell’ultimo capitolo “Marcia funebre”, rimanda alle sinfonie Beethoveniane, per rendere ancora più maestose le ultime – immaginate – “vedute” del maestro.

Il testo si offre al lettore come uno spartito in due sezioni: da un lato l’aspetto narrato, poetico e immaginale, – seppur fedele – dell’esperienze di vita del grande maestro, dall’infanzia fino alla morte, ove è possibile attingere al travaglio e alle passioni interiori che lo videro protagonista sia di innovazioni che di conflitti con l’allora mondo accademico; dall’altro l’aspetto scientifico delle evoluzioni del suo pensiero. Samuel Hahnemann nasce a Meissen (Sassonia) il 10 Aprile 1755. Figlio di un vasaio, amante della pittura e della natura, attinge dal padre non solo tutte le conoscenze riguardanti le piante, ma anche quelle doti caratteriali che forgeranno il suo pensiero. Sfuggito, tuttavia, all’intenzione del padre di iniziarlo ad un lavoro manuale presso una drogheria di Lipsia, intraprende nella stessa città gli studi di medicina, mantenendosi economicamente grazie alle traduzioni di libri.

Spirito inquieto ma caparbio, intransigente, come si addice al segno zodiacale dell’Ariete, non si accontenta dell’insegnamento teorico del suo tempo, iniziando quel peregrinare – che lo accompagnerà per tutta la vita – da una città all’altra, alla ricerca di sempre maggiori approfondimenti, tratti soprattutto dalle sperimentazioni su se stesso e sugli individui sani, dei vari rimedi. Laureatosi ad Erlangen nel 1779, sposò nel 1782 la diciannovenne Johanna Henriette Kucher, che gli diede undici figli e che lo seguì instancabilmente nelle sue peregrinazioni, sia a causa delle note guerre dell’epoca, sia a causa dei conflitti che il suo nuovo pensiero creava all’interno delle istituzioni mediche.
Studioso e sperimentatore, conoscitore di varie lingue, spesso non praticava la professione medica, costringendo la ben grande famiglia a sostentarsi con poco, pur di sviluppare fino in fondo il suo impianto teorico-clinico: per molti anni della sua vita gli unici proventi derivarono dalle traduzioni di testi. Dissentendo dalle pratiche mediche dell’epoca (salassi usati come purgativi ed emetici), pensava piuttosto che la malattia si curasse rafforzando le energie vitali al fine di ripristinare l’equilibrio dell’organismo.
La prima intuizione omeopatica venne dalla traduzione del libro di Cullen sulla malaria, allora trattata con la corteccia di china. Hahnemann ipotizzò – sperimentando su sé la china e riproducendo i sintomi malarici – che alcuni sintomi si potessero curare con quella sostanza che in una persona sana avrebbe prodotto gli stessi sintomi. La nascita dell’omeopatia è in qualche modo segnata dal “Saggio su un nuovo principio per scoprire le virtù curative delle sostanze medicinali, seguito da qualche considerazione sui principi accettati fino ai nostri giorni” del 1796, dal quale si evincono le sperimentazioni dei vari rimedi sull’uomo sano.

Il termine omeopatia – dal greco omoios/simile, e pathos/malattia – indica il nuovo modo di curare le malattie, in contrasto con l’allopatia dell’epoca, che non osservando il malato nella sua interezza, utilizza le stesse, ingiustificate pratiche per tutti. Il fondamento teorico dell’omeopatia è il vecchio ippocratico concetto di “similia, similibus curantur”, grazie al quale le medicine vengono scelte in base alla somiglianza tra i loro effetti e i sintomi dei pazienti.

La base metodologica dell’omeopatia verrà più tardi esposta nel testo “Organon dell’arte di guarire”, la cui prima edizione è del 1810: qui si rintracciano i metodi di somministrazione dei rimedi (piccole dosi) e il tempo necessario alla ripetizione dei trattamenti, che dovranno essere effettuati solo al ripresentarsi dei sintomi.

Il pensiero e l’azione di Hahnemann vengono evidenziati nella di cura di un malato psichiatrico, nel 1792, di nome Klockenbring. Contrariamente agli usi dell’epoca – ove tali pazienti erano soggetti alle violenze più efferate – egli, sulla scia di Pinel, osservava solo le espressioni della malattia, producendo – attraverso “l’ascolto” e, quindi, l’esserci – la guarigione del soggetto. Nel 1812 inizia un corso universitario di omeopatia che durerà dieci anni e durante i quali pubblica “La materia Medica Pura”, in cui vengono descritti i cinquantaquattro rimedi omeopatici. Da quel momento l’omeopatia diviene una scienza solida, ma egli rimette in discussione il suo edificio approfondendo le cause delle malattie croniche ed elaborando la teoria dei miasmi.
Secondo tale teoria, esiste una triplice radice esogena che causa le malattie croniche; la psora, la scabbia e la sifilide. Quindi l’anamnesi deve estendersi fino ai sintomi concomitanti e agli antecedenti morbosi.

