Lettere a un grande eretico Esce un carteggio tra un gruppo di personaggi della cultura italiana e l'intellettuale americano che ama la provocazione e la sorpresa.
Il dissenso prevale sull'ammirazione per il maestro che ha radicalmente messo sotto accusa la psicoanalisi
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Alcuni personaggi della psicologia analitica e della cultura italiana scrivono a
James Hillman, la figura senz'altro più carismatica - anche se molto controversa - dello junghismo contemporaneo: le venticinque lettere accompagnate dalle risposte del destinatario, sono state raccolte in un libro dal titolo
Caro Hillman... per la cura intelligente e fantasiosa di
Riccardo Mondo e
Luigi Turinese (
Bollati Boringhieri, pagg. 240, euro 26).
E' un volume che interessa, per più di una ragione. Intanto, attraverso questo carteggio, si coglie con grande immediatezza la polifonia di voci - assai poco assimilabili tra loro - che percorre l'universo junghiano. Emergono, dall'epistolario, due tendenze che già coesistono in
Jung, pensatore geniale ma disordinato e asistematico, contradditorio e pieno di aporie: una è decisamente critica, ermeneutica, probabilistica; l'altra sembra cadere nell'illusione di una psicologia
perennis di una psiche in qualche modo oggettiva, valida e identica per tutti, con un eccesso di enfasi - ad esempio - per quella ipotesi suggestiva ma enigmatica , nebulosissima, che è
l'inconscio collettivo.
Oltre a disegnare una mappa curiosa dello junghismo italiano, questo libro sottende costantemente nelle sue pagine un interrogativo - sospeso e irrisolto - che rimanda all'identità più autentica del maestro di
Atlantic City.
Chi è infatti oggi
James Hillman? Si sa che a
Zurigo è stato un allievo diretto di
Jung ma - dopo quella che egli stesso da definito "
una crisi di fede" - è diventato l'inventore di un
nuovo pensiero, di una sua disciplina detta "
psicologia archetipica", ribattezzata frettolosamente e a dispetto del ridicolo "
una terapia con gli dèi".
Oggi non è chiaro se
Hillman si possa ancora in qualche modo considerare uno psicoanalista, per quanto eterodosso e da molti anni lontano dalla pratica clinica, o sia piuttosto un raffinatissimo letterato, un intellettuale neoplatonico (amatissimo dagli intellettuali e dai molti che suppongono di esserlo), un cantore neopagano, di cui poco o nulla è rimasto dell'
imprinting originario: "
un brillante bricoleur", per dirla con
Augusto Romano.
In queste lettere inviate a
Hillman può sorprendere che sia il dissenso a prevalere sull'ammirazione. Quella di
Mario Trevi, firmata con
Marco Innamorati (insieme hanno scritto
Riprendere Jung), è una presa di dstanza, sofisticata ma dura già nel titolo "
Contram psychologiam archetypalem", una messa sotto accusa delle tesi più ardite di
Hillman, dalla lettura che fa dei classici, alla pretesa di parlare ancora di un'ontologia dell'anima, al rifiuto drastico di ogni modello medico.
Nella sua risposta, il grande provocatore americano - che a tratti tende ad assumere un'aria sussieguosa un po' irritante - sfugge abilmente alle questioni più sottili. "
Un freddo vento del Senex soffia da nord, e potrei essere indotto a focose esagerazioni del Puer come difesa...": Hillman non cade in questa tentazione , e del resto sarebbe poco intelligente contrappore a un presunto atteggiamento senile il suo spirito da eterno fanciullo, anzi il suo metodo
ermetico/mercuriale che "si avvale di trucchi, inganni, appropriazioni, e non vuole stare da qualche parte a combattere, ma fugge nell'invisibilitàsu scarpe alate in conformità ai suoi alati pensieri avvolti in "può darsi", "forse" e "come se"...
La sensazione è che il comune ceppo junghiano non basti ad accordciare le distanze:
Hillman e
Trevi non potrebbero essere più sideralmente lontani, a cominciare dai linguaggi che utilizzano. "
Che cosa abbiamo da dirci l'un l'atro?" si chiede
Hilmman con una qualche brutalità, concludendo in modo scarsamente dialettico:
"Due sentieri paralleli, non importa quante miglia possiamo percorrere, non si incontreranno mai. Forse fianco a fianco è abbastanza".