Lo sviluppo fiorente della sua disciplina si esplica in un clima di terrore determinato dalle guerre dovute all’espansionismo napoleonico, che Hahnemann considera espressione di una personalità malata. Ciò nonostante, è proprio in quel clima di morte che egli cura centinaia di soggetti affetti dalle malattie più disparate. A ciò vanno aggiunti i lutti familiari come la figlia Wilhelmine, più tardi la fedele e paziente moglie Johanna ed infine, la figlia Friedericke, assassinata nel corso di una rapina. Nell’alternarsi di gioie e disgrazie, gli ottant’anni di Hahnemann vedono avvicinarsi, comunque, una nuova epoca che diverrà quella definitiva.

Conosce Marie Melanie d’Hervilly, più giovane di quarantacinque anni, dal carattere forte e invasivo, che diviene più tardi la sua seconda moglie. Il carattere intransigente di Melanie, che ben si accorda con quello di Hahnemann, crea , tuttavia, dei dissapori tra Hahnemann e le sue due figlie, rimaste ad accudirlo. Ma la passione che lega i due sposi poco si cura delle proteste familiari e, nel 1835, alla richiesta di Melanie di fare un viaggio a Parigi, Hahnemann accetta. Ma sarà il suo ultimo viaggio, poiché vi rimarrà fino alla morte. A Parigi conoscerà l’alta società da cui continuerà a ricevere pieni riconoscimenti.
Dopo la morte della figlia Eleonore, porta a termine la sesta edizione dell’Organon che, tuttavia, uscirà postuma durante la prima guerra mondiale. Samuel Hahnemann muore il 2 Luglio del 1843 e viene sepolto nel cimitero di Montmatre (all’inizio del XX secolo le sue spoglie verranno traslate nel cimitero monumentale del Père-Lachaise).

L’originalità del testo consiste non solo nell’essere in Italia la prima esauriente biografia del padre dell’omeopatia, ma nell’essersi – gli autori – accostati al suo mondo interno; immaginando , quindi, – e rendendone possibilità di visione a loro volta ai lettori – quale potesse essere il travaglio di un genio di tale portata. La sofferenza, nelle personalità dei geni, diviene il motore portante dello sviluppo delle idee, e il distacco dal mondo circostante, sia in termini fisici che di pensiero o professionale, inevitabile. Laddove il nuovo, destruttura necessariamente il vecchio, solitudine come viatico s’impone. E gli autori, con grande poesia e magia, fanno omaggio attraverso la sintonia del cuore, ad un grande uomo della medicina, che seppe aprire le porte alla medicina dell’Uno, confinando non più l’uomo nell’organo, ma restituendolo all’Universo.
In questo incredibile ed originalissimo libro-spartito, Riccardo de Torrebruna , autore teatrale, ha curato la parte narrativa, mentre Luigi Turinese, omeopata e psicoanalista junghiano, ha curato la parte scientifica. Come hanno giustamente sottolineato nel 2007, nella presentazione del libro presso il Refettorio piccolo del Monastero dei Benedettini di Catania, Franco Battiato, musicista e Giovanna Giordano, scrittrice, se la malattia è assenza di ritmo – non solo all’interno dell’individuo, ma anche fuori di sé – la cura consiste, allora, nel recupero di tale ritmo: equilibrio che non può ripristinarsi combattendo la malattia con armi diverse da se stessa, bensì utilizzandone le stesse al fine di sviluppare risorse interne all’organismo ( similia similibus curantur ).

La presentazione del testo, in sintonia con la metafora musicale, si è svolta in “facies” quasi poetica, dove aspetti umani e scientifici si sono “accordati”, per comunicare ancora una volta, quanto l’opera di ogni grande uomo – come Samuel Hahnemann – comporti pathos, solitudine, lotta, mai resa, al fine di dar voce al daimon interiore che incessantemente distrugge e crea, al servizio della collettività.

Rosa Brotzu










Leggi le altre recensioni del libro

Nessun commento:


Libri di Luigi Turinese

Luigi Turinese Cantautore

Luigi Turinese Cantautore
Clicca sull'immagine per scoprire la sua musica, i suoi concerti, i suoi CD