Molto spiritosa, ma per nulla rapita dal pensiero dell'autore di
Cent'anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio , risulta
Silvia Vegetti Finzi: lei ha tradito la psicoanalisi, gli dice, "
nel senso in cui l'amante tradisce l'amata per troppo amore ... Lei affida alla psicoanalisi nientemeno che il compito di salvare il mondo...Ma siamo sicuri che la psicoanalisi abbia il compito di prendere il posto di Dio: di sapere tutto, di potere tutto?".Se qui lo scambio è meno glaciale, la possibilità di un dialogo autentico rimane piuttosto remota. Il punto è che alle "regole" della psicologia analitica
Hillman è estraneo fino all'insofferenza, e non ha alcuna difficoltà a dichiararsi colpevole dell'accusa di essere un traditore. Non è la stanza d'analisi a interessarlo, non sono i piccoli o grandi malesseri di pazienti in cerca d'ascolto a catturarne l'attenzione. Il suo impegno ha dimensioni molto più ampie, più ambiziose: lui si dedica a "
stendere l'anima del mondo sul lettino e a rimanere in ascolto delle sue sofferenze". E' questa immagine a catturalo, o anche, con un'espressione che gli è cara: è questo il suo
daimon .
Alla fine, da raffinatissimo giocoliere qual è ritorce con abilità l'accusa di tradimento, pur accettata senza sussulti: "
le replico - sempre nello spirito di calore e comprensione tra noi - che la Sua posizione tradisce la sfida contemporanea alla pratica clinica: la sua estenzione oltre la stanza di terapia. Traggo questo orientamento sia da Freud che da Jung, che consideravano il loro lavoro un lavoro sui tempi e sulla cultura collettiva in cui la psiche era immersa". Spulciando tra le molte lettere di questo carteggio, più incline alla perplessità che all'elogio appare anche
Marcello Pignatelli, che -seppure con garbo amichevole - segnala il rischio di una deriva estetizzante. Come sempre
Hillman si diverte soprattutto a spiazzare, e in questo caso lo fa rievocando una bella serata romana di anni fa, proprio nella casa di
Pignatelli, il "collega" junghiano involontariamente caduto in un
fraintendimento comune.
"
Quando tu mi hai ricevuto lì, con vino, cibo e conversazioni, ponendo attenzione ai bisogni di un visitatore straniero ... questo tuo comportamento apparteneva all'etica o all'estetica? Conosci bene la tradizione classica, da Platone in poi, in cui Estetica ed Etica erano inseparabili. Entrambe sono contenute nella parola Kosmos, che significa giusto ordine implicando sia la bellezza sia la giustizia": per
Hillman la distinzione tra queste due nozioni può risultare, oltre che falsa, dannosa per entrambe
"poiché priva il mondo dell'estetica di ogni moralità e il mondo morale di ogni sensibilità". Dal suo punto di vista l'insistenza sul bello avrebbe di per sé una connotazione di ordine etico.
Sarà il caso di fare almeno un cenno allo scambio affettuosissimo che in questo libro si rintraccia tra
Manlio Sgalambro e
Hillman, sulla condizione della vecchiaia, un tema su cui entrambi si sono esercitati con risultati brillanti. Il filosofo gli ha inviato una sua poesia che si conclude con questi versi: "Il
vecchio è colui nel quale la vita è finita. Ma quale vita?/ La vita funzionale, la vita dei ruoli, la vita che passa attraverso / il "permesso" di vivere concesso dalla società a certi patti./ Ma è dopo tutto questo che resta la "vita". La bellezza del vivere per/ nessuno scopo, del vivere per vivere".La replica di
Hillman è - almeno in questo caso - nel segno dell'entusiasmo:
"Quanto più, quanto più squisite, quanto più apportatrici di verità sono le strofe della Sua poesia rispetto al mio intero libro sull'invecchiare!"
L'epilogo si riassume nell'invito di un signore forse stravagante ma dallo
charme innegabile, che prende congedo con poche semplicissime parole, impronunciabili per certi geometri della psiche:
"... Posso incontrarla un giorno nel suo Caffè preferito?"
Luciana Sica
"Battiato lo ha ritratto"CATANIA -
La presentazione di un libro diventa almeno più curiosa se a parlarne è un outsider come Franco Battiato. Questo pomeriggio [si tratta del 3.12.2004, n.d.r.] il cantautore sarà a Catania (...) a raccontare il singolare carteggio che ha avuto con James Hillman. Per dirgli "come lo vede" Battiato non gli ha inviato un testo scritto, ma un ritratto, che è poi la copertina del libro. "Sarò rigido e severo come lei mi ha dipinto", si legge nella breve risposta. "Forse questo ritratto è Lei stesso quanto è me, e perché non dovrebbe esserlo? Non siamo da qualche parte fratelli nella ricerca?".
Articolo apparso su "La Repubblica" del 3 Dicembre 2004, pagg. 50-51